L’India di Narendra Modi è sull’orlo del baratro, squassata da una parte dalla strategia politica nazionalista di BJP e RSS che si scontra con la natura profondamente multietnica del subcontinente indiano e dall’altra da una emergenza ambientale senza precedenti. La denuncia arriva da una veemente lettura tenuta dalla celebre scrittrice e “pasionaria” indiana Arundhati Roy alla Cooper Union Great Hall di New York. La Roy per l’occasione ha dialogato con la giornalista, scrittrice e attivista canadese Naomi Klein. Due parole sulla location dell’incontro: fondata dall’industriale filantropo Peter Cooper nel 1859, la Cooper Union for the Advancement of Science and Art è un’istituzione accademica che offre corsi su Arte, Architettura, Ingegneria e Scienze Sociali.
Naomi Klein presentando Arundhati Roy l’ha definita “la mia amica e la mia eroina” e ha raccontato a modo suo il curriculum della scrittrice ed editorialista indiana: “Arundhati Roy da ragazza era una ribelle e una bohémienne: lo è ancora”. Il suo primo romanzo, Il dio delle piccole cose, quando uscì mise a ferro e fuoco il panorama letterario internazionale, vendette milioni di copie, fu tradotto in 40 lingue e vinse il Booker Prize nel 1997. Nei venti anni che separano questo primo esordio memorabile dal secondo romanzo, Il Ministero della Suprema felicità, la Roy ha scritto dozzine di articoli, che sono stati recentemente raccolti nel magnifico, monumentale Il mio cuore sedizioso.
Ma lei è Arundhati Roy e quindi non scrive di queste tragedie come un reporter, lo fa come una scrittrice.
Ha proseguito la Klein: “Arundhati con gli anni è diventata una sorta di corrispondente di guerra pur non essendolo: è costantemente alla ricerca dei luoghi nei quali si perpetrano le più gravi ingiustizie, le più gravi violenze, le più gravi oppressioni da parte del potere. Ha scritto sul Gujarat, sul Kashmir, sulla valle di Narmada: ma lei è Arundhati Roy e quindi non scrive di queste tragedie come un reporter, lo fa come una scrittrice, usando come armi la sua infinita capacità di empatia, il suo devastante occhio per il dettaglio, il suo talento per la metafora perfetta. E quelle tragedie le comprendiamo e le percepiamo più profondamente, attraverso il suo sguardo d’artista”.
“Ma attenzione, sia chiaro: Arundhati non è Madre Teresa di Calcutta, non porta conforto agli afflitti: lei affligge coloro che vivono troppo confortevolmente, fa sempre i nomi, non prende prigionieri e non chiede scusa. È instancabile nel raccontare gli abusi dei potenti e sempre dalla parte di chi il potere non ce l’ha. Ed è per questo che la amiamo”.
Presa la parola, Arundhati Roy ha dedicato innanzitutto parole vibranti alla sua nazione: “Nonostante sia la nominalmente la quinta economia mondiale, l’India è ancora (vergogna!) una nazione povera e affamata e molte scelte del governo indiano sono la causa di questo doloroso paradosso. La nuova classe dirigente del mio Paese ha le sue radici in un odioso, pericoloso filamento della nostra storia. La violenza dell’inclusione e la violenza dell’esclusione sono alla base di un cambiamento che può minare le fondamenta stesse della nazione indiana. La nostra Costituzione definisce l’India una ‘Repubblica secolare e socialista’ ma oggi non siamo né secolari (cioè rispettosi di ogni credo religioso, così intendiamo qui questo aggettivo) né socialisti”.
“L’India”, ha proseguito la scrittrice, “non è realmente una nazione, non lo è mai stata. È piuttosto un continente, con 780 linguaggi diversi parlati (dialetti a parte) e più nazionalità presenti che nell’Europa intera, per non parlare dei gruppi tribali e delle diverse religioni. Immaginate questo complesso e fragile ecosistema governato da una forza politica suprematista e nazionalista espressa dalla casta dominante Hindu, la Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS), che predica di volere una nazione, una lingua, una religione, una Costituzione; che è stata influenzata, quando è stata fondata, dai partiti fascisti di Italia e Germania; che considera i musulmani indiani come Hitler e Mussolini consideravano gli ebrei (…)”.
La violenza dell’inclusione e la violenza dell’esclusione sono alla base di un cambiamento che può minare le fondamenta stesse della nazione indiana.
Per chi non lo sapesse, è bene sottolineare che il Primo Ministro indiano Narendra Modi è un membro della RSS da sempre, è una creatura della RSS. Nel suo discorso, infatti, Roy ha ripercorso con accenti di grave inquietudine la sua carriera politica e le sue scelte lanciando gravissime accuse al Premier indiano.
L’incontro si è concluso con un colloquio/intervista tra Naomi Klein e Arundhati Roy in cui le gravissime crisi in Kashmir e nella valle di Narmada sono state analizzate non solo dal punto di vista politico ma anche da quello sociale e ambientale, come specchio locale di un fenomeno globale.