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In Italia un bambino su tre nasce povero, e la povertà è discriminazione


La povertà è discriminazione. Le disuguaglianze sono un motivo di estrema mancanza di democrazia, perché inevitabilmente rendono più faticoso l’essere cittadini. Nascere poveri può significare vedere i propri diritti condizionati, soprattutto se l’esposizione alla povertà avviene nella finestra di vulnerabilità che sono i primi 1000 giorni di vita. Chi nasce povero parte male o potenzialmente male, insomma. La pessima notizia è che lo svantaggio, aggravato dalla crisi sanitaria in atto, riguarda almeno un terzo dei bambini italiani nei primi 1000 giorni di vita. La buona notizia è che nulla è perduto: il cervello umano è plastico e può rispondere positivamente se riceve gli stimoli adeguati. Ma quando è meglio intervenire per avere esiti migliori? Come individuare i contesti di maggiore fragilità? Quali strumenti immettere nelle politiche sociali e di sostegno alle famiglie: incentivi economici o reti di supporto alla genitorialità?

Partiamo dalla prima domanda: quando intervenire per avere esiti migliori? Oggi si sa che quella che va dal concepimento ai due anni di vita è una finestra fondamentale, di opportunità e di vulnerabilità. È la fase in cui il cervello è più plastico e si sviluppa. “Sappiamo che nei primi 1000 giorni di vita accadono nel cervello dei bambini cose straordinarie che non pensavamo accadessero alcuni anni fa. In quel periodo della vita i bambini hanno molti neuroni e devono sviluppare sinapsi, che si sviluppano se il bambino viene stimolato. Se il bambino vive in un ambiente tossico, in un ambiente dove non ci sono stimolazioni, in un ambiente dove vede maltrattamenti o vede violenza, quelle sinapsi non vengono attivate”, spiega Paolo Siani, Direttore della UOC Pediatria 1 dell’Ospedale Santobono, Napoli.

Il documento Nurturing care for early childhood development: a framework for helping children survive and thrive to transform health and human potential fornisce indicazioni strategiche e raccomandazioni operative su come investire nelle prime fasi della vita, a partire dal concepimento. E il termine nurturing care fa riferimento al “nutrimento fisico, sociale, emotivo, cognitivo…” inteso come l’insieme di condizioni che assicurano salute, nutrizione, sicurezza, genitorialità responsiva e opportunità di apprendimento precoce. È importante per i genitori porre attenzione a ciò che si mangia, ai propri comportamenti, come ad esempio, non fumare, all’aria che si respira, e via dicendo.

La povertà riduce i diritti fruibili

“Il fatto di avere una ormai consolidata certezza che i primi 1000 giorni siano un’occasione unica per avere lo sviluppo migliore. Iniziare meglio non può non implicare dal punto di vista epigenetico, l’importanza di offrire a tutti il miglior inizio possibile dal punto di vista socio-economico e intellettuale”, spiega Laura Reali, Pediatra di libera scelta.

“Non è in sé la povertà che determina squilibrio nei decisivi primi tempi della vita umana”, spiega Marco Rossi-Doria, vice presidente dell’impresa sociale Con i Bambini. “Pone certamente altre questioni molto importanti di discriminazione soprattutto di genere e di esclusione in seguito agli studi”. Tuttavia, nella nostra società – rispetto, per esempio, alla dimensione agricola del passato – la povertà spesso significa vivere in spazi ristretti, seguire una dieta non equilibrata, non giocare per terra in libertà, non poter frequentare adeguatamente spazi verdi, non avere storie lette o raccontate, né canzoni cantate quando sei molto piccolo.

Le criticità riguardano anche il piano dell’accesso alle cure, ad esempio: “C’è un mismatching, pur essendoci in Italia il sistema pediatrico nazionale per cui sulla carta hai un pediatra che ti può seguire; tuttavia, ma per motivi di esclusione multidimensionale, per mancati rapporti con le istituzioni – penso ai quartieri di Napoli nei quali continuo ad operare -, molte famiglie povere non sanno neanche che c’è un pediatra a disposizione o lo raggiungono saltuariamente”, aggiunge Rossi-Doria.

Poi c’è il piano sociale, e lì il riflettore si accende anche sulla questione di genere. “Non ci sono, in alcune aree del Paese, occasioni alternative che possano affiancare la famiglia e le mamme giovani povere o con poca istruzione che si trovano intrappolate in una situazione di minorità o di grande fragilità o sofferenza perché non ci sono asili nidi”, continua Rossi-Doria. “Pensiamo al grande divario nelle percentuali di offerta di nidi in particolare nelle grandi e medie aree urbane del mezzogiorno, dove i nidi nei quartieri poveri sono un’eccezione anziché la regola, e questo costringe le mamme a stare con i piccoli. In questo modo si ritrovano intrappolate in un circuito in cui già c’è poco lavoro, devono stare completamente nella cura, spesso anche di molti figli, a volte anche di genitori anziani, e vivono una frustrazione profonda rispetto alle proprie aspirazioni e diritti ad una vita piena. Naturalmente questo si riverbera nella dinamica con i figli piccoli”.

Covid-19 ha cambiato l’assetto delle nostre quotidianità e sta cambiando i numeri della povertà

“Non sono piccoli casi eccezionali di sofferenza umana, ma sono milioni di persone”, continua Rossi-Doria. La pandemia in atto pone delle sfide importanti, sociali oltre che sanitarie, tra queste sicuramente ricucire le ferite delle disuguaglianze di reddito, di genere, sociali e geografiche che in questo scenario si sono aggravate.

“Prima della pandemia avevamo 1.200.000 bambini e ragazzi in povertà assoluta, ovvero una condizione di deprivazione alimentare abitativa di vera povertà, in un Paese per altro ricco che fa pochi figli, e poi altri 2.300.000 in povertà relativa, quindi un terzo più o meno dei minori che vivono in Italia”. Ora questi numeri sono in aumento. Sempre più bambini fluiscono nella dimensione della povertà relativa e molti che erano già in povertà relativa o sono o stanno per scivolare in povertà assoluta. “Quindi tutte le questioni di cura soprattutto nei territori non infrastrutturati da altre offerte di supporto sociale alla genitorialità fragile, ai bambini e alle bambine piccole, diventano luoghi di grande difficoltà e peggioramento delle condizioni alla partenza della vita in questo momento”.

La pandemia sta affollando il guado in cui rischiano di ‘stallare’ molti dei bambini che nascono in famiglie svantaggiate da un punto di vista socio-economico. Entrano pochi soldi in casa, c’è l’insicurezza del lavoro, non si sa come pagare le bollette: una drammatica situazione multifattoriale che genera difficoltà di relazione, frustrazione, mancanza di orizzonte e di speranza, depressione nei genitori anche giovanissimi con bambini piccoli. In queste sacche di povertà, rispetto alle zone protette delle società, si parte male o potenzialmente male e questo svantaggio riguarda almeno un terzo dei bambini già nei primi 1000 giorni di vita. Ma se è chiaro che le disuguaglianze sono sempre un motivo di estrema non democrazia, per fortuna la relazione tra povertà e traiettorie di sviluppo non è una relazione deterministica.

Non sono piccoli casi eccezionali di sofferenza umana, ma sono milioni di persone.

L’essere umano è capace di dotarsi di strutture che gli permettano di recuperare questo gap. “A un bambino può capire di non avere esperienza di una gravidanza ideale a vario titolo, per problemi materni o sociali, a un bambino può capitare di non avere una nascita ideale”, aggiunge Laura Reali, “però le cose possono cambiare se si riesce in qualche modo ad aiutare quel bambino o quella famiglia con interventi, tipo le buone pratiche pediatriche, durante la gravidanza, durante il corso di preparazione alla nascita, ma anche nel post partum”. Servono infatti servizi territoriali socio-sanitari a sostegno delle famiglie con figli, già durante la gravidanza, soprattutto per le famiglie che vivono in condizioni di difficoltà economiche e, in molti casi, di povertà assoluta.

Incentivi economici o reti di supporto alla genitorialità: quali strumenti immettere nelle politiche sociali per il sostegno alle famiglie?

Con i bambini”, spiega il vice presidente Rossi-Doria, “ha previsto due bandi, uno tre anni e mezzo fa che ha visto progetti dedicati alla prima infanzia, proprio all’età 0-6, in cui sono stati molto curati aspetti quali la sinergia con gli asili nidi e la scuola d’infanzia, la presa in carico della famiglia, in particolare delle mamme povere soprattutto di quelle sole e povere, l’attenzione, al gioco la sinergia tra cura pediatrica e cura educativa, intesa a 360 gradi, la attenzione all’alimentazione e agli aspetti non solo dell’apprendimento formalmente costruito, ma anche dell’apprendimento informale e quindi del godere della lettura del gioco della musica e così via”. Il secondo bando conclusosi a dicembre, dà la misura della continuità su questo tipo di progetti.

Si tratta di interventi di vario tipo, tra cui l’adozione sociale. “L’adozione sociale è uno strumento molto buono lì dove abbiamo una grande accortezza, la chiamerei così, un grande equilibrio e attenzione a non essere invasivi, a non fare una specie di imperialismo della cura nelle famiglie povere, dicendo come si devono fare le cose senza un vero dialogo, un’interlocuzione, un rispetto”, continua Rossi-Doria. Il protocollo dell’Associazione culturale pediatri è tra gli altri strumenti messi in campo per supportare e sostenere tutte le resilienze potenziali che i genitori e le mamme in particolare sanno mettere in gioco per uscire da situazioni di minorità. “Le buone pratiche pediatriche che sono una cosa banale: l’esposizione alla lettura a voce alta per esempio, la possibilità di una socialità buona, attraverso esperienze di prima socializzazione attraverso luoghi dove la famiglia e il bambino possono intervenire con altre famiglie e altri bambini”, aggiunge Laura Reali.

Abbiamo, a livello nazionale e internazionale, prove di efficacia di programmi di sostegno all’infanzia nei primi 1000 giorni di vita, servono politiche di sostegno alle famiglie che permettano di attuarle, per costruire una società migliore e per non lasciare al loro destino di marginalità e di esclusione i bambini che nascono in difficoltà socio-economica.

Sir Michael Marmot, nel libro La salute disuguale (Il Pensiero Scientifico Editore, 2016), sottolinea come una buona genitorialità sia importante, ma è meno comune in condizioni di povertà e che colpevolizzare non serve a migliorare la situazione. “Punteggi peggiori nello sviluppo dei bambini poveri possono rappresentare una cartina al tornasole della politica”, spiega Marmot. “La sinistra vorrebbe incolpare la povertà, la destra gli individui per la loro scarsa genitorialità. Le evidenze ci dicono che entrambe hanno, in parte, ragione. La ‘buona’ genitorialità non è distribuita casualmente, ma segue il gradiente sociale: i genitori appartenenti allo strato inferiore della gerarchia sociale prestano meno cure ai propri figli. […] Certo sono gli individui che decidono se leggere ai propri figli, giocare con loro o coinvolgerli in una conversazione. La natura della genitorialità è quindi determinata dal contesto in cui si deve attuare ed esprimere”.

Le buone pratiche sono l’anima della mozione Infanzia, presentata da Paolo Siani alla Camera il 25 gennaio 2021; solo un giorno prima che Giuseppe Conte con le sue dimissioni sancisse l’apertura formale della crisi di governo. Con la proposta, dedicata al ricordo dell’amico e collega Peppe Cirillo, di costruire un programma unico nazionale per ridurre innanzitutto le disuguaglianze tra i bambini, attraverso un nuovo modello di welfare dedicato alla prima infanzia, di lungo periodo, una rete di sostegno attorno alle mamme e ai neonati, cogliendo l’opportunità delle risorse messe a disposizione dall’Europa.

Lo sguardo è verso un Piano Infanzia che inizi già durante la gravidanza e continui nel corso della vita: “un programma unico che tenga al centro l’infanzia con un obiettivo specifico di ridurre le disuguaglianze nel nostro paese che sono intollerabili […] un’azione organica e di lungo periodo. Non solo progetti o bonus, ma politiche di sviluppo che già durante la gravidanza di una mamma, per costruire e organizzare intorno a quella mamma, a quel nucleo familiare, a quel bambino che nascerà una rete di sostegno”.

Giuseppe Cirillo e l’Adozione sociale

“L’idea dell’adozione sociale nacque grazie all’osservazione di un pediatra acuto e intelligente, Giuseppe Cirillo, il quale cominciò a studiare un fenomeno molto strano, i bambini ripetenti in ospedale, così come lo erano a scuola, cioè bambini che si ricoveravano in ospedale più volte in un anno, poco ammalati di malattie a noi note, ma che avevano una malattia molto grave che era la povertà”, racconta Siani.

Evitare che si instauri il disagio è molto più efficiente ed efficace che non inseguirlo.

Il progetto mirava a prevenire le situazioni di disagio cercando di innescare circoli virtuosi o per lo meno disinnescare quelli viziosi: l’ospedale, il punto nascita, il territorio insieme per individuare, alla nascita, attraverso semplici indicatori eventuali target di rischio sociale per quel bambino e per quella famiglia. In modo da prendere in carico le famiglie e cercare di attivare i fattori protettivi interni alla famiglia, e mettere i servizi nelle migliori condizioni per operare. Ad esempio, inviando a casa personale sanitario e sociale per capire le esigenze di quella famiglia e provare ad indirizzare una traiettoria di vita verso il benessere. “È evidente e chiaro a tutta la comunità scientifica che evitare che si instauri il disagio è molto più efficiente ed efficace che non inseguirlo. È molto più semplice individuare il bambino che andrà male a scuola e aiutarlo prima che questo accada ed è molto più semplice orientare la sua crescita e il suo sviluppo per evitare che scelga la strada della marginalità e dell’illegalità (…) Perché un bambino che nasce in un quartiere a rischio a Napoli, come a Milano, a Torino come a Palermo non avrà molte chances nella sua vita se nessuno interviene e gli dà un’opportunità”.

Serve oggi più di ieri la capacità di immaginare un nuovo futuro, uscendo tutti dalla propria comfort zone, pensando fuori dalla scatola, anticipando il rischio che riguarda un numero sempre maggiore di bambini di stallare in un guado. Ai politici serve la lungimiranza di capire che gli strumenti ci sono, vanno applicati.

Dato il nuovo Governo, ci auguriamo tutti, che la finestra di vulnerabilità dei primi 1000 giorni sia quella posta al centro dell’attenzione e che si utilizzi “strategicamente” una parte dei fondi per realizzare un Piano Nazionale per l’infanzia che ponga i bambini al centro dell’azione politica, con un’attenzione particolare proprio ai territori e alle famiglie più vulnerabili, attraverso concrete e precoci strategie capaci di incidere sulla povertà minorile che caratterizza il nostro Paese, riducendo la povertà, e di aiutare le famiglie nelle loro attività genitoriali.