Come probabilmente necessario, in questo periodo tutta l’attenzione è concentrata su covid-19: in termini di forze spese dal servizio sanitario, in termini di finanziamenti, in termini di vaccinazioni. Nel far questo tuttavia si sta correndo un rischio. Quello di ritrovarsi, alla fine del tunnel della pandemia o anche ai primi bagliori di quella luce che indica l’uscita, sommersi da una serie di altre emergenze sanitarie. Per esempio un gran numero di pazienti oncologici o con patologie croniche trascurati per mancanza di risorse o per dovuta precauzione. Ma anche giovani indiscriminatamente esposti a un rischio di contrarre malattie infettive ben maggiore di quanto dovrebbe essere, in considerazione del fatto che per queste un vaccino esiste ed è a portata di mano già da tempo.
“Il tema delle vaccinazioni è un tema importantissimo e purtroppo la pandemia da covid ha determinato un calo nelle coperture vaccinali”, spiega a Senti chi parla Susanna Esposito, Professore ordinario di Pediatria, Università di Parma e Direttore Clinica pediatrica AOU Parma. “Calo che si assesta su percentuali addirittura superiori al 10 per cento nel primo anno di vita e, secondo una recente sorveglianza della Società italiana di pediatria, addirittura al 35 per cento per alcune vaccinazioni”.
In realtà negli ultimi mesi le vaccinazioni della prima infanzia sembrano aver riguadagnato strada, ma altrettanto non può essere detto con quelle destinate ai ragazzi e agli adolescenti, come quella per l’Hpv, come i richiami di tetano, difterite e pertosse, come quella contro la meningite, sia tetravalente sia contro il meningococco B, offerta ai giovani preadolescenti ancora in troppe poche regioni del nostro Paese.
“La pandemia purtroppo ha provocato una serie di ritardi dovuti proprio al fatto che tutto il Sistema sanitario nazionale si è dovuto concentrare per far fronte a questa drammatica realtà”, spiega a Senti chi parla Alberto Villani, Direttore del Dipartimento emergenza e accettazione medicina generale dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù e Presidente della Società italiana di pediatria. “Per cui le coperture vaccinali si stanno rivelando purtroppo non soddisfacenti e in alcuni casi, come quello del vaccino contro il meningococco B, questo è ancora più sentito, più accentuato. Quindi è veramente richiesto un richiamo all’attenzione verso la pericolosità di questo germe e la necessità di vaccinarsi”.
“Una delle prime cose che abbiamo pensato quando è scoppiata la pandemia è stato: stiamo attenti a non aggiungere epidemie alla pandemia. Questo è il rischio di non tenere alte le coperture vaccinali per le altre malattie”, concorda Michele Conversano, Direttore del Dipartimento di prevenzione dell’Asl di Taranto. “Focolai di meningite sono sempre possibili (…). È importante fare attenzione. Speriamo davvero che anche questa estate, in cui aspettiamo, speriamo, un calo della circolazione di covid-19 e anche i primi effetti di una vaccinazione un po’ più diffusa, ci sia un’attenzione da parte di tutte le Asl, di tutti i Servizi sanitari regionali a focalizzarsi su questi cali di copertura che abbiamo avuto in tutte le altre malattie”.
In effetti, grazie alle probabili riaperture, a una campagna vaccinale che comincia a decollare e alla possibilità di incontrarsi all’aperto, la probabilità che i ragazzi ricerchino dei momenti di aggregazione – particolarmente adatti alla diffusione del batterio – aumenterà decisamente con l’avvicinarsi dell’estate. “C’è tantissima voglia di riavvicinarsi e c’è stanchezza di parlare di rischi di salute”, ci racconta Guendalina Graffigna, Professore ordinario all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e Direttrice dell’EngageMinds Hub. “Se da una parte è possibile che la popolazione, pensando al prossimo futuro, farà ancora più attenzione alla salute, dall’altra parte bisogna vedere quanto questo sia un orientamento più teorico che pratico perché la fatigue che stiamo vedendo adesso è molto alta”.
Una delle prime cose che abbiamo pensato quando è scoppiata la pandemia è stato: stiamo attenti a non aggiungere epidemie alla pandemia.
Meningite, qual è la situazione in Italia
La meningite è una malattia, una malattia batterica invasiva per la precisione, molto pericolosa. Come spiega EpiCentro, il portale di epidemiologia dell’Istituto superiore di sanità, può essere provocata da tre tipi di batteri, Neisseria meningitidis (meningococco), Streptococcus pneumoniae (pneumococco) e dall’Haemophilus influenzae b. Per quest’ultimo è da anni prevista una vaccinazione obbligatoria nei bambini (parte della vaccinazione esavalente) che ha ridotto drasticamente il numero di casi. Per le meningiti da pneumococco non esiste un vaccino e sebbene siano tanto pericolose quanto le altre, raramente provocano focolai epidemici. Di Neisseria meningitidis, infine, esistono ben 13 diversi sierogruppi e non tutti provocano la meningite. In generale i più comuni sono A, B, C, W e Y, mentre in Italia e in Europa i più diffusi e pericolosi sono B e C.
Dal 1994 esiste nel nostro Paese un sistema di sorveglianza che oggi comprende tutte le malattie invasive da meningococco, pneumococco ed emofilo. Secondo quanto riportato dall’ultimo rapporto disponibile, relativo al periodo 2017-19, in questi tre anni sono stati riportati rispettivamente 197, 170 e 189 casi di meningite. Il Meningococco B, che colpisce prevalentemente bambini e adolescenti, è il più diffuso. Lo era già tra il 1994 e il 2003, ma a partire dal 2000 in Italia abbiamo osservato un aumento della diffusione del sierogruppo C, che ha avuto il suo picco tra il 2004 e il 2005. Dal 2006 in seguito all’introduzione della vaccinazione per i bambini e a un aumento per la copertura vaccinale la diffusione di questo ceppo è drammaticamente diminuita. Da allora il sierogruppo B è tornato a essere quello prevalente nel nostro Paese, a dimostrazione dell’importanza e dell’efficacia delle vaccinazioni.
“Il meningococco B tende ad aggredire tendenzialmente due fasce di età che sono in modo particolare quella sotto i quattro anni e l’età preadolescenziale e adolescenziale”, ricorda Villani. N. meningitidis è uno dei pochi batteri in grado di attraversare la barriera emato-encefalica, e l’infiammazione delle meningi encefaliche e/o spinali, la meningite da lui causata, è una delle malattie più pericolose tra quelle per cui esiste un vaccino. Questo per diversi motivi. In primo luogo perché può insorgere a qualsiasi età (nonostante vi siano, come abbiamo visto delle fasce più a rischio). In secondo luogo poi per la sua imprevedibilità, data dal fatto che la principale causa di contagio sono i portatori sani e asintomatici del batterio (circa il 20-30 per cento della popolazione) che ospitano il meningococco in naso e gola e dal fatto che non è chiaro cosa invece poi scateni lo svilupparsi della malattia. Un altro fattore che rende la meningite molto pericolosa è l’alta probabilità di riportare conseguenze permanenti gravi (amputazione degli arti, sordità, deficit neurologici) o di perdere la vita, rispettivamente del 30 e del 10 per cento. Infine, a essere molto insidioso è anche il modo subdolo con cui le meningiti si presentano: con un esordio ingannevole e un decorso molto rapido e rapidamente progressivo.
“Cominciano con piccoli sintomi che possono far sembrare un semplice mal di testa, una sindrome da raffreddamento, ma sono sintomi che poi nel giro di pochissime ore possono portare anche al decesso dei bambini o dei ragazzi, dei giovani adulti che ne vengono colpiti. E anche la diagnosi che viene fatta solo esclusivamente quando compaiono quei segni di rigidità nucale, spesso viene fatta quando è troppo tardi per poter intervenire e quindi è questa la drammaticità della meningite”, spiega Conversano.
Vaccinazioni contro la meningite: una confusione che genera un falso senso di sicurezza
Un altro aspetto che rende particolarmente insidioso il rischio di meningite B è come funzionano le vaccinazioni specifiche oggi in Italia. “Le vaccinazioni contro la meningite non sono obbligatorie, ma sono fortemente raccomandate (…) e questo ci ha creato, sicuramente dei problemi, perché è come se le altre vaccinazioni non obbligatorie fossero meno importanti”, continua Conversano. “La prima vaccinazione raccomandata è stata quella contro la meningite C; poi abbiamo avuto la possibilità di vaccinare contro i quattro A C W Y (la vaccinazione tetravalente raccomandata nei bambini tra il 12°e il 18 mese di vita che andrebbe ripetuta nell’adolescente, ndr). Quello che ci mancava era proprio quella contro la meningite B”.
L’esperienza della pandemia ha fatto ben comprendere l’importanza di utilizzare tutte le armi di cui si dispone e le vaccinazioni tra queste sono tra le più importanti.
Dunque la raccomandazione per la vaccinazione tetravalente è a regime da diverso tempo e ormai consolidata. Non altrettanto quella contro il sierogruppo B, introdotta solo nel 2017, nell’ultimo piano vaccinale – ora scaduto ma prorogato a causa dell’emergenza covid-19 – che la vede raccomandata solo per i nuovi nati (entro il 18° mese di vita). Non è prevista dal piano invece nessuna raccomandazione nazionale per preadolescenti e adolescenti. “La meningite B è praticata nei nuovi nati solo da qualche anno, da pochissimi anni, quindi gli adolescenti non sono protetti”, spiega sempre Conversano. Inoltre la vaccinazione tetravalente spesso rischia di confondere un genitore e dare un falso senso di sicurezza: “I genitori pensano ‘mio figlio è già vaccinato contro la meningite’ soltanto perché ha fatto la meningite C, e quindi questo ha creato questa falsa garanzia di protezione che non c’è”, prosegue il medico di Taranto.
Purtroppo non è detto che il nuovo piano vaccinale prenda in considerazione la necessità di raccomandazioni specifiche per il meningococco B in questa direzione, sottolinea Susanna Esposito, che rischia di vedere perdere la priorità a fronte anche di una crisi economica che va avanti da diverso tempo, specie nel settore della sanità, e che è peggiorata nel corso della pandemia. Tuttavia, i mesi trascorsi in balia di covid-19 potrebbero forse aver ricordato l’importanza delle vaccinazioni e della prevenzione. “L’esperienza della pandemia ha fatto ben comprendere l’importanza di utilizzare tutte le armi di cui si dispone e le vaccinazioni tra queste sono tra le più importanti”, sostiene Villani. “Quindi l’augurio è che il prossimo piano vaccinale sia molto attento a considerare quelle che sono le potenziali situazioni di rischio in base a quelle che sono le fasce di età (…) e che questi vaccini vengano presi in serissima considerazione”.
L’adolescenza è un momento chiave
Purtroppo quella dell’adolescenza è un’età complessa. Non solo per chi la vive, ma anche per chi deve garantire la salute dei ragazzi. “L’età adolescenziale è un’età molto particolare perché dal punto di vista clinico ci troviamo in una zona grigia di passaggio dal pediatra di libera scelta e al medico di medicina generale”, spiega Esposito. Tuttavia, è un’età chiave in cui i ragazzi sono recettivi rispetto al mondo che li circonda e in cui sarebbe veramente utile fornire un’educazione alla salute. “L’adolescenza è un momento fondamentale per vaccinare, perché proteggiamo questi ragazzi prima dell’ingresso nella vita in società prima dell’inizio dell’attività sessuale, prima che i rapporti extrascolastici diventino sempre più intensi, ma vacciniamo ragazzi che poi diventeranno genitori (…). I vaccini che rimangono l’unico modo per evitare seriamente le malattie infettive”, sostiene Conversano che nella sua regione ha portato avanti diversi progetti di salute nelle scuole.
L’età adolescenziale è un’età molto particolare perché dal punto di vista clinico ci troviamo in una zona grigia di passaggio dal pediatra di libera scelta e il medico di medicina generale.
Oltre alla raccomandazione specifica, al coinvolgimento delle scuole e dei ragazzi in prima persona, un altro fattore chiave per la riuscita delle vaccinazioni in età adolescenziale potrebbe essere, secondo Guendalina Graffigna, legarle a un messaggio positivo. “Si dovrebbe far capire che la vaccinazione è proprio ciò che ti aggiunge libertà e quindi parlare di guadagno: di guadagno di libertà, di salute, di socialità”, spiega. “Secondo me un serio problema è che tutta la prevenzione parla sempre di perdita (…). Invece parliamo di guadagno, cos’è che guadagno con la vaccinazione? Che posso effettivamente godermi una vita più spensierata, più sana”.
Una lezione da covid-19
L’importanza delle vaccinazioni è una delle eredità che speriamo ci lasci l’esperienza della pandemia. “Ce lo siamo dimenticati, ma non è la prima volta che i vaccini ci tirano fuori da grandi crisi, dalle pandemie, dalle epidemie e quindi questo ci deve far capire che dobbiamo avere fiducia nelle vaccinazioni, fiducia in quello che ci viene proposto”, ricorda Conversano.
“Abbiamo sperato e finalmente abbiamo dei vaccini che in qualche modo ci liberano da covid-19. Dobbiamo ricordare che abbiamo già dei vaccini che ci liberano da delle paure che possono essere anche meno evidenti, con meno numeri, ma sicuramente più subdole anche di covid stesso perché non ci fanno capire quando arrivano e quindi l’unico mezzo che abbiamo è veramente solo la vaccinazione più diffusa possibile”.
“La pandemia ha evidenziato l’importanza delle malattie infettive e dei germi. Nulla al mondo, neanche le guerre più diffuse, ha avuto la capacità di paralizzare il mondo come un germe e quindi l’elemento positivo è che tutti abbiamo preso coscienza dell’importanza delle malattie infettive (…) L’unica arma reale e concreta di cui si dispone per poter sconfiggere malattie che si diffondono in maniera così importante in tutto il mondo sono le vaccinazioni”, concorda Villani.
L’altra lezione che dovremmo imparare la sottolinea invece Graffigna ed è che “c’è un’aumentata consapevolezza del ruolo che ognuno ha nel Sistema sanitario e nel fatto che gioca un ruolo nella prevenzione. Può essere di aiuto valorizzare questa consapevolezza e alimentare un senso collettivo e altruistico nella prevenzione”. Muoversi dunque da un discorso di prevenzione incentrato sull’individuo a uno che prenda in considerazione la salute collettiva e ambientale. “Passare un messaggio positivo verso il futuro”, conclude Graffigna. “Un messaggio di interconnessione: devo limitarmi un minimo per il bene degli altri e del sistema però forse in questo modo riesco a trovare un equilibrio che è anche più positivo per me stesso”.
Grazie a Rebecca De Fiore e Fabio Ambrosino per l’intervista a Susanna Esposito.
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