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Far sentire la propria voce. Gli effetti della pandemia sugli adolescenti


“La scuola sarà chiusa per due settimane”: così è iniziato tutto per noi giovani. Nel marzo 2020 la notizia che covid-19 era entrato nelle nostre vite ci faceva solo pensare che non saremmo andati a scuola per due settimane. Quasi irrazionalmente eravamo tutti travolti da una strana sensazione, che in modo azzardato potremmo chiamare gioia, ma sempre mista a paura, non sapevamo cosa sarebbe successo e questo ci spaventava, non potevamo e non dovevamo fare nulla. La scuola la finimmo in didattica a distanza (DAD), non ci fu l’ultimo giorno ma l’ultima videochiamata con i professori, e con l’inizio dell’estate la situazione sembrava tornare verso la normalità.

Il primo lockdown può essere diviso in tre fasi. La prima, quella della “superficialità”: può sembrare strano, ma come già detto prima, inizialmente la nuova situazione scaturiva in noi strane sensazioni, perché ancora ignari della gravità della situazione. La seconda fase può essere definita della “mancanza”, dopo così tanti mesi chiusi in casa iniziarono a mancare anche quelle piccole azioni quotidiane, o addirittura cose che prima non si sopportavano, come dover aspettare l’autobus per tornare a casa da scuola con il peso della cartella sulle spalle, o il corso di inglese pomeridiano che “leva solo tempo”, ma quelli erano tutti momenti che condividevamo e che adesso non c’erano più. La terza fase è quella dell’“isolamento” e no, non quello che già era iniziato da qualche mese, ma quello interiore: iniziammo a passare sempre più tempo con noi stessi, imparammo a conoscerci, a scoprirci e non sempre fu facile, molte scoperte fecero male, altre meno.

Ognuno reagì alla pandemia in maniera diversa, ma la conclusione fu che tutti ci sentimmo più soli. Da un punto di vista emotivo ciò che emerge sono le sensazioni della paura e della rabbia che in determinati casi possono sfociare nello sviluppo di alcune dipendenze. La pandemia porta sempre con sé la paura. La paura di leggere l’esito di un tampone, di contagiare i propri cari o addirittura la paura di morire. Da una routine fatta di famiglia, lavoro e progetti personali, molti si sono ritrovati a dover fare i conti con un profondo senso di angoscia costante e di incertezza per il futuro. La paura del contagio ha portato inoltre a ridurre drasticamente i rapporti sociali e se da una parte i lockdown sono stati necessari, dall’altra hanno creato situazioni estremamente difficili da gestire, sia dentro che fuori casa, anche per i più giovani. Il bisogno di alleviare l’umore, inoltre, ha fatto sì che aumentassero alcune dipendenze comportamentali, come quelle dal gioco d’azzardo, dai videogiochi e dalla pornografia.

“Iniziammo a passare sempre più tempo con noi stessi, imparammo a conoscerci, a scoprirci e non sempre fu facile”

Di questo abbiamo ragionato insieme con la psicoterapeuta Luisa Carbone Tirelli, che si occupa dei ragazzi e dei bambini, su quali potessero essere le maggiori difficoltà nate con la pandemia. “Nel primo lockdown per raccogliere le emergenze si è messo in atto un numero verde per eventuali sedute a distanza”, racconta Carbone Tirelli. “Molte sono state le richieste provenienti sia da famiglie che da ragazzi. In esse si è messo in luce il tema dell’isolamento dagli amici in una condizione di assenza sia di quelli più cari che del gruppo di riferimento; risorsa importante a quest’età perché serve per vedersi e uscire. Si è inoltre toccata con mano la differenza che c’è tra l’essere in contatto fisicamente e a distanza. Ciò ha ribaltato l’illusione antecedente alla pandemia, illusione che da remoto si potesse fare tutto. Ci si è dovuti confrontare con l’assenza della fisicità. Alla fine del primo lockdown già si erano sentiti, attraverso il telegiornale, i primi segnali preoccupanti degli effetti della pandemia. Spesso i ragazzi si incontravano per varie manifestazioni, le quali assumevano caratteri violenti. Questo fenomeno è andato crescendo. Ciò è spiegabile come reazione all’assenza del contatto fisico”. La pandemia ha fatto quindi riemergere istanze ideologiche che si erano già viste negli scorsi secoli. “Ci sono delle differenze però. Finché c’è l’istanza ideologica si capiscono tante cose, ma alcune di queste manifestazioni di ideologico non avevano nulla, anzi in alcune situazioni c’è stata solo molta distruttività. Queste lotte, che si vedevano sui giornali, delle quali non si capiva la finalità, possono essere spiegate dal carattere ribelle dei giovani. Forse infatti era proprio il contrario di ciò che veniva richiesto: ‘non state in contatto’, ‘lavatevi le mani’, ‘non vi abbracciare’. I ragazzi si sono messi a fare esattamente il contrario. Altre cause plausibili di ciò possono essere la compressione che ha costituito la pandemia e le continue interruzioni di una vita che riprendeva e si interrompeva ancora e ancora”.

La pandemia ha fatto riemergere istanze ideologiche che si erano già viste negli scorsi secoli

Oltre al punto di vista della dottoressa Carbone Tirelli, con l’aiuto di alcune interviste abbiamo cercato di raccogliere anche le esperienze personali dei ragazzi.

“La pandemia ha influito molto sulla mia vita, siamo stati per tanto tempo chiusi a casa”, racconta Elena. “In un primo momento l’ho sfruttata per concentrarmi su me stessa e ho iniziato a dare più valore alle cose, in un secondo momento invece non abbiamo avuto più certezze perché si alternavano momenti in cui andavamo a scuola e altri dove stavamo in DAD, l’indecisione del periodo ha creato disordine anche a me, mi sentivo sconfortata e ho avuto problemi alimentari”. La pandemia ha portato un aumento del 30% dei disturbi alimentari: “Può essere legato alla tristezza e al senso di chiusura in se stessi. In generale sono aumentate tutte le dipendenze: con l’immagine, con l’alcol”, afferma la psicoterapeuta. “Si esagera nel volersi allenare e nel non voler mangiare. Ciò ci deve far capire quanto il corpo in questo lockdown è stato penalizzato. Non ci siamo potuti più incontrare ed è nata la paura del contagio, che hanno portato l’ampliamento dell’ansia e dell’angoscia di poter contagiare il prossimo e di portare la morte”.

Anche Agnese ritiene che la pandemia abbia influito molto sul modo in cui si approccia alla vita e dice: “Per quanto mi riguarda la pandemia mi ha fatto perdere la speranza per molte cose, come l’aspettativa di un gran futuro, che si è abbassata più di quanto non fosse prima; ho iniziato ad avere, purtroppo, un approccio più pessimistico”. Allo stesso modo Marco afferma: “La pandemia ha cambiato in maniera drastica il modo in cui mi approccio alla vita; da una parte sono, però, posso dire di essere cresciuto e cambiato, ho assunto una maggiore consapevolezza di me stesso, nonostante i lati negativi”. La risposta data da Agnese, riguardo la sfiducia che ha nei confronti del futuro, è uno dei famosi effetti della pandemia. Anche di questo abbiamo potuto discutere con la dottoressa Carbone Tirelli: “La pandemia ha suscitato della rabbia, come se ci fosse un presente-futuro mutilato e ciò ha comportato anche una mancanza di fiducia generale che sfocia, il più delle volte, in scontri verbali e fisici. Quando non si trova un incontro si arriva subito allo scontro, il buonsenso che si è cercato di far prevalere nei secoli è venuto a mancare. Solo contro tutti è il contrario di quello che si pensa considerando un gruppo come elemento di trasformazione e crescita, ma anche confronto e sostegno, per uscire anche dalle logiche familiari, ma deve essere un gruppo sano, che non sottopone a qualcosa di negativo, che fa sentire contrastato”.

 

Giulia e Chiara – due ragazze all’ultimo anno del Liceo – hanno scelto di raccontare la propria esperienza attraverso fotografie (nella gallery) scattate da loro in questi due anni di pandemia, mostrando come sono cambiate nei mesi le loro emozioni, paure, speranze. “Le immagini – spiegano le ragazze – sono la cosa più immediata che noi giovani abbiamo per raccontare”.
 

“Sono riuscita a superare alcune delle difficoltà, inizialmente era più difficile, ma poi abbiamo iniziato a convivere con la pandemia e i lockdown ed è diventato più semplice”, racconta Agnese. Secondo Marco, “tra le maggiori difficoltà che ho riscontrato in questo periodo molte sono riuscito a superarle, con altre ancora ci convivo, ma riesco ad affrontarle grazie all’aiuto della mia famiglia, di persone a me care e di un supporto psicologico”. Conclude Elena: “Dopo sono stata meglio, ad aiutarmi di più è stata la vicinanza con le persone che mi facevano stare bene, e invece mi sono allontanata da chi invece mi faceva stare male, la pandemia e quindi stare da sola mi ha aiutato a capire chi mi voleva veramente bene e chi no”.

Se da un lato quindi le difficoltà della pandemia sono state superate grazie all’aiuto di familiari e amici, dall’altro molti ragazzi sono stati lasciati soli, e ciò lo ha portati a chiudersi sempre più in loro stessi e isolarsi. L’isolamento è l’altro disagio psicologico che si è maggiormente riscontrato insieme ai disturbi alimentari, come conferma anche Luisa Carbone Tirelli: “L’isolamento porta i ragazzi a una partecipazione scolastica molto limitata, se non completamente abbandonata, e a una non partecipazione dei fatti sociali. Questi fenomeni, che allarmano le famiglie ma in alcuni casi anche la scuola, sono dovuti a una scarsa attenzione da parte dei coetanei, come se i ragazzi non li aiutassero a reinserirsi nella vita sociale. Si nota che non c’è un aiuto, una volta che si è un po’ usciti dal gruppo, a rientrarvi. Questi fenomeni di isolamento sono frequenti, magari non nei casi più estremi, ma in una classe almeno due o tre persone ne soffrono, ma non si sentono invitati a partecipare, come se il loro isolamento fosse una volontà che va rispettata, quando invece bisogna pensare che c’è un grande disagio in quelle persone. Il riuscire a superare l’isolamento dipende anche da una singola frase, o un invito ad uscire. In questi casi il ruolo della scuola diventa fondamentale, ma purtroppo con la pandemia il ritorno in presenza a scuola, invece di essere espressione di gioia era solo momento di verifica, ciò ha portato ad una progressiva mancanza del senso del gruppo, che poi si riflette anche in questi fenomeni”.

“Ad aiutarmi di più è stata la vicinanza con le persone che mi facevano stare bene”

Alle difficoltà causate dal lockdown e dall’isolamento si sono aggiunte quelle dovute alla didattica a distanza. “Ho iniziato ad avere più sconforto dal punto di vista scolastico, la scuola è diventata più stressante e i professori più esigenti, il mio rapporto con questa è divenuto più opprimente”, racconta Elena. “Il mio rapporto con la scuola è peggiorato a causa della DAD, ha fatto dei danni drastici e la scuola per noi ragazzi è diventata molto più stressante”, conferma Marco. E Agnese è dello stesso avviso: “Per quanto mi riguarda la DAD è stata distruttiva, non credo si possa neanche definire scuola, e i continui cambiamenti, tra DAD e scuola in presenza, mi hanno destabilizzata. La scuola non è solo didattica, ma anche socialità e comunicazione, e questi aspetti sono venuti a mancare con la DAD. Adesso che siamo tornati a scuola al 100 per cento vedo che è come se ci fossimo disabituati alla scuola vera e quindi ora è tutto più difficile”.

A questo proposito la psicoterapeuta Luisa Carbone Tirelli aggiunge: “Una strada per aiutare i giovani potrebbe essere quella di una sensibilizzazione maggiore degli adulti, nonostante siano essi stessi disorientati. Invece spesso non riescono a riconoscere la fatica e lo sforzo dei ragazzi e le difficoltà che la DAD ha costituito, come la difficoltà nell’attenzione e nell’apprendimento”. Il Professore Andrea Ventura, docente di Storia e filosofia presso il Liceo classico e linguistico Aristofane di Roma, commenta: “A trarre maggiore svantaggio dalla DAD è stato sicuramente il rapporto tra gli insegnati e gli alunni. Questo è diventato più impersonale, andando a eliminare la dimensione emotiva. Possiamo inoltre dire che si ha abbassato la qualità del rapporto umano e di conseguenza anche dell’apprendimento. Infatti l’attenzione con la DAD diminuisce quindi solo gli alunni più motivati riescono a sostenere quel tipo di impegno, mentre altri si nascondono ancora di più. La scuola con la DAD è diventata ancora più classista. Non bisogna dimenticare però che la pandemia ha colpito tutti, anche gli insegnanti dal punto di vista della pazienza e della motivazione. Non c’è quindi stata un’attenzione sufficiente alla fatica dei ragazzi e degli insegnanti, ma non c’è mai stata una condivisione di questa fatica e di quanto fosse avvenuto tra i due. Quello che è mancato è il gruppo, non c’è stata la possibilità di condividere. Si sarebbe dovuta fare un’elaborazione di queste situazioni. Ci è stato detto che il gruppo era pericoloso e che bisognava stare lontani, ciò è stato un ostacolo per comunicazione che invece avrebbe potuto aiutare le persone in difficoltà. Il gruppo ha smesso di essere familiare ed è diventato pericoloso”.

“Sentimenti in lockdown è un progetto che vede come protagonisti gli adolescenti, i quali hanno la possibilità di raccontare le emozioni, le ansie e le preoccupazioni vissute durante il periodo di lockdown. Abbiamo ritenuto importante trattare questo tema perché molto spesso rimaniamo inascoltati e le nostre emozioni vengono sottovalutate. Racconteremo tutto questo specialmente attraverso varie interviste che ci aiuteranno a capire anche diversi punti di vista”.
È questa la presentazione della pagina Instagram “Sentimenti in lockdown”, che hanno aperto Flaminia, Maria Vittoria e Scolastique Marie, per raccontare cosa ha significato per i ragazzi e le ragazze la didattica a distanza. Sul profilo si alternano card e video interviste, che le ragazze hanno fatto ai propri compagni e professori, restituendo un insieme di voci particolarmente significativo.

 

“Non credo che la pandemia abbia influito su tutti nello stesso modo”, afferma Elena. “Ritengo ad esempio che le persone più giovani, dalle medie alla prima superiore, che forse già prima del lockdown si rifugiavano di più nei social e avevano meno vita sociale, non hanno avuto gli stessi problemi di chi magari era più abituato ad avere una vita adolescenziale più movimentata, e questi ultimi si sono visti privati di molte cose. Non posso dire però che nessuno sia stato colpito dalla pandemia, sicuramente però gli effetti variano tra le diverse fasce d’età”. Che la pandemia abbia colpito diversamente a seconda dell’età lo pensa anche Agnese: “Secondo me, ricollegandomi anche alla questione della scuola, penso che sia stato diverso, e più difficile, per chi si è ritrovato a dover passare da un grado di scuola all’altro (dalle elementi alle medie o dalle medie al liceo), perché non hanno vissuto la socialità della scuola e già la difficoltà del cambiamento viene amplificata da questo aspetto”.

L’articolo e le interviste sono a cura di Alice Galizi, Rachele Romiti, Amandana Wadusinghe. La pagina social “Sentimenti in lockdown” e i contenuti caricati sono a cura di Flaminia Caffaretto, Maria Vittoria Formato, Scolastique Marie Scarfò. Il progetto fotografico è a cura di Giulia Contessi e Chiara Smaldone.