A distanza di molti anni, poche settimane fa un tribunale francese ha multato per 2,7 milioni di euro un’azienda farmaceutica. Il motivo? Produceva e vendeva il farmaco benfluorex che sembra abbia provocato centinaia di casi di una grave malattia cardiaca nelle persone che lo hanno assunto.
L’industria ha sempre negato di essere al corrente dei pericoli ai quali erano esposti i pazienti ma il giudice sembra essersi convinto del contrario: “Non hanno mai preso le misure necessarie sebbene gli effetti avversi fossero noti”. E così Sylvie Dauni, il magistrato, ha condannato l’ex vicepresidente della società Servier, Jean-Philippe Seta, a quattro anni di carcere con sospensione della pena. Il giudizio nei confronti del dirigente dell’industria è in certa misura una novità perché in casi del genere le sanzioni quasi sempre sono state rivolte alle imprese. Ma non è l’unica sorpresa perché anche l’autorità regolatoria francese è stata multata di oltre 300.000 euro per aver “gravemente mancato” ai propri doveri di controllo. Quella del farmaco chiamato Mediator in Francia e Mediaxal in Italia è una storia esemplare per diversi motivi.
Vediamoli in ordine.
Parliamo di un prodotto per ridurre l’appetito (ha proprietà anoressizzanti), ma che è stato approvato dalle agenzie regolatorie per contribuire a ridurre i livelli troppo alti di trigliceridi nel sangue (trattamento adiuvante dei disturbi del metabolismo dei lipidi) e per il controllo del diabete accompagnato da sovrappeso. Questa ambiguità è alla base delle fortune e dei guai di questo prodotto. Per ricostruire la vicenda è utile leggere il post di Guido Giustetto pubblicato su Salute Internazionale già dieci anni fa. Ma per non perdersi in questa lunga vicenda, conviene guardare la timeline pubblicata sul sito della stessa azienda produttrice su richiesta della European Medicines Agency (Ema).
L’autorizzazione alla commercializzazione risale al 1974 e solo 24 anni più tardi ebbe inizio un’indagine volta a verificare la sicurezza del prodotto. Di un anno dopo – 1999 – è il riscontro di due casi di valvulopatia aortica e ipertensione polmonare. Gli studi sono continuati con risultati non univoci fino al 2009, quando il rapporto rischi-benefici del farmaco fu giudicato sfavorevole, con la sospensione dell’autorizzazione da parte dell’autorità regolatoria francese che nel 2010 valutava in circa 500 i casi di valvulopatia aortica riconducibili all’assunzione del medicinale.
Quando si tratta di farmaci, le cose diventano complicate.
Quando si tratta di farmaci, però, le cose sono spesso più complicate di quello che potrebbe sembrare. Attraversiamo l’oceano, approdiamo alla costa statunitense per scoprire che già nell’agosto del 1996 fu pubblicato sul New England Journal of Medicine (Nejm) uno studio condotto da un gruppo internazionale di esperti – lo International Primary Pulmonary Hypertension Study Group – in 220 centri ospedalieri europei. Si trattava di uno studio che non prevedeva un intervento attivo da parte dei ricercatori, ma la “semplice” osservazione della realtà: non a caso, in termini tecnici si trattava di uno studio caso controllo, che confrontava le persone che avevano sviluppato ipertensione polmonare con individui in cui la malattia non si era presentata. La ricerca dimostrava che chi prendeva un farmaco anoressizzante simile al benfluorex, prodotto dalla stessa azienda e utilizzato per indurre perdita di peso – la fenfluramina – vedeva notevolmente accresciuto il rischio di sviluppare ipertensione arteriosa polmonare. I risultati dello studio erano ancora più preoccupanti perché il pericolo era maggiore dopo tre mesi di assunzione e il farmaco era approvato dall’agenzia regolatoria statunitense – la Food and Drug Administration – per il trattamento a lungo termine dell’obesità.
Pessime notizie, insomma. Ma l’articolo era accompagnato nello stesso numero del Nejm da un editoriale assai più prudente di quanto fossero le conclusioni degli autori dello studio che abbiamo appena citato. Il commento inquadrava il problema in una cornice che sottolineava il rilievo dell’obesità come sottovalutata patologia sociale. Così che ancora oggi, a distanza di tanti anni, c’è una domanda che chiede risposta: in quale misura possiamo fidarci di quello che leggiamo anche su riviste molto autorevoli? “In sintesi, direi con entusiasmo attento, muovendo non solo la vista, ma anche l’intelletto”, ci dice Stefano Cagliano, medico e autore di libri di successo. “Con curiosità moderata e prudente, circa la qualità dei contenuti e di chi scrive. Se è stato detto – giustamente – che un uomo mente anche quando tace, forse anche molti articoli sulle riviste mentono per omissione anche se stampati. Negli anni passati, ci sono stati esempi d’ogni genere. Penso ai tanti articoli compiacenti nei confronti dell’industria o semplicemente ai troppi articoli sponsorizzati. Da un riesame degli articoli su calcioantagonisti, un rapporto pubblicato sempre sul NEJM ha reso noto che la probabilità di trovare finanziatori industriali andava dal 90 per cento per gli articoli favorevoli ai farmaci al 33 per cento per quelli contrari.”
Leggere con entusiasmo attento, muovendo non solo la vista ma anche l’intelletto.
A proposito di conflitti di interesse, l’editoriale che accompagnava lo studio osservazionale sull’ipertensione polmonare e la fenfluramina non era corredato, però, da alcuna dichiarazione dei due autori: eppure avevano agito come consulenti sia dell’industria produttrice sia di quella che commercializzava il prodotto negli Stati Uniti. La situazione non tardò ad emergere, al punto che i due autori dell’editoriale JoAnn E. Manson e Gerald A. Faich scrissero una lettera alla rivista per esporre il proprio punto di vista. In sintesi – sostenevano – si sarebbe trattato di un equivoco nato durante una telefonata con la redazione del Nejm. Ciononostante sottolineavano l’importanza della collaborazione tra industria e istituzioni per la ricerca di terapie efficaci e sicure.
Relazioni tra medici e industrie: perché in Italia se ne parla così poco?
I medici italiani sono consapevoli dei problemi che possono derivare da un’eccessiva familiarità con i portatori di interessi economici o politici? “Quest’anno il Bmj ci ha informato che nel Regno Unito ci sarebbero 13 facoltà e college reali che hanno risposto «sì» alla domanda: Sei d’accordo sull’istituzione di un registro pubblico e obbligatorio degli interessi dei medici nel Regno Unito? Si tratterebbe dello strumento principale per combattere conflitti d’interesse” sostiene Stefano Cagliano. “In Italia, non ricordo una notizia del genere sui giornali, ma posso sbagliare. È vero, però, che in fondo agli articoli su riviste italiane non si leggono le dichiarazioni di conflitto d’interesse che si trovano sistematicamente alla fine di ogni pubblicazione internazionale. Capita spesso di leggere un articolo che riporta i risultati positivi di uno studio su un farmaco e vedere che gli autori sono dipendenti o consulenti dell’azienda produttrice. Su riviste italiane è molto più raro”.
Se per un medico non è facile orientarsi nella letteratura scientifica, immaginiamo quanto possa esserlo per un cittadino che non dispone di un minimo background culturale ed è costantemente esposto alle notizie che i quotidiani e la televisione traggono in modo spesso acritico proprio dalle riviste scientifiche. Ma il ruolo dei media è davvero ambivalente: può causare problemi ma anche essere il motore del cambiamento. Andiamo a vedere come è proseguita la storia di quei pericolosi farmaci anoressizzanti…
Nel 1997 la fenfluramina, ma non il benfluorex – fu ritirata dal commercio in tutto il mondo. Wyeth – società che distribuiva il farmaco negli Stati Uniti – fu oggetto di una class action negli Stati Uniti e condannata a risarcire quasi 4 miliardi di dollari di danni ai pazienti. Le vicende sono davvero ben sintetizzate da Guido Giustetto nel post prima citato e portano al 2006 quando la medico francese Irène Frachon, che aveva seguito le vicende della fenfluramina e che lavorava nella unità di pneumologia dell’ospedale di Brest in Normandia, mise in relazione il meccanismo d’azione di benfluorex con quello di fenfluramina, contribuendo poi ad avviare proprio quegli studi che porteranno a concludere che i due farmaci avevano simili effetti avversi e condurranno al ritiro dal commercio anche del benfluorex.
Frachon sarà anche l’autrice di un libro – Mediator 150 mg – al centro di una querelle tra la casa editrice e l’industria farmaceutica che chiese e inizialmente ottenne il ritiro delle copie per la modifica del sottotitolo (Combien des morts?) giudicato offensivo. Nelle pagine scritte dalla dottoressa francese ricorre più volte il tema dei conflitti d’interesse. Per esempio, non pochi componenti dei comitati di consulenza dell’agenzia regolatoria francese erano legati a industrie farmaceutiche. Ma la loro presenza nel processo decisionale era giudicata essenziale perché l’agenzia “non poteva privarsi del contributo di massimi esperti a causa dei loro rapporti con l’industria farmaceutica.” Di nuovo “relazioni pericolose”.
Due lezioni: l’ambivalenza della letteratura scientifica e i rischi della valutazione regolatoria.
Un caso come quello del Mediator non dice molto di nuovo riguardo la pervasività degli interessi economici che influenzano la salute dei cittadini: la letteratura sul tema è molto ricca, non solo a livello internazionale ma anche italiano. Ma un primo motivo di riflessione è legato al ruolo che i media possono giocare per orientare il comportamento dei medici e l’opinione dei cittadini, in senso positivo e negativo. La stessa rivista può essere causa e soluzione del problema, ospitando l’articolo più condizionato e quello più indipendente. Quel che è sicuro, però, è che le riviste – e in generale i media – più conosciute hanno anche le maggiori responsabilità, perché possono contare sulla maggiore diffusione e sulla più potente cassa di risonanza.
Si comincia da scienziati e si finisce per ragionare come avvocati.
La seconda lezione del caso Mediator arriva dalla sanzione applicata alla agenzia regolatoria francese. Per aver tardato a sospendere la commercializzazione del farmaco, l’Agence nationale de sécurité du médicament è stata condannata a pagare una multa di 303 mila euro. Secondo il tribunale, l’agenzia “ha fallito nel proprio ruolo di polizia sanitaria e di gendarme del farmaco” diventando colpevole di omicidio e lesioni preterintenzionali. Di fronte ai rischi della valutazione regolatoria in un ecosistema della ricerca pieno di insidie sapientemente nascoste, chi sarà disposto ad assumersi la responsabilità della valutazione regolatoria di farmaci e dispositivi pensando di dover rispondere personalmente dei propri giudizi?
Quest’ultimo è un vero e proprio condizionamento di cui si parla ancora troppo poco ma che ha la capacità di avere un effetto determinante sul giudizio tecnico scientifico degli esperti che vengono chiamati a prestare servizio nelle istituzioni pubbliche. “Mi ha sempre colpito -ci racconta Antonio Addis del Dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario regionale della Regione Lazio che ha avuto esperienze in comitati di Agenzie regolatorie nazionali ed internazionali – come nei panel chiamati a decidere sulla base di dati e studi disponibili si entra con una mentalità scientifica e spesso si finisca per discutere con un approccio medico-legale. Il metodo scientifico consente di confutare senza remore ogni tesi e trovare nuova sintesi mentre le decisioni regolatorie, per essere messe in discussione hanno bisogno spesso di giustificarsi per il timore che il cambio di rotta esponga alla richiesta dei danni da qualsiasi delle parti coinvolte sia essa pubblica o privata. Insomma si comincia da scienziati e si finisce per ragionare come avvocati”.