“Per anni io e mio marito abbiamo studiato la biodiversità, l’inquinamento, l’impatto dell’uomo sull’ambiente. Ci siamo sempre ritenuti una famiglia ecologica: usavamo pochissimo la macchina, facevamo la raccolta differenziata seguendo tutte le regole. Ma quando abbiamo traslocato, mentre tornavamo da uno degli innumerevoli viaggi ai cassonetti della spazzatura per buttare tutti gli imballaggi, mi sono resa conto che non stavamo facendo proprio niente per l’ambiente, anzi: stavamo creando un mini disastro ambientale”.
Marianna Mea è una biologa marina. Dopo alcuni anni di esperienza all’estero è tornata in Italia, a Napoli, con suo marito e suo figlio. Proprio qui, nel capoluogo campano, passeggiando tra le strade colme di spazzatura, ha capito che i rifiuti che stava producendo erano gli stessi di tutti gli altri. L’unica differenza è che la loro spazzatura era suddivisa in categorie: plastica, vetro, carta, inorganico, rifiuti non riciclabili.
É in quel momento che ha iniziato a interessarsi al movimento Zero Waste (letteralmente zero rifiuti), e a scoprire che c’è chi, in un anno, produce così pochi rifiuti che si possono contenere in un semplice barattolo di marmellata, per un peso di più o meno 500 grammi, barattolo compreso. La media nazionale, in confronto, è sconvolgente: in un anno, un italiano produce 500 kg di rifiuti, cioè un chilo e mezzo di spazzatura ogni giorno.
“Dovevamo cambiare il nostro comportamento per evitare di produrre tutta quella spazzatura”, continua Marianna. “Nessuno di noi può dirsi amico dell’ambiente se continuiamo a produrre così tanti rifiuti che vanno a finire nei nostri mari. Infatti, mentre noi compriamo frutta e verdura imballata o beviamo acqua dalla bottiglia usa e getta o il caffè dal bicchierino monouso, le plastiche e le microplastiche invadono i nostri mari, compreso il Mar Mediterraneo”.
Nonostante il consiglio dei ministri dell’Unione Europea abbia approvato la direttiva che vieta l’utilizzo della plastica usa e getta a partire dal 2021, la strada da percorrere è ancora molto lunga. Un altro fattore che contribuisce all’inquinamento delle acque, infatti, sono le microplastiche, ovvero quelle minuscole particelle, con un diametro di pochi millesimi di millimetro, che si staccano dagli oggetti di plastica, dai cosmetici o dai vestiti e arrivano ovunque, anche a centinaia di chilometri di distanza. Si stima che nel Mediterraneo ci siano circa 10 kg di microplastiche per km quadrato, e che più di un terzo di queste provengano dagli scarichi delle nostre lavatrici, in particolare dal lavaggio di capi di abbigliamento sintetici.
Nessuno di noi può dirsi amico dell’ambiente se continuiamo a produrre così tanti rifiuti che vanno a finire nei nostri mari.
“Così abbiamo invertito la rotta e iniziato ad adottare uno stile di vita zero waste, che punta a eliminare i rifiuti che devono essere mandati in discarica e a ridurre al minimo quelli che possono essere riciclati. Si tratta di uno stile di vita più sostenibile, più semplice, più lento”, ha raccontato Marianna. “Il nostro primo passo è stato analizzare cosa c’era nella nostra spazzatura. Il secondo è stato trovare delle alternative durevoli a tutte quelle cose usa e getta che utilizzavamo. La cosa più semplice è stata eliminare l’acqua in bottiglia. Poi abbiamo iniziato ad acquistare nei negozio di alimentari che vendono prodotti sfusi. A casa usiamo solo tovaglioli, fazzoletti e spugne in stoffa. A mio figlio abbiamo comprato i pannolini lavabili. Se andiamo a fare acquisti portiamo sempre con noi la nostra borsa in cotone, mentre quando andiamo al ristorante ci portiamo un contenitore per gli avanzi. Per l’igiene personale utilizziamo solo saponi solidi”.
L’Italia, come negli altri paesi dell’Unione Europea, produce e consuma più plastica di quanta ne riesca a riciclare e, soprattutto, a smaltire. In questi anni, quindi, l’ha sempre esportata: fino al 2017 la destinazione era la Cina, ma dopo che Pechino ha imposto delle restrizioni a ventiquattro tipi diversi di rifiuti, tra i quali la plastica, è sorta la necessità di trovare nuove destinazioni. Dai paesi del Sud Est asiatico, passando per l’Indonesia e la Turchia, fino agli stessi stati europei: secondo l’ultimo rapporto di Greenpeace sulle nuove rotte dei rifiuti plastici, l’Italia ha spedito oltre-confine circa 197 mila tonnellate di plastica, il 2,25 per cento della quantità esportata a livello mondiale. Inoltre, prendendo in considerazione la raccolta differenziata, i risultati ottenuti sono positivi ma non ancora soddisfacenti: secondo l’ultimo rapporto dell’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), nel 2017 la percentuale di raccolta differenziata in Italia ha raggiunto il 55,5 per cento, con una netta differenza tra nord e sud e fra un comune e l’altro.
Da quando ho iniziato questa battaglia contro la plastica sempre più persone mi hanno seguita: dal panettiere al cameriere del bar sotto casa.
Gradualmente, però, qualcosa sta cambiando. Nelle grandi e nelle piccole città, sempre più negozi fanno della sostenibilità il loro cavallo di battaglia. Tra questi c’è il “Negozio leggero”, nato nel 2009: si tratta della prima realtà al mondo di negozi specializzati nella vendita di prodotti sfusi, e con vuoto a rendere, che conta più di 1500 prodotti, selezionati dall’ente di ricerca ecologos, impegnato nella ricerca scientifica e ambientale.
“Da quando ho iniziato questa battaglia contro la plastica sempre più persone mi hanno seguita: dal panettiere al cameriere del bar sotto casa”, ha spiegato Marianna. “La Rete Zero Waste in Italia è nata con un gruppo whatsapp. Nel tempo è diventato talmente grande che era ormai ingestibile. Con il nostro lavoro quotidiano vogliamo ispirare le persone a questo cambiamento e dare la possibilità a chi vive nello stesso posto di incontrarsi e scambiarsi consigli”.
Vivere zero waste non significa solo evitare l’utilizzo della plastica, ma cambiare le proprio abitudini, rinunciare ad una comodità e a una velocità solo apparenti: significa preferire il mercato a chilometro zero ai prodotti imballati del supermercato; scegliere prodotti di stagione per abbattere il costo e l’impatto ambientale dei trasporti; produrre autonomamente prodotti come profumi, deodoranti, dentifrici o burro cacao; scegliere di portare con sè tazze, bicchieri o contenitori per evitare quelli usa e getta; preferire i negozi di seconda mano.
Quello che abbiamo ridotto sono solo dei bisogni indotti.
“Dobbiamo ricordarci che acquistare è come votare perché quando compriamo un prodotto stiamo dicendo al mercato di riprodurlo proprio in quel modo, perché ci piace, e di continuare a fare così”, conclude Marianna, che per Zero Waste ha scritto un modello di lettera che tutti possono utilizzare e inviare ai negozi per sensibilizzarli alla pratica sostenibile. “Per questo scegliamo attentamente a chi dare il nostro voto. Compriamo di meno, la nostra prima opzione è sempre l’usato: investiamo meno negli oggetti e di più nelle esperienze, nelle relazioni. Quello che abbiamo ridotto sono solo dei bisogni indotti”.
Per approfondire lo stile di vita zero waste ci sono moltissimi profili Instagram interessanti. Eccone alcuni:
retezerowaste
negozioleggero
storie_sfuse
marevivoonlus
liberidallaplastica
sustainablecorner
zero.waste.collective