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Photo by NASA Johnson / CC BY-NC

Fare scienza sulla Stazione Spaziale? Il racconto di Luca Parmitano


È importantissimo avere dei sogni, è indispensabile, i sogni ci danno energia, ci danno direzione, sono un po’ come un faro. Però è importante concentrarsi, nella vita di ogni giorno, sui progetti, su quelli che possiamo realizzare, perché la realizzazione dei progetti è quello che ci dà soddisfazione”. Questo è il messaggio che l’astronauta Luca Parmitano vuole far arrivare a tutti i giovani e soprattutto ai sognatori, al termine di un’intervista con l’ESA Web TV, uno dei canali YouTube dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa).

A dirla tutta l’intervista non parlava di sogni. Prima di questo messaggio, infatti, Parmitano aveva affrontato il tema degli esperimenti scientifici condotti dagli astronauti sulla Stazione Spaziale Internazionale (Iss) in orbita intorno alla Terra. Infatti, durante la sua prima missione sull’Iss, nel 2013, Luca ha condotto una ventina di esperimenti. Lo stesso accadrà nel suo prossimo viaggio, che molto probabilmente avverrà nel 2019,  grazie all’equipaggiamento del modulo Columbus: un vero e proprio laboratorio spaziale messo a punto e portato sulla Stazione dall’Esa e che lo scorso febbraio ha festeggiato il suo decimo compleanno in orbita.

“Il laboratorio Columbus viene utilizzato soprattutto per esperimenti di ricerca fisiologica e quindi (esperimenti in cui, ndr) gli astronauti sono molto coinvolti”, racconta l’astronauta. “Circa un anno e mezzo prima della missione e poi di nuovo un anno prima della missione, tutta una serie di scienziati che vogliono portare una missione a bordo si presentano di fronte agli astronauti e hanno circa cinque minuti per presentare un loro progetto, al quale poi gli astronauti possono decidere o meno di partecipare”.  È in quel momento, spiega Parmitano, che gli astronauti danno la loro disponibilità a partecipare a un determinato esperimento, che può essere anche particolarmente complesso e coinvolgerli per tutta la missione con regolari prelievi di sangue, esami clinici e monitoraggi di vario tipo. Una volta raccolte le disponibilità, è una commissione apposita che, in base a specifiche priorità, decide quali saranno gli esperimenti che saranno effettivamente condotti in orbita.

Quando ho fatto questo incontro con gli scienziati, di fatto una specie di speed dating, io mi sono segnato per quasi tutti gli esperimenti”, racconta Parmitano, ricordando due esperimenti in particolare dei venti che ha condotto nel 2013: “Uno riguardava una serie di immagini della spina dorsale realizzate con una macchina a ultrasuoni. Normalmente, per fare un’immagine della spina dorsale serve una macchina per la risonanza magnetica. Invece noi abbiamo dimostrato che anche non tecnici, con una guida a distanza e (seguendo, ndr) un protocollo particolare sono in grado di ottenere immagini della spina dorsale con una macchina a ultrasuoni molto molto chiare”. Adesso, prosegue il cosmonauta, quella stessa macchina, grande appena come un computer portatile, viene adoperata in luoghi remoti come il Circolo Polare Artico.

Mi piace pensare che qualcosa di noi resti per sempre sulla Stazione

Un altro degli esperimenti condotti nel 2013 non metteva alla prova un macchinario, quanto piuttosto un particolare tipo di alimentazione: “Una dieta per vedere quale tipo di bilanciamento tra potassio e proteine potesse dare la minore perdita di calcio nelle ossa. Noi in orbita siamo sottoposti a una osteoporosi rapida, e quindi è molto facile studiare i marker che vengono rilasciati nelle urine e nel sangue”. Il modulo Columbus è infatti dotato di una centrifuga grazie alla quale possono preparare le fiale di sangue che gli astronauti si auto-prelevano regolarmente per poi conservarle in un frigorifero in attesa di riportarle sulla Terra.

Esami del sangue e controlli regolari sono la norma per gli astronauti, sia nello Spazio sia prima di partire e una volta tornati dalle missioni. “Durante la preparazione siamo sottoposti a tutta una serie di controlli per vedere quale è il nostro status di partenza. Poi in orbita raccogliamo il campionario per vedere come il nostro corpo si adatta e si modifica; e subito dopo il rientro per circa un mese siamo costantemente seguiti da dottori per vedere come il nostro corpo si riadatta. Di fatto questo è un periodo molto complesso del nostro rientro”, racconta l’astronauta catanese. “Poi, per un intero anno, a intervalli regolari siamo controllati per vedere come il nostro corpo rientra, ritorna alla sua costituzione normale. Questo finisce dopo un anno, perché è stato dimostrato che quello è il periodo in cui l’uomo fisiologicamente torna a essere perfettamente terrestre”.

Perfettamente terrestre, ma forse non esattamente uguale a prima. Per lo meno nella fantasia di Luca Parmitano. “Mi piace pensare che qualcosa di noi resti per sempre sulla Stazione”, conclude. “Un’esperienza così forte come quella di vivere nello spazio ci trasforma profondamente e forse è per questo che poi tutti gli astronauti vogliono tornare nello Spazio”.