Se avete un figlio o una figlia adolescente è molto probabile che a casa vostra si ascolti la musica trap. Se invece non ce l’avete, è altrettanto probabile che non sappiate cosa sia. Tuttavia, questo genere musicale – definibile come sottogenere del rap – da qualche anno domina le classifiche di vendita di tutto il mondo, Italia compresa.
Tanto popolare da finire sul palco del Wired Next Festival 2018 in una sessione dal titolo “La verità, vi prego, sulla trap”. Ospite, il trapper Vegas Jones, figura di spicco della scena italiana – o “messa-in-scena”, come la definisce lui stesso in uno dei suoi ultimi pezzi – insieme ai vari Ghali, Sfera Ebbasta, Izi, Dark Polo Gang, Capo Plaza.
Ognuno di noi vive in una trappola, chi per qualcosa, chi per qualcos’altro. L’obiettivo è quello di uscirne.
I “trapper”, a dire il vero, non sono le persone più indicate per parlare della propria musica. Sarà che l’hip-hop e rap sono più una questione di identità e di rappresentanza, ma se chiedete a un trapper di definire la sua musica è abbastanza probabile che questo vi risponda con delle frasi fatte.
La definizione di Vegas Jones, per esempio, è la seguente: “Per quanto riguarda gli argomenti trattati, qualcosa che ti intrappola mentalmente. Ognuno di noi vive in una trappola, chi per qualcosa, chi per qualcos’altro. L’obiettivo è quello di uscirne”.
Nello specifico, poi, il termine trap farebbe riferimento alle cosiddette trap house: gli appartamenti abbandonati di Atlanta che negli anni ’90 venivano trasformati in centri di produzione e spaccio di stupefacenti. Nello slang di strada della west coast, infatti, trapping significa spacciare.
E da un punto di vista musicale?
Secondo Vegas Jones sono ben quattro gli elementi che distinguono la trap dal resto della musica rap. In primo luogo, l’impiego di sonorità più orientate all’elettronica: segni distintivi sono infatti i bassi lunghi in stile dub, i sintetizzatori da club e i kit di batteria tipici del gangsta rap, ma con il piatto charleston suonato un po’ lento e un po’ veloce.
“Al giorno d’oggi, grazie allo sviluppo della tecnologia, si è arrivati a fare tutto col computer”, spiega il giovane artista, a conferma di quanto detto sulle frasi fatte, “ma sempre di rap si parla, rap sta per rhythm and poetry, ritmo e poesia, (…) poi se uno fa trap è comunque ritmo e poesia”.
Ritmo, poesia e autotune, ovviamente. L’autotune è quell’effetto digitale che permette di correggere automaticamente l’intonazione di un cantante e di mascherare eventuali imperfezioni della voce. In altre parole: fa sembrare intonato anche chi intonato non è. Non a caso, quindi, l’autotune è diventato un simbolo della musica trap, dove lo studio delle tecniche di canto non è certo una priorità. (Un esempio di autotune? Questo brano di Capo Plaza, trapper salernitano classe 1998, arrivato di recente a superare le 40 milioni di visualizzazioni su Youtube).
Perché nel rap, e quindi anche nella trap, più della voce contano la metrica e il flow. Per semplificare: la capacità di parlare in rima andando a tempo sulla base. E proprio l’utilizzo di “metriche particolari, che spesso si ripetono” è, secondo Vegas Jones, il terzo elemento che contraddistingue la trap. Rime più lente o più veloci di quelle tradizionali, giochi di parole e incastri composti da elementi ripetuti (per citare Sfera Ebbasta: “Entro non chiedo il permesso, fumo dove non è permesso”), il tutto su ritmi anche molto diversi dai classici 80-90 bpm dell’hip-hop prima maniera.
Infine, l’ultimo elemento distintivo della trap – forse il più significativo – è un forte orientamento verso la musica pop commerciale. Rispetto al rap classico, infatti, questo sottogenere si caratterizza per melodie più orecchiabili e ballabili, per video meno cupi e testi che nella maggior parte dei casi non hanno alcun messaggio politico. Una trasformazione, questa, che ha portato a una vera e propria esplosione del mercato del rap. “Prima era una cosa di strada, di protesta”, spiega Vegas Jones. “Ora se guardi la Top50 di Spotify a livello globale, 35 sono canzoni rap o simili”.
Il successo della trap è infatti l’aspetto più sorprendente di una tendenza che, a prima vista, potrebbe sembrare una moda come le altre e che sta invece influenzando l’immaginario di moltissimi adolescenti (e non solo). Anche perché, come sottolinea giustamente il trapper: “molta gente sta cominciando a farla, oltre che ad ascoltarla”.
Per realizzare una canzone trap del resto non servono grandi risorse: bastano un computer, un microfono e una base. Ne è una dimostrazione il caso di 500Tony, trapper di 9 anni diventato famoso a seguito delle polemiche scatenate dalle sue canzoni in cui sostiene di non andare a scuola e ostenta lo stile di vita criminale della sua famiglia e di alcuni abitanti del campo Rom dove vive.
Al giorno d’oggi, serve qualcuno che ti faccia vedere la realtà com’è.
Quello dei messaggi contenuti nelle canzoni trap è senza dubbio un aspetto delicato. Molto spesso gli artisti si trovano a dover trovare giustificazioni per i loro testi in cui ostentano la loro esistenza fatta di ricchezza, droghe e street life (anche se non mancano eccezioni positive, come alcuni canzoni di Ghali, tra cui “Wily Wily”). Giustificazioni che spesso tirano in ballo una sorta di realismo o di diritto di cronaca, che i trapper giudicano persino educativo.
“Io faccio il rapper, ma non vuol dire che se tuo figlio ascolta il rap sta ascoltando solamente parolacce, cose brutte, ecc. Io cerco di dare un insegnamento nelle mie canzoni e spero di darne sempre di più. Al giorno d’oggi, serve qualcuno che ti faccia vedere la realtà com’è”, conclude Vega Jones.
Ora, non è chiaro quale sia l’intento pedagogico dietro versi come “Mi piace starti sul cazzo, ma mai quanto a te saltarci sopra”, contenuto nel suo ultimo successo “Brillo”. Tuttavia, è innegabile che i giovani di tutto il mondo vanno pazzi per questo genere di musica e di testi. Forse, più che condannare il messaggio e il linguaggio dei trapper, varrebbe la pena chiedersi perché.