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Le skill necessarie per affrontare l’incertezza


La traiettoria di Covid-19 è definita dall’incertezza”, scrive Arabella L. Simpkin nel blog del British Medical Journal. “Il nostro disagio per l’incertezza”, prosegue la ricercatrice, “è un retaggio dei nostri istinti di sopravvivenza: siamo più a nostro agio con ciò che è familiare e certo, rispetto all’ignoto, che potrebbe essere pericoloso. Abbracciare l’incertezza va contro i nostri istinti evolutivi”. Eppure, incertezza e imprevedibilità sono le parole cardine su cui abbiamo dovuto costruire le nostre storie in questi mesi di crisi.

Per questo, in una situazione così mutevole è quasi impossibile fare programmi, o trovarsi preparati all’inatteso. Eppure, dalla University of Bath School of Management, in Inghilterra, arriva una visione illuminata. “Sappiamo che ci saranno più epidemie in futuro, ma non sappiamo dove o quando o quali saranno. Quindi non possiamo fare programmi. Ma possiamo prepararci.” La prospettiva è quella di Margaret Heffernan, imprenditrice, autrice di fama mondiale e una delle firme di Financial Times e Huffington Post. È di circa un anno fa, ma incredibilmente attuale, un’appassionante TED talk in cui la scrittrice parla di come alcune human skill – capacità e competenze dell’essere umano – possano dare solidità ad una “inestirpabile incertezza”.

Margaret, autrice di “Willful Blindness”, definito dal Financial Times come uno dei libri sul business più importanti dell’ultimo decennio, nella sua TED Talk cerca di scardinare l’idea secondo cui essere efficienti è sinonimo di essere preparati a ciò che verrà. Di saper affrontare l’incertezza. “I sistemi efficienti funzionano molto bene quando si può predire con esattezza quello che servirà. Ma quando entrano in gioco le emergenze e gli imprevisti… Beh, l’efficienza non è più nostra alleata. È diventato un problema cruciale affrontare gli imprevisti, perché essi stanno diventando la norma”.

Negli ultimi 20-30 anni – sottolinea la scrittrice texana – gran parte del mondo è passata dall’essere complicata all’essere complessa. “Il che significa che sì, ci sono degli schemi, ma non si ripetono regolarmente”, in estrema sintesi, il sistema cambia troppo rapidamente e troppe cose sfidano le previsioni. In un tale ambiente, “l’efficienza non solo non ci aiuterà, ma indebolisce e intacca le nostre capacità di adattamento e risposta. (…) Penso che, mentre in passato agivamo solo al presentarsi del problema, ora dobbiamo iniziare a pensare alle possibili eventualità, a prepararci per gli eventi che sono certi in generale ma restano incerti nel dettaglio”.

Quando entrano in gioco le emergenze e gli imprevisti… Beh, l’efficienza non è più nostra alleata.

Tra gli esempi che porta Margaret vi è l’attività della Cepi, Coalition for Epidemic Preparedness – fondata dalla Bill & Melinda Gates Foundation – nata per finanziare progetti di ricerca indipendenti per sviluppare vaccini contro le malattie infettive emergenti. Il lavoro della Cepi è quello di sviluppare diversi vaccini per diverse malattie, sapendo di non poter prevedere quali di questi funzioneranno o quali epidemie emergeranno.

Quindi alcuni di quei vaccini non saranno mai usati. Non è un sistema efficiente. Ma è solido, perché fornisce più opzioni e questo significa che non ci affidiamo a una singola soluzione tecnologica”. La scrittrice prosegue affermando che la risposta alle epidemie dipende anche molto dalla conoscenza e fiducia reciproca delle persone.Ma questi rapporti richiedono tempo per formarsi, tempo di cui siamo sempre a corto quando scoppia un’epidemia”. Magari, tra i rapporti, le amicizie e le alleanze che si stringono adesso alcune di queste non saranno mai sfruttate, “non è efficiente, è uno spreco di tempo, forse, ma è solido”.

È un sistema che richiede tempo e denaro per essere avviato. Ma “se si è incastrati in una di queste organizzazioni che sono ancora prese dal mito dell’efficienza, come si iniziano a cambiare le cose? Si fanno degli esperimenti”. Ci ha provato Jos de Blok, olandese, fondando la Buurtzorg Nederland, un’organizzazione pionieristica che offre assistenza domiciliare, che ha deciso di “ripartire dal punto di vista del paziente e semplificare il sistema”.

Margaret Heffernan racconta come. Il metodo assistenziale è passato da un lavoro standardizzato e organizzato al minuto – secondo delle rigide tabelle di marcia che gli infermieri, e i pazienti, odiavano – ad un modello di cure olistiche. “Dato che ogni paziente è diverso e non sappiamo esattamente di cosa avrà bisogno, perché non lasciamo decidere agli infermieri? Troppo temerario?” Nell’esperimento dell’infermiere olandese, racconta la Heffernan, i pazienti si rimettevano nella metà del tempo e i costi si riducevano del 30 per cento. Metodo che, se applicato ad un sistema troppo centralizzato, non funziona. Nonostante ciò, spesso tali esperimenti sono “l’unico modo per capire come funziona il mondo reale”.

La dura e più profonda verità è che il futuro è incerto, che non possiamo conoscerlo prima di vederlo. Ma va bene così.

Tra i vari esempi presentati, raccolti nella sua esperienza, la scrittrice racconta delle conversazioni avute con diversi direttori generali che avevano affrontato periodi di profonda crisi all’interno della loro azienda. “Sono state conversazioni sincere e dolorose. Alla domanda ‘cosa le ha permesso di andare avanti?’ la risposta non è mai stata ‘i dati, la tecnologia’, ma “sono stati i miei amici e i miei colleghi a farmi andare avanti’. Uno di loro ha aggiunto: ‘È praticamente l’opposto della gig economy’”.

Ma poi sono andata a parlare con un gruppo di giovani imprenditori emergenti e ho chiesto loro: ‘Di chi siete amici al lavoro?’”. Erano spaesati, racconta la scrittrice, rispondevano che non c’era il tempo per queste cose, che erano impegnati, che non era efficiente. “Mi sono chiesta, chi darà loro l’immaginazione, l’energia e il coraggio quando arriveranno le difficoltà?

La dura e più profonda verità è che il futuro è incerto, che non possiamo conoscerlo prima di vederlo. Ma va bene così”, conclude Margaret Heffernan.

Prontezza, collaborazione, immaginazione, sperimentazione, coraggio. In un’epoca imprevedibile, queste sono delle enormi fonti di resilienza e forza. Non sono efficienti, ma ci danno una capacità illimitata di adattamento, cambiamento e invenzione. E meno sappiamo sul futuro, più ci serviranno queste enormi fonti di abilità umane, caotiche e imprevedibili. Abbiamo il coraggio di inventare cose che non abbiamo mai visto prima. Se perdiamo queste abilità saremo alla deriva. Ma coltivandole e sviluppandole, possiamo creare il futuro che vogliamo”.