Ha vaccinato più di 1.300 pazienti sui 1.600 assistiti. E in un giorno ha vaccinato più lui, nel suo studio, che l’hub di riferimento della zona: 185 dosi contro 170. È la storia di Marcello Pili, medico di medicina generale di Ostia, che all’inizio delle somministrazioni del vaccino contro covid-19 ha deciso di salire sulla sua moto, una BMW rossa e nera, per andare a vaccinare a domicilio le categorie più fragili. “Nel momento in cui è iniziata la campagna di vaccinazione e ci è stato detto che anche noi medici di famiglia potevamo vaccinare abbiamo deciso con tutto lo studio di collaborare. Ci siamo subito resi conto che c’erano da vaccinare tutte le categorie a rischio, comprese le persone che non potevano spostarsi da casa. Io mi muovevo facilmente in moto e allora ho deciso di andare a fare i vaccini a domicilio ai miei pazienti e a quelli di tutti i colleghi dello studio”, racconta a Senti chi parla.
A domicilio Marcello Pili ha vaccinato circa 300 persone, per un totale di 600 vaccini (e viaggi in moto) tra prima e seconda dose. La fiducia dei suoi pazienti nei confronti del medico che li segue ha permesso anche una certa flessibilità, e per questo è capitato che ci pensasse lui a utilizzare entro poche ore le dosi avanzate nell’ospedale della zona e negli altri ambulatori medici. “È stato un lavoro faticoso, che abbiamo fatto perché ci tenevamo a dare un contributo e perché pensiamo sia essenziale soprattutto nei riguardi di alcune fasce di popolazione. Dico con certezza che molti di loro se non li avessi vaccinati io non lo avrebbero fatto negli hub perché mancava la fiducia nei confronti degli operatori presenti in quelle strutture”, continua.

Marcello Pili non è l’unico medico di medicina generale ad aver iniziato subito a somministrare il vaccino ai propri pazienti. “Ho iniziato a fare le vaccinazioni l’1 marzo, il primo giorno che ne ho avuto la possibilità”, ci racconta Lara Morelli, medico nel quartiere San Paolo di Roma. “Abbiamo iniziato con grande difficoltà perché le forniture erano scarse, ma con impegno siamo riusciti ad andare avanti. Io penso di aver somministrato circa 400 dosi, tra i diversi vaccini che ho a disposizione: Pfizer, Moderna e AstraZeneca”.
Nel suo ambulatorio, così come in quello del medico di Ostia, il clima è molto diverso da quello che si respira nei grandi hub vaccinali. Piante, oggetti sugli scaffali, chiacchiere in sala d’attesa contribuiscono a rendere l’ambiente più familiare. La fase dell’anamnesi, inoltre, viene saltata perché i medici conoscono i pazienti e la ritrovano sulle proprio cartelle cliniche. “Siamo noi a conoscerli meglio. Una buona parte dei nostri pazienti ci ha contattati prima di andare negli hub a vaccinarsi per chiedere se fosse sicuro il tipo di vaccino che gli avrebbero fatto compatibilmente con la loro situazione”, continua Morelli.
Il giorno che vado a trovarla, le prime persone a vaccinarsi sono un’anziana signora e sua figlia. Mi racconta Amelia, nata nel 1937, che a febbraio ha contratto la covid-19 ed è rimasta quaranta giorni ricoverata nella terapia intensiva dell’Ospedale San Giovanni con una brutta polmonite. “Sono stati giorni difficili, ma i medici mi hanno detto che ho lottato come una leonessa. Oggi sono qui a vaccinarmi, lo stesso giorno di mia figlia, sperando che sia la fine di tutta questa storia”.

La centralità del territorio
Riportare le attività di cura sul territorio è l’obiettivo di gran parte delle politiche sanitarie dei prossimi anni. Può voler dire molte cose: potenziare la rete dei consultori e tornare ad assistere capillarmente la salute materno-infantile, sostenere gli spazi di tutela e cura della salute mentale, costruire un network di case della salute o, comunque le si voglia chiamare, di strutture che possano dare risposta ai bisogni di assistenza dei cittadini senza che questo si traduca in un maggiore onere per i centri ospedalieri. Ma restituire centralità alla medicina territoriale significa prima di tutto riconoscere dignità e importanza alle cure primarie e alle competenze dei medici di medicina generale, travolti dalla pandemia sia dal punto di vista professionale sia sanitario, avendo pagato un costo molto alto anche in termini di vite umane. La campagna di vaccinazione contro covid-19 descrive un quadro esemplare delle potenzialità della medicina generale: nessuno meglio di un medico di cure primarie può riconoscere, interpretare e, spesso, risolvere il problema dell’esitanza vaccinale.
“La campagna vaccinale ha ribadito l’importanza della medicina di prossimità”, spiega Pili. “Ha ribadito il fatto che quando i medici di medicina generale vengono coinvolti e si impegnano non c’è niente che non funzioni. Non eravamo usciti bene come categoria dalla prima fase della pandemia, ma proprio per questo la campagna di vaccinazione è un’opportunità per ribadire il fatto che anche noi siamo protagonisti”.“Ho ricevuto diverse minacce da parte di no-vax – continua Marcello Pili – ma quello che ho fatto è un lavoro di sensibilizzazione di chi viveva un momento di incertezza. Quello che dobbiamo fare è offrire una corretta informazione perché in questo periodo si sentono informazioni che cambiano completamente anche nel giro di un paio d’ore ”. E, proprio per recuperare la fiducia delle persone spaventate, i medici sul territorio hanno deciso di contattare uno a uno i propri pazienti, anche grazie a un database messo a disposizione dalla Regione Lazio che permette ai medici di vedere chi tra i propri assistiti si è vaccinato e chi no. “Soprattutto inizialmente quando avevamo delle categorie target da vaccinare, over 80 e pazienti fragili, c’è stata una chiamata attiva da parte nostra, alcuni erano titubanti e avevano deciso di non vaccinarsi. Ho deciso di essere io a contattarli perché noi siamo i medici curanti e quindi ci conoscono da sempre, si fidano, e alcuni li abbiamo convinti senza problemi. Per altri semplicemente era scomodo andare in un hub, non avevano nessuno che potesse accompagnarli o che facesse la prenotazione per loro e da noi sono venuti subito”, conclude Morelli.

Il recupero della centralità della medicina generale nel sistema sanitario è un’esigenza non soltanto italiana. Ce ne accorgiamo leggendo un articolo pubblicato su una delle riviste mediche più famose del mondo, il New England Journal of Medicine: “A causa dell’enfasi posta sui grandi centri, pochi americani sono stati vaccinati nei luoghi dove di solito ricevono cure sanitarie: lo studio del proprio medico. Continuando di questo passo, l’emarginazione dei medici di base e dei servizi sanitari di cui le persone si fidano potrebbe compromettere anche l’equità, soprattutto se diventassero necessarie dosi di richiamo. In un momento in cui milioni di americani stanno tornando ad avere cure ambulatoriali regolari, non riuscire a rendere disponibile il vaccino in contesti familiari per il cittadino potrebbe rappresentare un’opportunità mancata. Anche le persone che sono veramente resistenti alla vaccinazione possono riconsiderare la propria posizione trovandosi in uno studio medico dove sia disponibile il vaccino. La soluzione più vicina del problema rappresentato dalle persone esitanti è nelle mani dei medici di medicina generale: mani alle quale, solitamente, i cittadini e i pazienti guardano con fiducia”.
In quest’ottica, dopo l’estate sarebbe auspicabile un graduale passaggio dai grandi centri di vaccinazione – estremamente dispendiosi – a una campagna di vaccinazione che privilegi la figura del medico di medicina generale, indispensabile per l’ampliamento della copertura vaccinale della popolazione, anche in considerazione della diretta vicinanza con i pazienti e del rapporto di fiducia che li lega.