×

Dentro e fuori le mura del carcere grazie alla realtà virtuale


Dall’interno di una macchina della polizia a un grigio cortile coperto di nuvole, il documentario VR Free trasporta lo spettatore nei panni di un detenuto: un’esperienza totalmente immersiva, resa possibile grazie alla realtà virtuale (VR, dall’inglese virtual reality)

La mia idea è stata quella di portare questa nuova tecnologia all’interno di uno spazio già di per sé carico, denso, forte”, spiega il regista Milad Tangshir. Iraniano di origine, Tangshir approda a Torino nel 2011 con già una laurea in ingegneria e tre dischi pubblicati.Suonavo in una band post rock e anche quando sono arrivato in Italia volevo proseguire con la musica”.

Milad tuttavia capisce presto che è la strada del cinema quella che vuole seguire. Una passione che cresce assieme a lui fra le mura di casa: “Mio padre aveva un proiettore super otto e guardavamo moltissimi, film, anche italiani”. Quindi Torino, “la città in cui è nato il cinema”.  Qui si laurea al Dams e consegue un master, per poi rimanervi in pianta stabile, dando inizio alla sua produzione che vede all’attivo diversi cortometraggi, un lungometraggio prossimo all’uscita e numerosi riconoscimenti.

“’VR Free’ è nato dopo qualche anno in cui ero completamente immerso in un altro progetto  chiamato Star Stuff: quindi anni di sviluppo, progettazione, riprese, viaggi, produzione, postproduzione e via dicendo, così ho sentito l’esigenza di sperimentare qualcosa di nuovo”. Fondamentale in questo passaggio è stato l’apporto di Valentina Noya dell’Associazione museo nazionale del cinema, che ha prodotto il corto.

Valentina è anche Project manager del festival LiberAzioni (all’interno del quale sono rientrate le proiezioni del documentario all’Infopoint Emergency), un insieme di iniziative che hanno come obiettivo il dialogo fra interno ed esterno del carcere grazie agli strumenti dell’arte e della tecnologia. LiberAzioni propone ogni anno anche un concorso cinematografico sul tema della libertà e i suoi limiti che lo scorso anno aveva visto trionfare lo stesso Tangshir con il corto “Displaced”.

Abbiamo mostrato loro riprese realizzate in situazioni quotidiane, banali per noi, ma che a loro sono precluse.

VR Free non vuole assolutamente essere un esercizio feticistico centrato sul mezzo. È un progetto legato quasi più al tema che alla forma che ha finito con l’assumere.  Vuole “stimolare nello spettatore libero una consapevolezza maggiore delle condizioni di vita e della realtà della detenzione”, come spiega lo stesso regista. E anche offrire immagini più vivide del carcere a chi sta fuori, ma anche e soprattutto poter portare dentro le immagini dell’esterno”.

È forse questo uno degli aspetti più interessanti del documentario, che vede il visore di realtà virtuale non soltanto come medium ma come oggetto della narrazione e strumento di dialogo e partecipazione dei carcerati.

Per esempio, in una scena ci si ritrova in una stanza con davanti una persona che indossa il visore. Inizialmente ci si sente un po’ spaesati, non si capisce bene cosa stia succedendo, si vede questa persona muovere leggermente le gambe, poi le braccia. Un sorriso, una frase troncata (“da quanto tempo non vado…”) e improvvisamente si è all’interno di una discoteca con luci soffuse, musica e persone tutt’intorno. “Abbiamo mostrato loro (ai carcerati, ndr) riprese realizzate in situazioni quotidiane, banali per noi, ma che a loro sono precluse”, spiega Valentina Noya.

In questo modo, Tangshir è riuscito a creare una sorta di dialogo fra spettatore e soggetto che spinge il confine ancora un più oltre le stesse possibilità del mezzo, rendendo questo documentario un’esperienza davvero unica nel suo genere. Un’esperienza quasi di “libertà virtuale”, oltre che di realtà virtuale. 

Ilpercorso di VR Free, tuttvavia, è ancora lungo. Il progetto di realtà virtuale (simile, per tema, a un progetto di realtà virtuale di qualche anno fa del Guardian che trasporta lo spettatore, invece, in una cella di isolamento) ha avuto il suo battesimo di fuoco al Festival di Cannes. Qui è stato presentato sotto l’ampio ombrello della nuova applicazione Rai “Rai Cinema Channel VR e ha ricevuto sin da subito molte attenzioni. Adesso partirà per la giostra dei festival nazionali e internazionali (a partire dalla Biennale di Venezia) che “in questi ultimi anni stanno investendo molto sulle produzioni a 360 gradi”, spiega Tangshir che, con sorriso scaramantico, conclude, “Se ci prendono”.