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Scienza e salute a scuola: insegnare un pensiero basato sulle evidenze


“Dobbiamo dare ai bambini un’educazione scientifica a partire dalla scuola materna”. Così Giorgio Parisi, appena laureato premio Nobel 2021 per la fisica, ammoniva nel suo intervento a Montecitorio in occasione della riunione PreCop 26. Parisi nello specifico parlava appunto di cambiamenti climatici, ma il suo richiamo riguardava l’insegnamento del metodo scientifico, come strumento che porta poi a interpretare la realtà, le informazioni che ci arrivano e fare scelte basandoci sulle evidenze. Familiarità e competenze rispetto metodi della scienza sono fondamentali in ogni ambito della vita e allo stesso tempo sono carenti, come abbiamo visto durante l’emergenza sanitaria di covid-19 osservando le reazioni al diffondersi della pandemia e delle misure di contenimento del virus. E il fatto che manchi negli adulti di oggi dipende anche dal fatto che è da tempo assente nell’insegnamento scolastico a tutti i livelli.

“La nostra scuola è ancora di ispirazione crociana e gentiliana, è una scuola fondamentalmente di tipo letterario-filosofico-artistico. La scienza non è presente nella scuola attuale”, sostiene Silvio Garattini, fondatore e presidente dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri. “Qualcuno potrebbe obiettare: ‘non è vero perché a scuola si insegna matematica, si insegna fisica, si insegna chimica e biologia’. Questo è vero, però questi sono i contenuti della scienza, è quello che sappiamo della scienza e molto spesso è anche una storia della scienza (…). Quello che manca nella scuola italiana è la scienza come fonte di conoscenza (…) La scienza deve entrare perché è una parte importante della conoscenza perché ha un metodo che è differente”.

Le conseguenze dell’assenza

Padroneggiare il metodo scientifico e il pensiero critico permette di compiere scelte basate sulle evidenze che sono in grado di pesare rischi e benefici e di mettere in discussione continuamente le proprie convinzioni una volta che queste si sono dimostrate non corrispondenti ai fatti e ai dati oggettivi. Tornando all’attualità della pandemia, si sente spesso dire da chi si oppone oggi alla vaccinazione o si è opposto in passato alle misure di contenimento che “pensa con la sua testa”. Ecco pensare con la propria testa e non seguire il metodo scientifico significa cadere nelle trappole che il cervello ci tende continuamente, in quelli che sono chiamati bias o pregiudizi: per esempio credere a ciò che conferma le nostre convizioni o fare in modo di razionalizzare le nostre scelte in modo che ci sembrino le più giuste e convincenti (per saperne di più sui bias cognitivi). Il rigore del metodo scientifico invece costringe a rinunciare ai nostri preconcetti e affidarci a sperimentazioni e dati ( solidi quantitativamente e qualitativamente), a risultati che devono essere ripetibili e via dicendo.

Quello che manca nella scuola italiana è la scienza come fonte di conoscenza.

“Quanto sarebbe stata utile questa cultura in questo periodo di covid-19! Non sarebbe stato necessario discutere sulle mascherine, sulle distanze, sugli assembramenti”, prosegue Garattini. “Si sarebbero potuti evitare molti trattamenti che, anche se fatti con le migliori intenzioni, si sono rivelati in seguito inutili o addirittura dannosi. Molti sarebbero stati in grado di valutare correttamente le tante stupidaggini raccontate attraverso i social network. Non ci sarebbe una paura diffusa dovuta ad un elenco di morti attribuiti al vaccino anti-Sars-Cov-2”. Inoltre, ricorda lo scienziato, “il danno della mancanza di una cultura scientifica non riguarda solo aspetti personali, ma si ripercuote anche sulla società: i politici che devono prendere decisioni, derivano dal tipo di scuola in cui la scienza non fa parte della cultura. Non abbiamo certamente brillato come Paese quando, ad esempio, il nostro Parlamento ha deciso di realizzare, parecchi anni orsono, una sperimentazione sulla ‘terapia Di Bella’: un insieme di prodotti proposti come terapia per guarire tumori ed altre malattie che non aveva alcuna base per essere efficace. Sempre i nostri politici dopo qualche anno sono ricaduti nel medesimo errore, valutando in Parlamento l’importanza di un prodotto, Stamina, per la terapia di tutte le malattie rare. Per fortuna le reazioni dell’ambiente scientifico sono riuscite a bloccare uno studio senza senso”.

Come fare?

Come portare pensiero critico, pensiero scientifico, alfabetizzazione sanitaria nelle scuole? In questo articolo di Micromega trovate alcune proposte molto concrete che lo stesso Giorgio Parisi aveva fatto nel 2014 . Silvio Garattini, invece, sottolinea due aspetti: il primo è che, oltre a essere necessaria una riforma dei programmi di tutti i livelli di insegnamento scolastici, è fondamentale una formazione degli insegnanti che preveda anche la preparazione a portare in classe un insegnamento attivo. Il secondo è che si insegni a guardare anche al futuro: “La nostra scuola è molto spesso rivolta al passato, sappiamo molto bene da dove veniamo ma molto poco verso dove stiamo andando. Perciò sarebbe importante prospettare visioni del futuro, attraverso un aggiornamento degli insegnanti ed evitando un eccesso di passività da parte degli studenti spesso abituati solo a lezioni frontali”.

“Potremmo prendere l’occasione per legare la metodologia scientifica anche a problemi che riguardano la salute, in modo da avere due vantaggi in questo tipo di educazione, perché a scuola si parla molto poco di salute”, conclude Garattini. “Ma si deve cominciare presto perché il problema prospettato è urgente a causa dell’accelerazione delle conoscenze scientifiche, e non può non ripercuotersi su di una società priva di elementi di metodologia scientifica necessari per una loro corretta interpretazione”.

Informed health choices

Di portare la salute in classe, portare nelle scuole un’educazione sanitaria e una promozione della salute, in Italia si parla dal 1972, come vi abbiamo già raccontato (qui, vi ricordate? ). Farlo coniugandola alla costruzione del pensiero scientifico è l’idea invece del progetto Informed health choices (Ihc), creato nel 2012 da alcuni ricercatori, tra cui David Sackett, Iain Chalmers e Andy Oxman, grazie ad un finanziamento da parte del Consiglio di Ricerca norvegese. Il progetto ha l’obiettivo di diffondere l’alfabetizzazione sanitaria, quindi tutti quegli strumenti che ci servono per orientarci nelle affermazioni sui trattamenti di salute e prendere decisioni informate, a tutta la popolazione, a partire dai bambini e dai ragazzi, e da allora ha acquisito un respiro internazionale, raggiungendo 26 Paesi diversi.

Nell’ambito del progetto Informed health choice un gruppo multidisciplinare composto da medici ma anche insegnanti, designer, giornalisti, esperti di salute pubblica ha elaborato una serie di risorse didattiche per la scuola primaria e secondaria (queste ultime in fase di sviluppo). Per la scuola primaria, per esempio, sono stati realizzati un libro di testo, che è un fumetto, una guida per gli insegnanti e un libro di esercizi per verificare le competenze. I ricercatori di Ihc hanno sottoposto il loro progetto a uno studio randomizzato condotto in Uganda, coinvolgendo 120 scuole e oltre 10mila bambini. Come hanno riportato sul Lancet, il gruppo di bambini a cui sono stati trasmessi i concetti base del pensiero critico erano più in grado dei loro pari di orientarsi meglio tra le affermazioni che riguardavano la salute e comprendere i passaggi per arrivare a una decisione informata.

Perché cominciare dai bambini? “Innanzitutto perché il tasso di frequentazione delle scuole primarie in tutto il mondo, anche nei Paesi a basso tenore di sviluppo socioeconomico, è molto alto e, quindi, cominciare a insegnare concetti di alfabetizzazione sanitaria ai bambini permette di tenere in considerazione un’ampia fetta di popolazione”, ci spiegano Camilla Alderighi e Raffaele Rasoini – entrambi cardiologi e collaboratori dell’Associazione Alessandro Liberati – che nel 2020 hanno portato in alcune classi fiorentine il progetto Ihc “L’altra ragione fondamentale è che, diversamente dagli adulti che sono più restii a imparare nuovi concetti e strumenti, ancorati come sono a pregiudizi e misconcetti preesistenti, i bambini sono come delle pagine bianche. Talvolta si dice hanno meno da disimparare, e hanno tanto da imparare e sono molto versatili in questo; tant’è che esiste tutta una letteratura che ha dimostrato come i bambini a partire dalla scuola primaria siano in grado di comprendere le basi del pensiero critico”.

Cominciare a insegnare concetti di alfabetizzazione sanitaria ai bambini permette di tenere in considerazione un’ampia fetta di popolazione.

Alderighi e Rasoini si sono avvicinati al progetto Informed health choices, rivolgendosi direttamente al gruppo dei fondatori: si sono proposti per tradurre i materiali didattici per la scuola primaria che sono stati poi stampati in edizione limitata dal Pensiero Scientifico Editore (nell’immagine in alto) e hanno avviato un progetto pilota che si è svolto all’Istituto Comprensivo Poliziano di Firenze. “Siamo andati a insegnare i concetti chiave del pensiero critico sulla salute a due classi V elementari per dieci settimane, da gennaio 2020 a giugno 2020, quindi con le prime lezioni che si sono svolte in presenza e poi le ultime, a causa del lockdown nazionale, tramite la didattica a distanza. I bambini hanno risposto benissimo all’apprendimento dei concetti chiave, al questionario finale: non solo hanno acquisito la conoscenza di questi strumenti, ma hanno avuto dei punteggi talmente alti da far parlare di padronanza degli strumenti stessi”, spiegano Alderighi e Rasoini.

“Questi concetti chiave che abbiamo trasmesso ai bambini erano molto attinenti all’attualità che stavamo vivendo, e mentre venivano pubblicati i primi studi su un ipotetico trattamento per covid 19 – che era l’idrossiclorochina – noi parlavamo in classe di questi studi e i bambini erano in grado di evidenziarne i limiti – come il piccolo numero di pazienti o l’assenza di un vero e proprio gruppo di controllo -, né più né meno di come veniva fatto in quei giorni nella stampa di tipo scientifico tra gli addetti ai lavori ”, prosegue Alderighi. “Inoltre, questi concetti base, questi principi del pensiero critico nella scienza si sono integrati perfettamente con il curriculum scolastico italiano tradizionale. Gli insegnanti hanno intrapreso progetti paralleli molto belli. Per esempio, un’insegnante ne ha portato avanti uno sui messaggi pubblicitari, per educare i bambini a percepire le scorrettezze presenti in certi tipi di messaggi contenuti nelle pubblicità”.

Condurre questo tipo di sperimentazioni presenta diverse difficoltà: dalla delicatissima intersezione tra due settori – salute ed educazione – al riportare i risultati in maniera utile per trarre delle conclusioni. “Riportare i risultati non è semplice, però, secondo me, è anche una grande opportunità perché necessariamente comporta che i dati quantitativi, quindi i risultati che i bambini ottengono che sono molto ma non sono tutto, si integrino con i dati qualitativi. Questi ultimi, se raccolti con rigore metodologico, possono fornire informazioni preziose e input fondamentali per l’applicazione di queste risorse nella realtà concreta della scuola”.

Questi concetti base, questi principi del pensiero critico nella scienza si sono integrati perfettamente con il curriculum scolastico italiano tradizionale.

Dopo il primo progetto pilota i due cardiologi fiorentini, con il supporto dell’Associazione Alessandro Liberati, stanno ampliando il loro programma in modo da coinvolgere più scuole e in più regioni. In questo contesto hanno avviato un calendario di corsi di formazione per insegnanti di scuola primaria per dare loro le basi necessarie per veicolare ai bambini concetti chiave individuati da Ihc. “Quindi il primo progetto pilota ha avuto come docenti due medici, mentre, sempre nell’ottica dell’evoluzione, della contestualizzazione delle risorse nella scuola, in questo ampliamento del progetto noi vogliamo cedere il testimone ai docenti”, proseguono Alderighi e Rasoini. L’obiettivo finale è però ben più ambizioso: non solo estendere il progetto pilota a più classi e regioni nella Penisola, ma capire se è possibile generalizzare questi risultati all’intero contesto della scuola primaria italiana e trovare il modo per inserire in modo ufficiale il curriculum Informed health choices nella scuola italiana, come già accaduto in Norvegia.

Un progetto molto simile in principio, anche se non parte del curriculum Informed health choice sta poi per essere avviato anche in un liceo scientifco romano, il Pasteur; perché se partire dai bambini è fondamentale, lo è altrettanto non lasciare indietro i ragazzi. Il progetto, realizzato dal Pensiero Scientifico Editore, comincerà a novembre e proseguirà fino a marzo 2022. Il punto di partenza è l’esperienza della pandemia, che ha mostrato quanto sia importante avvicinarsi all’informazione in maniera consapevole quale che sia il mezzo che le propone: televisione, carta stampate e, di particolare importanza per i giovani, social media. L’obiettivo però va oltre l’emergenza ed è quello di avvicinare i ragazzi ai percorsi percorsi dell’informazione medico scientifica e fornire loro gli strumenti per decodificarla, interpretarla e per prendere decisioni per la loro salute che siano basate sulle evidenze.

 

Il secondo Corso di formazione per docenti:”Decisioni Informate sulla salute: imparare a riflettere sui trattamenti”, condotto da Camilla Alderighi e Raffaele Rasoini, partirà a dicembre. Il corso è diretto ai docenti della scuola primaria e secondaria di primo grado che vogliano iniziare ad insegnare ai loro studenti i concetti chiave del pensiero critico nella scelta dei trattamenti per la salute. Per informazioni e iscrizioni, scrivere a informedhealthchoices.italia@gmail.com.