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Photo by Akio Takemoto / CC BY-SA

Quanto e perché si guadagna sui vaccini covid-19


Due tipi interessanti: Anthony Faucidirettore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases – e Mildred Solomon hanno conversato il 19 novembre a proposito della crisi di fiducia nella scienza in un meeting online curato proprio dall’Hastings Center di cui Solomon è presidente. Una discussione molto utile da ascoltare, se a qualcuno importasse ridurre la diffidenza dei cittadini nei confronti di medici e ricercatori, in mesi caratterizzati da un’estrema polarizzazione.

La corsa ai vaccini per covid-19 pone delle domande di natura etica? I comunicati stampa diffusi dalle industrie promettono che i vaccini abbiano un’efficacia superiore al 90 per cento. Uno dei primi vaccini sarebbe addirittura “efficace al 100 per cento nei casi gravi” a giudicare dalle analisi ad interim diffuse dalle press release industriali. I comunicati stampa continuano a essere una lettura meravigliosa, da tenere a portata di mano dopo una sconfitta della squadra del cuore o quando la fidanzata ti ha tradito: nonostante siano all’origine di gran parte dei danni sofferti dalla comunicazione scientifica, le veline diffuse dalle aziende (ma anche dagli istituti di ricerca accademici) sono un balsamo capace di lenire le preoccupazioni del peggiore ipocondriaco.

Fauci e Solomon hanno discusso il delicato equilibrio tra sicurezza e rapidità dello sviluppo di vaccini e nuove terapie per covid-19. Stiamo correndo troppo? Considerata la velocità con cui vengono sviluppati questi e altri vaccini, ci dobbiamo preoccupare per la sicurezza? Fauci dice di no: “La velocità è un riflesso dei progressi scientifici”, ha detto e ha fatto pure lo spiritoso aggiungendo che “in altre parole, la tecnologia per fare un vaccino non è quella di tuo nonno”. Il processo di sviluppo e produzione è sicuro, garantisce Fauci, perché prima che un vaccino possa essere approvato dalla Food and Drug Administration negli Stati Uniti viene valutato da un comitato di controllo indipendente “che non deve niente a nessuno, né al Presidente, né all’industria”.

La velocità è un riflesso dei progressi scientifici.

La direttrice dell’Hasting Center ha sottolineato che la questione è molto importante in quanto, una volta vaccinate, le persone dovranno comunque indossare mascherine e restare a distanza l’una con l’altra per un po’ di tempo. Ma come si fa a guadagnare la fiducia dei cittadini ha chiesto la Solomon a Fauci? Che ha risposto così: “Devi basare il tuo lavoro su dati e prove solide, devi essere trasparente e mai allineato con alcuna posizione politica o ideologica e quando non conosci la risposta a una domanda lo devi ammettere”.

Chiarissimo. Sempre a proposito di etica, c’è una questione di cui si preferisce parlare sotto voce: produrre e vendere vaccini è un affare per le industrie? “Il mercato è più piccolo, con meno protagonisti”, spiega Annalisa Merelli su Quartz. “Prima di covid-19, il mercato globale di tutti i vaccini era di circa 24 miliardi di dollari all’anno, solo una piccolissima parte del mercato farmaceutico complessivo, che ha un fatturato annuo stimato di oltre 1 miliardo di miliardi di dollari. I vaccini antinfluenzali, ad esempio, sono un mercato da 4 miliardi di dollari con Sanofi, il più grande produttore, che vende circa 1 miliardo di dollari all’anno. Nel caso di un vaccino per la covid-19, c’è una significativa pressione pubblica per mantenere il costo il più basso possibile al fine di rendere i vaccini accessibili a livello globale (ne abbiamo parlato in questo post, ndr). Questo è il motivo per cui le aziende farmaceutiche si sono impegnate a fornire i primi diversi milioni di dosi a prezzi ridotti, da un minimo di $3 per dose (AstraZeneca) a 25 – 37 dollari per dose (Moderna). Con un mercato più ampio del vaccino antinfluenzale e un margine di profitto inferiore (almeno inizialmente), le entrate annuali per il vaccino covid-19 dovrebbero essere di 10 miliardi di dollari all’anno fino a quando il virus smetterà di essere un pericolo per la salute pubblica, il che potrebbe essere solo un paio d’anni”.

I governi devono strutturare partenariati pubblico-privato per garantire benefici sia ai cittadini che all’economia.

Eppure… Il Comitato nazionale di bioetica (Cnb) “ritiene che il vaccino debba essere considerato un «bene comune», la cui produzione e distribuzione a favore di tutti i Paesi del mondo non sia regolata unicamente dalle leggi di mercato. Questa raccomandazione non deve rimanere un mero auspicio, ma piuttosto un obbligo a cui deve far fronte la politica internazionale degli Stati. Altresì il Cnb ritiene indispensabile che le aziende farmaceutiche riconoscano la propria responsabilità sociale in questa grave condizione pandemica”. Il pronunciamento del Cnb è nobile e condivisibile ma rischia di restare lettera morta in assenza di un indirizzo di governo delle partnership tra imprese private e istituzioni pubbliche. Ne ha parlato– e in modo chiaro – anche l’economista Mariana Mazzucato, in un articolo uscito sul quotidiano inglese The Guardian: “I governi devono strutturare partenariati pubblico-privato per garantire benefici sia ai cittadini che all’economia. La sanità è un settore che riceve miliardi come finanziamento pubblico: negli Stati Uniti, i National Institutes of Health (Nih) investono 40 miliardi di dollari all’anno. Dall’epidemia di Sars del 2002, l’Nih ha speso 700 milioni di dollari per la ricerca e lo sviluppo sul coronavirus. Il finanziamento pubblico così imponente destinato all’innovazione in sanità dovrebbe tradursi nella capacità dei Governi di orientare il processo per garantire che i prezzi siano equi, che non ci sia un abuso di brevetti, che sia tutelata l’offerta di farmaci e che i profitti delle industrie siano reinvestiti nuovamente nell’innovazione e non distribuiti agli azionisti”.

Come lascia intendere Mazzucato, oltre le vendite di quantitativi di vaccini ai Governi c’è un altro modo in cui aziende come Pfizer e Moderna potranno guadagnare con il vaccino. Sono i brevetti su come sono stati sviluppati e prodotti. “I brevetti per i vaccini durano 20 anni (meno il tempo necessario per ottenere l’approvazione per l’uso del vaccino) – spiega Merelli nell’articolo su Quartz prima citato – e, nella maggior parte dei casi, i grandi produttori li richiedono in tutto il mondo come fanno per altri farmaci, al fine di impedire che altre aziende li producano in altri paesi senza licenza”. Un vaccino può avere dozzine di brevetti, da quello che protegge la formula (vedi l’elenco di Public Citizen dei brevetti Moderna sulla tecnologia impiegata per covid-19) al metodo di somministrazione, fino al processo di fabbricazione. Però, se si seguono strade già battute c’è poco da brevettare, per così dire. Questa potrebbe essere stata la motivazione per cercare qualcosa di nuovo, usando per esempio la tecnologia che sfrutta l’Rna messaggero, il materiale genetico che contiene le istruzioni per la sintesi di nuove proteine.

Possiamo usare questo momento per portare al centro del capitalismo un approccio che rimetta al primo posto gli interessi della società.

“L’investimento nello sviluppo del vaccino covid-19 ha spinto avanti la ricerca sull’mRna e i vaccini sono il primo utilizzo di una tecnologia completamente nuova che potrebbe essere utilizzata non solo per altri vaccini, ma anche per altri tipi di trattamenti”, scrive Merelli. Basta affacciarsi al sito di Moderna per vedere cosa bolle in pentola in oncologia, cardiologia, altre malattie infettive… “È probabile che questa innovazione utilizzata nei vaccini venga vincolata da diversi brevetti”. Moderna ha comunicato che non ostacolerà né citerà in giudizio altre società qualora decidessero di produrre vaccini basati sulla stessa tecnologia. Però, solo per il tempo della pandemia da Sars-CoV-2. Ma l’impegno di Moderna la mette nella migliore posizione per far crescere il nuovo mercato dell’mRNA su cui si fonda la sua attività, capitalizzare gli accordi di licenza e ripristinare tutti i diritti di applicazione post pandemia.

La speculazione sui brevetti che vincolano l’innovazione è tipica di quella che l’economista Ugo Pagano definisce “una scienza chiusa” in un post uscito sul Menabò di Etica ed Economia: “I diritti di proprietà intellettuale – spiega – pongono problemi non solo nella fase di sviluppo del vaccino ma anche al momento della sua produzione e distribuzione. In loro assenza si potrebbero sfruttare le capacità produttive dei molti impianti idonei esistenti in tutto il mondo. Invece non aver nemmeno previsto per questi vaccini delle licenze obbligatorie renderà molto lenta la produzione dei vaccini generando ritardi che potrebbero costare numerose vite umane”.

“Possiamo usare questo momento per portare al centro del capitalismo un approccio che rimetta al primo posto gli interessi della società”, raccomanda Mariana Mazzucato sul Guardian: “Non lasciamo che questa crisi vada sprecata”. Per adesso, chi non sta affatto sprecandola sono le grandi aziende farmaceutiche dalle quali, per una volta, si potrebbe imparare qualcosa.