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Photo by Sodanie Chea / CC BY

Stress, quali sono i segreti di chi lo sopporta meglio?


Al mondo c’è chi si lascia sopraffare dallo stress e chi invece è più in grado di resistergli. È chiaro tuttavia che se dobbiamo affrontare un colloquio di lavoro, un esame o se siamo in ritardo ad un appuntamento, o in una situazione come quella che stiamo vivendo di isolamento, incertezza, paura, tutti noi proviamo dello stress. Il punto quindi potrebbe essere, come tenerlo sotto controllo?

Per saperlo è bene prima capire cosa sia lo stress. Lo stress è un processo biologico che provoca una serie di reazioni chimiche all’interno del corpo e del cervello. Ci aiuta a mantenere la concentrazione e ad adattare il nostro comportamento a situazioni potenzialmente pericolose. Può essere negativo o positivo, e di solito è legato a un periodo di tempo specifico. Quindi lo stress è una risposta immediata a qualsiasi situazione pericolosa, logorante o stancante che ci si pone davanti.

Oggi, numerosi studi condotti in tutto il mondo stanno cercando di scoprire come alcuni di noi siano in grado di resistere alle situazioni di grande stress, evitando così tutti gli effetti negativi che ne derivano. Una delle risposte potrebbe trovarsi già dentro ciascuno di noi, nel nostro cervello, per lo meno secondo Dennis Charney e James Murrough, ricercatori dell’ospedale Mount Sinai di New York.

Abbiamo individuato un particolare neuropeptide, chiamato neuropeptide Y, che si trova nel cervello di tutti e potrebbe darci la possibilità di testare un nuovo trattamento contro la depressione l’ansia e il disturbo da stress post traumatico (Ptsd)”, racconta durante una conferenza tenutasi ad Aspen nel luglio 2019 lo stesso Charney.

I due ricercatori hanno testato su alcuni volontari affetti da sindrome da disturbo post traumatico il neuropeptide Y (Npy). A quanto pare, questa sostanza, prodotta appunto dai nostri geni, sembra essere una specie di interruttore per la risposta allo stress. Dal loro studio è emerso che l’Npy attenua alcuni sintomi del Ptds. Ma purtroppo questa tecnica non è semplice da applicare. Ci vogliono infatti un apposito macchinario per l’inalazione e circa un’ora perché la sostanza abbia effetto.

Un altro fattore chiave che influisce sulla gestione dello stress di un individuo potrebbe essere il modo e l’ambiente in cui quest’ultimo è cresciuto. Di questo, nello specifico, si è occupato il Bucharest early intervention project condotto dai ricercatori della Tulane University, della University of Maryland e del Boston Children’s Hospital).

Questo studio, iniziato nel 2000, ha preso in esame 136 bambini di diversi orfanotrofi. Metà di loro è stata data in affidamento tra i sei e trenta mesi d’età, l’altra metà dopo. Dodici anni più tardi, gli studiosi hanno sottoposto gli stessi bambini ad alcuni compiti stressanti. Dallo studio è emerso che i bambini dati in affidamento prima dei due anni di età hanno una risposta allo stress simile quella di bambini cresciuti con genitori naturali. Mentre gli altri bambini, la metà data in affidamento dopo i due anni di età, invece, potrebbero aver subito un danno nella reazione allo stress, che in futuro potrebbe portare a patologie anche gravi.

In genere i bambini perdono circa un mese di sviluppo ogni mese passato in un ambiente deprivato” ha detto durante una conferenza Charles A. Nelson, direttore dello studio Bucharest early intervention project e professore di pediatria alla Harvard Medical School. È quindi chiaro che i primi due anni di età sono un periodo delicato perché l’ambiente può avere una forte influenza sulla risposta allo stress di un individuo.

Un’altra caratteristica che entra in gioco è la nostra personalità. Nello specifico il senso dell’umorismo. Coloro che sono capaci di vedere il lato ironico delle cose reagiscono con positività allo stress. Questo è confermato, oltre che dalle numerose volte in cui lo abbiamo provato in prima persona, dallo studio di Michael Sliter dell’Indiana University-Purdue University di Indianapolis. La ricerca si focalizza sui sintomi di burnout e sindrome da stress post-traumatico mostrati dai vigili del fuoco dopo situazioni molto pericolose, scoprendo che coloro che utilizzano l’umorismo come strumento di difesa si riprendono molto più facilmente degli altri.

Tuttavia lo stress non è sempre negativo, anzi può anche essere molto utile.  In uno studio sui ratti, la ricercatrice Daniela Kaufer dell’University of California – Berkeley ha mostrato, per esempio, i più stressati tra gli animali  erano anche quelli che sviluppavano neuroni più potenti e in grado di apprendere nuovi compiti. Questa reazione allo stress, spiega la ricercatrice, non solo potenzia i ratti a livello intellettivo, ma li rende anche più resilienti in situazioni difficili. I neuroni nati da situazioni stressanti, a quanto pare, consentirebbero di apprendere meglio e con più efficacia.

Dunque non esiste una sola caratteristica da rubare a quanti sono in grado di gestire lo stress. Esistono invece una serie di fattori – alcuni innati, altri che si possono coltivare – che combinati rendono un individuo più o meno resistente. E non c’è nemmeno una risposta alla domanda “Qual è la dose ‘utile’ di stress?”.

Probabilmente varia da persona a persona (…). Quello che rafforza una può spaventarne un’altra. Se esiste uno stress benefico, forse possiamo individuarlo da soli. È probabile che sia la differenza tra lo stress paralizzante e quello che riusciamo a superare che dopo ci fa stare bene”, racconta la stessa Kaufer in un’intervista su Being Patient, magazine online che si occupa prevalentemente di Alzheimer e di salute mentale in generale.

Per capire e controllare questo equilibrio, quello che possiamo fare è scoprire quale tipo di stress ha un effetto benefico in noi. Cioè quel tipo di stress che una volta superato ci regala soddisfazione e non ci lascia paralizzati tanto da impedirci di vivere.