Sei anni. Tanti sono quelli che Edward Snowden, il whistleblower più famoso al mondo dopo “Gola Profonda”, ha trascorso in esilio fino a oggi. Nonostante le sofferenze, la fuga, la paura di essere catturato e riportato negli Stati Uniti o ucciso, sono stati sei anni di vita e di relativa sicurezza. Sarebbero potuti essere molto diversi senza l’aiuto di quelli che alcuni chiamano “gli angeli guardiani di Snowden”.
Questi angeli sono famiglie di rifugiati dello Sri Lanka e delle Filippine che vivono nel quartiere di Kowloon a Hong Kong. Veri e propri fuori casta nella oggi turbolenta regione cinese. Sono loro che, nel momento più difficile, hanno offerto al whistleblower riparo, protezione e amicizia. Si chiamano Vanessa Rodel, Ajith Pushpakumara, Supun Thilina Kellapatha e Nadeeka Dilrushi Nonis.
“Queste persone, sempre estremamente gentili, generose e caritatevoli hanno dato prova di una solidarietà umana, più che politica, e sarò per sempre in debito nei loro confronti. A loro non importava chi fossi, o quali pericoli avrebbero corso, volevano soltanto aiutare una persona in difficoltà”, ricorda Ed Snowden nella sua autobiografia “Errore di Sistema” (Longanesi, 2019). “Sapevano fin troppo bene che cosa significava essere costretti a una folle fuga per sfuggire a una minaccia mortale, dato che erano sopravvissuti a traversie molto più gravi di quelle che avevo passato io: torture da parte dell’esercito, stupri e violenze. Così accolsero uno straniero nella loro casa, e anche quando mi videro comparire in tv non ebbero tentennamenti, al contrario, sorrisero e colsero l’opportunità per rassicurarmi sulla loro ospitalità”.
“La loro accoglienza e amicizia era un dono, ed è un dono per il mondo intero sapere che esistano persone così”, scrive ancora Snowden.
La loro storia, che raccontano loro stessi a France 24, mostra tuttavia quanto sia costato e quanto stia costando loro aver aiutato Snowden. Da quando la loro esistenza è stata rivelata, nel 2016, dopo l’uscita del film “Snowden” di Oliver Stone, sono in costante pericolo. In questi anni sono stati perseguitati e interrogati più volte dalla polizia e privati di ogni sussidio. Oggi rischiano in ogni istante di essere deportati nel loro paese di origine, il che vorrebbe dire prigione e nuove indicibili torture.
“Abbiamo perso la nostra casa, abbiamo dovuto vivere per strada con i nostri bambini, dormendo dove capitava. Siamo richiedenti asilo, quindi Hong Kong può deportarci e rispedirci nel nostro paese in ogni momento”, racconta Supun Thilina Kellapatha. “Ogni volta che usciamo dobbiamo uscire in quattro, tutti insieme”.
“Se venissero deportati dalle autorità di Hong Kong e riportati nella loro patria, lo Sri Lanka, Supun e Nadeeka sarebbero torturati e imprigionati… Probabilmente peggio. I bambini sarebbero separati dai genitori e cadrebbero vittime del traffico di esseri umani. Ajith, essendo un disertore, sarebbe condannato a morte”, spiega Marc Andre Seguin, avvocato e presidente di “For the refugees”, un’associazione che si occupa di prestare protezione legale ai rifugiati. “Sarebbe un incubo; per loro sarebbe come tornare all’inferno”.
Per scongiurare questo pericolo, gli angeli guardiani di Edward Snowden hanno fatto richiesta di asilo in Canada. Per ora, tuttavia, solo quella di Vanessa Rodel e sua figlia Kaena è stata accolta mentre le altre sono ancora pendenti, come spiega un aggiornamento sulla pagina del crowdfunding lanciato per aiutare queste famiglie a sopravvivere e a far fronte alle spese legali.
“È un ritardo inusuale, considerato anche il fatto che tutte le richieste di asilo sono state inviate allo stesso momento, presentano situazioni simili e finora sono state processate insieme”, prosegue Seguin. “Le tre famiglie sono state intervistate a ottobre (2018, ndr) dagli ufficiali del consolato canadese. Ci è stata comunicata la decisione solo rispetto alla situazione di Vanessa ma non degli altri. E non capiamo perché”.
La loro accoglienza e amicizia era un dono, ed è un dono per il mondo intero sapere che esistano persone così.
Robert Tibbo, uno degli avvocati che ha seguito Snowden durante i primi giorni a Hong Kong e che orchestrato la sua fuga nel quartiere di Kowloon (e che a sua volta sta subendo ritorsioni per questo), è convinto che il ritardo sia dovuto alla pressione degli Stati Uniti.
“L’ammirazione che provo per queste persone è pari soltanto al risentimento che nutro verso i burocrati di Hong Kong che continuano a negar loro il diritto di asilo (…). Ma un briciolo di speranza me lo da la notizia che Vanessa e sua figlia hanno ottenuto asilo in Canada. Non vedo l’ora che arrivi il giorno in cui potrà andare a trovare tutti questi miei vecchi amici di Hong Kong nelle lore nuove case, ovunque si trovino, e che possiamo creare insieme ricordi più felici, in libertà”, conclude Snowden nel suo libro.
Se volete aiutare Supun, Nadeeka e Ajith, potete farlo attraverso questo crowdfunding. Sulla pagina si trovano anche ulteriori interviste e aggiornamenti sulla loro situazione.