“I vaccini sono la speranza per il futuro e stanno arrivando”, conferma Anthony Fauci in un’intervista al sito dell’American Medical Association, con sei candidati già in varie fasi di studio clinico. “È una buona notizia in un momento di notevole preoccupazione e stress conseguenti all’epidemia. Avremo presto una risposta sul fatto che uno o più di questi candidati siano sicuri ed efficaci. Sono cautamente ottimista”, ha confessato il direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases.
Una volta conclusa la valutazione da parte della Food and Drug Administration – l’agenzia regolatoria statunitense – i vaccini potranno essere distribuiti a partire dagli individui che ne hanno più bisogno, come gli operatori sanitari in prima linea. Tuttavia, restano due domande, dice Fauci: “Quanto sarà efficace il vaccino e, cosa più importante, quante persone sceglieranno di vaccinarsi? Ma se avremo un vaccino ragionevolmente efficace tra il 70 e il 75 per cento e una percentuale sostanziale della popolazione accetterà di fare il vaccino, credo che andremo nella giusta direzione avvicinandoci alla normalità a partire dal secondo, terzo e quarto trimestre del 2021”. Più efficace sarà il vaccino, più persone lo faranno e migliore sarà la possibilità di raggiungere un’immunità di comunità. Una volta che i vaccini saranno stati scelti per la distribuzione alla popolazione continueremo ad imparare molte cose sulla nostra protezione tramite le vaccinazioni, sostiene Fauci.
Efficacia, sicurezza e organizzazione dei piani vaccinali sono una pagina aperta: anche per questo l’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) intende costituire un tavolo di riflessione e discussione sui vaccini chiamando a partecipare personalità di riconosciuta competenza: si fanno i nomi di Rodolfo Saracci, Stefania Salmaso, Donato Greco, Maurizio Bonati.
Ad ogni modo, nonostante gli annunci di molte personalità della Politica, a inizio dicembre 2020 non abbiamo ancora un vaccino per covid-19 che possa già essere somministrato al di fuori degli studi clinici. Molti studi sono in corso, alcuni in fase avanzata. Il New York Times propone un servizio che tiene sotto controllo l’avanzamento degli studi sui vaccini. Ad oggi, sono 74, di cui 6 approvati ma solo per un uso limitato o precoce e 13 in corso di studio nella cosiddetta fase 3 durante la quale il vaccino è già somministrato a migliaia di volontari, in modo controllato (prevedendo dunque un gruppo di confronto al quale è somministrata una sostanza inerte o placebo) e randomizzato (quindi assegnando il vaccino in modo casuale alle persone “arruolate” nell’uno o nell’altro gruppo).
I benefici e i rischi dei vaccini per covid-19 devono essere adeguatamente valutati sulla base di informazioni dettagliate.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità spiega il processo in modo chiaro: “Se un vaccino si è dimostrato sicuro ed efficace, deve essere approvato dalle autorità regolatorie nazionali, deve essere prodotto secondo standard rigorosi e distribuito. L’OMS sta lavorando con diversi partner in tutto il mondo per aiutare a coordinare le fasi chiave di questo processo. Una volta che un vaccino sicuro ed efficace sarà disponibile, l’OMS lavorerà per facilitare un accesso equo per i miliardi di persone che ne avranno bisogno”.
Se l’attività dell’OMS è di promozione e coordinamento, il ruolo approvativo in Europa è della European Medicines Agency (Ema). Al tavolo dell’agenzia europea siede ovviamente anche l’Aifa che sul proprio sito precisa che “i benefici e i rischi dei vaccini per covid-19 devono essere adeguatamente valutati sulla base di informazioni dettagliate su produzione, dati non clinici e sperimentazioni cliniche ben designate. Data la natura globale della pandemia e la necessità di garantire che gli sviluppatori di vaccini generino prove solide che soddisfino i requisiti regolatori a livello globale, l’EMA e le agenzie regolatorie internazionali (Imcra) hanno concordato i principi chiave per il disegno degli studi per covid-19. Sono state adottate procedure che consentono la revisione ciclica dei dati sulla qualità come pure dei dati non clinici e clinici presentati alle autorità regolatorie dell’Unione Europea. L’autorizzazione all’immissione in commercio (Aic) nell’Ue può essere concessa ove sia dimostrato che i benefici del vaccino superano i rischi noti o potenziali”.
“AIFA darà il proprio contributo alla valutazione nell’ambito del tavolo previsto presso Ema, non appena le industrie presenteranno le domande accompagnate dai dati necessari per la valutazione” ci dice il direttore dell’Agenzia, Nicola Magrini. “Fino ad oggi (29 novembre 2020) gli unici dati di cui siamo venuti a conoscenza sono quelli annunciati nei comunicati stampa delle aziende, il che non solo è sorprendente ma è anche in certa misura irrituale”.
A proposito di cose sorprendenti, non si può non citare quello che è accaduto nel corso dello studio sul vaccino sviluppato dalla Oxford University con l’azienda farmaceutica AstraZeneca. Come spiega il sito di informazione per i cittadini curato dalla Fnomceo, Dottore ma è vero che, riprendendo un commento del British Medical Journal (Bmj), “i risultati provvisori di fase 3, basati su 131 casi sono stati resi disponibili tramite un comunicato stampa (il 23 novembre) e suggeriscono che il vaccino potrebbe essere efficace fino al 90% quando viene somministrata mezza dose, seguita da una dose completa un mese dopo. Quando due dosi complete vengono somministrate a un mese di distanza, tuttavia, l’efficacia scende al 62 per cento”.
Com’è possibile che una dose ridotta possa proteggere di più? È una domanda che si pongono in molti ma le dinamiche delle risposte immunitarie non seguono logiche lineari, per così dire. La cosa più strana, però, è che la scoperta della diversa risposta è frutto di quello che il New York Times ha definito “un errore fortunato”. Sembra che i ricercatori avessero intenzione di somministrare ai volontari la dose iniziale piena, ma hanno fatto un errore di calcolo e hanno accidentalmente somministrato il vaccino ad un dosaggio dimezzato. Meno di 2.800 volontari hanno ricevuto la dose iniziale dimezzata, su oltre 23.000 partecipanti. “Si tratta di un numero piuttosto ridotto di partecipanti per poter avere certezza dell’efficacia del vaccino”, ha commentato il New York Times.
Qualche altra nuvola si sta addensando sopra gli studi sul vaccino AZ-Oxford ma va ricordato che diversi governi – tra i quali quello italiano – hanno comunque già concordato acquisti di dosi: quattrocento milioni per la popolazione europea mentre la Gran Bretagna ne ha già prenotate 100 milioni che potrebbero essere utilizzate per vaccinare 66 milioni di persone (sono infatti necessarie due dosi a distanza di giorni). L’università di Oxford ha espresso il desiderio che il vaccino sia accessibile in tutto il mondo, anche nei paesi a basso reddito (la conservazione di questo vaccino sembra comportare meno problemi di quella di altri prodotti), rientrando la ricerca dell’università inglese nello sforzo di oltre 150 nazioni che aderiscono al progetto Covax, di cui l’Oms è tra i promotori, e che ha come obiettivo quello di proteggere i sistemi sanitari più vulnerabili. L’intenzione è distribuire entro la fine del 2021 almeno due miliardi di dosi di vaccino a nazioni a basso reddito.
Il primo vaccino presentato alla Food and Drug Administration (Fda) per l’autorizzazione all’uso di emergenza è comunque quello sviluppato da Pfizer e BioNTech. La richiesta è stata presentata il 20 novembre, dopo la conclusione di uno studio di fase 3. I risultati, per ora rilasciati soltanto dal comunicato stampa, sono riferiti a 170 casi confermati di covid-19 e sembrano dimostrare che l’efficacia del vaccino era del 95 per cento a distanza di 28 giorni dopo la somministrazione della prima dose. Nove su 10 casi gravi di covid-19 registrati nello studio si sono verificati tra i partecipanti inclusi nel gruppo al quale è stato somministrato un placebo. Anche in questo caso, molte nazioni hanno già prenotato rilevanti quantitativi di dosi: l’Unione Europea ne avrà 200 milioni più un’opzione per altre 100. A livello globale, sono previste 50 milioni di dosi nel 2020 e fino a 1,3 miliardi di dosi entro la fine del 2021. Il Bmj prevede “che il vaccino costerà circa 15 sterline per dose, un costo molto più alto del vaccino Oxford-AstraZeneca. Sono state sollevate preoccupazioni anche sulla logistica, poiché il vaccino deve essere conservato a -70° C”. Cento milioni di dosi sono invece quelle prenotate dagli Stati Uniti del vaccino Moderna, che potrà essere conservato un mese in frigorifero per 30 giorni, a temperatura ambiente per un massimo di 12 ore e a una temperatura di meno 20° C per un massimo di sei mesi. Il candidato di Moderna è il più costoso: circa 27,50 euro per dose.
In una velocissima corsa a ostacoli, le informazioni sui vaccini viaggiano se possibile ancora più veloci degli studi che ne devono provare efficacia e sicurezza. Alcuni aspetti che riguardano il disegno metodologico delle ricerche, per esempio, non sono a tutti chiari e se ne parla raramente. Per esempio, gli studi di fase 3 che stanno per essere ultimati non sono stati concepiti per dimostrare l’efficacia nella prevenzione degli esiti gravi di covid-19. Infatti, una volta arruolati i partecipanti e somministrati vaccino e placebo (in maniera ovviamente randomizzata e cieca), le prime analisi ad interim sono previste non appena sia stato segnalato un numero relativamente modesto di casi sospetti per sintomatologia lieve (tosse, febbre, dolore alle ossa). A quel punto, viene verificato l’effettivo contagio e si controlla se le persone che hanno contratto covid-19 appartengano al gruppo che ha ricevuto il vaccino o quello di controllo. Inoltre, l’efficacia dei vaccini è stata valutata per circa due mesi.
Anche se vaccinati, si dovrebbe continuare a indossare la mascherina, almeno inizialmente.
“Resta da vedere come si evolverà questa protezione nel tempo”, spiega Claire-Anne Siegrist, direttrice del centro di vaccinologia degli ospedali universitari di Ginevra in un’interessante intervista a Les Temps. “Per determinarlo, sarà necessario continuare a monitorare l’evoluzione delle infezioni tra i partecipanti nei mesi a venire. Spero che una buona protezione duri per diversi mesi, poiché il livello iniziale del 95 per cento è alto”. Altro punto importante è che anche se un vaccino sarà efficace nel prevenire le forme gravi di covid-19, non potrà interrompere la trasmissione della malattia sostiene Peter Doshi. Maggiore incertezza nelle parole di Siegrist: “Le persone vaccinate potrebbero ancora essere infettate e quindi trasmettere la malattia ad altri? Non ci sono prove per dirlo al momento. A differenza di altri vaccini, non potrai contare sul fatto che altri saranno vaccinati per essere protetto. Significa anche che, anche se vaccinati, si dovrebbe continuare a indossare la mascherina, almeno inizialmente, fino a quando non saranno disponibili informazioni più dettagliate su come questi vaccini influenzano la trasmissione del virus”.
Dunque, gli studi sul vaccino per la covid-19 sono attualmente disegnati in modo tale l’efficacia possa essere valutata “strada facendo”, proprio per guadagnare tempo. Al momento della valutazione ad interim, se le persone contagiate fossero in maggioranza nel gruppo che ha ricevuto il placebo sarebbe ovviamente un’ottima notizia, ma sorgerebbe una domanda di non facile risposta: è etico continuare lo studio continuando a somministrare placebo alla metà dei partecipanti?
Chi fosse convinto dell’opportunità di cessare lo studio dovrebbe essere consapevole che in questo modo lo studio stesso non raggiungerebbe mai un’ampiezza sufficiente per svelare i possibili effetti avversi del vaccino prima di una campagna vaccinale su vasta scala, esponendo potenzialmente la popolazione generale ad un rischio non trascurabile. Resta dunque un margine di incertezza sui possibili eventi avversi legati ai vaccini in corso di studio. “L’individuazione di eventi avversi rari gravi richiederà lo studio di decine di migliaia di pazienti, ma questo non sarà possibile in caso di approvazione precoce di un prodotto che non abbia completato la sua valutazione prevista dal compimento dello studio clinico”, hanno scritto recentemente i ricercatori di Harvard Jerry Avorn e Aaron Kesselheim in un articolo pubblicato sulla rivista ufficiale della American Medical Association.
Anche il direttore dell’AIFA, Nicola Magrini, ritiene che il cosiddetto “crossover” da un braccio ad un altro dello studio sia da evitare: “Credo che gli studi debbano giungere a conclusione anche qualora le analisi ad interim dimostrino l’efficacia di un vaccino per raccogliere tutti i dati necessari in merito alla sicurezza. È una questione delicata ma credo che la scelta etica di partecipare ad una ricerca debba far accettare a chi partecipa di continuare a essere parte dello studio fino al suo compimento”. Una posizione in grande misura vicina a quella dei ricercatori che hanno firmato di recente un importante contributo su una delle riviste mediche più importanti del mondo, gli Annals of Internal Medicine.
Per adesso, però, nessun dato è stato finora pubblicato su riviste scientifiche
La disponibilità dei dati è dunque un aspetto centrale non solo al momento della approvazione, ma anche in prospettiva. “Per adesso, però, nessun dato è stato finora pubblicato su riviste scientifiche” sottolinea Maurizio Bonati, ricercatore dell’Istituto Mario Negri. “Stiamo assistendo prevalentemente a quella che definirei una «guerra di mercato» a colpi di comunicati stampa e dichiarazioni degli amministratori delegati delle aziende. Non conosciamo ancora la composizione delle «popolazioni» di persone vaccinate e, forse proprio per il desiderio di fare presto, ci siamo ritrovati con l’imbarazzante errore avvenuto durante lo studio di uno dei vaccini per i quali c’era più aspettativa”. Nonostante tutto, sostiene Nicola Magrini, “disponiamo di risultati incoraggianti che potrebbero esserlo ancora di più su categorie a maggior rischio di quelle che sono state fino ad oggi coinvolte negli studi, perché potrebbero beneficiare ancora di più dell’efficacia protettiva dei vaccini. E va detto che se questi primi vaccini fossero legati a effetti avversi importanti, questi sarebbero già emersi in questi mesi di sperimentazione”. Secondo il direttore generale dell’Aifa le dimensioni degli studi sono adeguate per rassicurare in merito alla sicurezza dei vaccini.
Parere condiviso anche da uno dei maggiori esperti internazionali come Paul Offit, pediatra del Children’s Hospital di Filadelfia che in una conversazione su Medscape con Eric Topol afferma: “Si tratta di studi ampi, prospettici e controllati con placebo. Lo studio di Johnson & Johnson coinvolge 60.000 persone, quello di Pfizer 44.000, quello di Moderna 30.000”: dimensioni adeguate che addirittura potrebbero giustificare un’approvazione secondo una procedura ordinaria da parte delle agenzie regolatorie. “Lo studio per l’approvazione del vaccino Hpv coinvolgeva 30.000 persone. Quello sul rotavirus 70.000 persone; quello contro lo pneumococco 35.000. Quindi la dimensione dei trial sul vaccino covid-19 è nella norma. Allora perché non approvarli nel modo col quale è stato sempre fatto?”
La riflessione di Offit è molto interessante anche perché tocca un punto chiave del dibattito di questi mesi: “Man mano che si procede con questo tipo di studi, si passa dalla fase 1 alla fase 2 e alla fase 3, si cerca solo di ridurre l’incertezza. Questo è l’obiettivo. Quanta incertezza devi ridurre? Dobbiamo aspettare, ad esempio, i risultati di un follow-up di 1 anno, sapendo che durante quel periodo centinaia di migliaia di persone potrebbero morire? Dovremmo aspettare due anni in maniera da ottenere tutti i dati come faremmo per un vaccino altro vaccino? La risposta è no, perché di rotavirus muoiono 60 bambini all’anno, una situazione un po’ diversa da ciò che stiamo vivendo con covid-19”.
Prevediamo di vaccinare un milione di persone al mese per i prossimi sei mesi
Infine, la distribuzione dei vaccini. Il presidente eletto Joe Biden ha fatto del contrasto aggressivo di covid-19 il punto centrale della propria campagna elettorale ed è già al lavoro per definire il priority setting della distribuzione delle dosi. Allo stesso modo in diverse nazioni europee. Invece, “il piano vaccinale svizzero – spiega Siegrist – non è stato ancora divulgato, ma è già stabilito che rispetto ad altri paesi, come Stati Uniti o Francia, che vogliono iniziare a vaccinare alla fine di quest’anno, aspetteremo ancora qualche mese. Le vaccinazioni dovrebbero iniziare all’inizio della primavera per le persone a rischio. Sono contenta che questa scelta sia stata fatta, perché questi pochi mesi, fino alla fine di gennaio, forniranno risposte preziose sull’efficacia dei vaccini a più lungo termine, ma anche sui loro possibili rari effetti collaterali.”
Nessuna esitazione in Italia, invece: “Prevediamo di vaccinare un milione di persone al mese per i prossimi sei mesi” dice Nicola Magrini. “Nella determinazione delle priorità, stiamo pensando agli operatori sanitari, al personale delle Residenze sanitarie assistenziali (Rsa) e in generale al personale a contatto con il pubblico come gli insegnanti”.
A voler scorgere una notizia positiva nel dramma della pandemia che stiamo attraversando, c’è l’opportunità di ragionare, di riflettere, di confrontarsi sulla nostra relazione con l’incertezza, sulla centralità dei dati e sulla necessità che la conoscenza si costruisca attraverso il confronto e il dialogo, sul difficile equilibrio tra protezione della salute e tutela del lavoro, sull’importanza della ricerca onesta e rispettosa dei diritti. Può sembrare poco, con i terribili dati che giungono ancora ogni giorno, ma forse non lo è.