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Ritratti di amicizia, una conversazione con Tullio Pericoli


La lettura è molto vicina al mio lavoro di ritrattista. Mi è molto servita soprattutto la lettura dei testi. Conoscere tutta la critica di Calvino o di Borges è molto meno importante che leggere un loro testo. Arricchisce molto di più anche visivamente”.

Nel suo studio a Milano, pieno di libri, matite e pennelli, Tullio Pericoli racconta a Senti Chi Parla alcuni degli incontri che più lo hanno colpito. Dai professori del liceo, agli amici di sempre, fino agli sconosciuti molto illustri come Eugenio Montale, incrociato per caso sulle scale del Corriere della Sera e accompagnato a casa con una vecchia Cinquecento, in un silenzio surreale. Attraverso questi incroci l’artista ripercorre parte della sua vita: l’arrivo a Milano nel 1961 da Ascoli, la collaborazione con Linus, con il Giorno di Italo Pietra, con Livio Garzanti, a cui dipinse in un salone della casa editrice una pittura murale.

Sono due gli elementi che mi hanno condotto verso certe persone, verso certi incontri. Da un lato la vera e propria curiosità di conoscere e di parlare con loro avendoli conosciuti attraverso la loro arte. L’altra era l’interesse per quello che loro potevano dare a me. Come la mia strada, la mia arte, il mio lavoro potesse arricchirsi delle loro conoscenze e dei loro meccanismi”, racconta. 

“A me è interessato sempre molto confrontare le discipline diverse e metterle insieme. Cercare di capire come funziona la mente di un attore messa vicina alla mia, a quella di uno che fa il pittore, o di un musicista, di uno scrittore o un poeta, o dei mestieri più differenti perché tutto quanto rientra nella struttura del nostro pensare, nella nostra immaginazione, nella possibilità creativa della nostra mente”.

Alcune persone di cui racconta è andato a cercarle rincorrendole per strada o bussando alla loro porta. Ripensandoci oggi Tullio Pericoli dice di essere un po’ incredulo, non riconoscendosi nei panni di quel ragazzo che, ad esempio, con ansia e curiosità era andato da solo a cercare Lucio Mastronardi a Vigevano. Altri, invece, si rammarica di non essere riuscito a incontrarli. Su tutti Pier Paolo Pasolini: “Mi interessava proprio come persona, avrei voluto parlargli, esserne amico. L’ho anche visto, l’ho sentito a una bellissima presentazione del film ‘Il Vangelo secondo Matteo’ dove mi incantò il suo modo di riflettere mentre parlava”.

Le parole hanno bisogno di essere protette perché sono fragili, delicate, non possiamo sapere cosa susciteranno e cosa possono provocare.

Da alcuni incontri sono anche nate vere e proprie amicizie. Il ricordo più forte lo ha di Umberto Eco perché racconta che gli ha lasciato una grande quantità di cose dette, a volte anche buttate là, quasi sgradevoli, che però continuano con gli anni a creare un rapporto di affetto verso di lui.

Anche di Giorgio Bocca ha un ricordo nitido, quando è andato a trovarlo a colazione per l’ultima volta, dopo essere stato chiamato. “Io sapevo quel giorno che avrei parlato a un carissimo amico e le mie parole sarebbero andate nella sua mente e allo stesso tempo in un luogo che tutti noi non conosciamo. Mi sarei trovato davanti agli occhi di una persona mia cara che avrebbe ricevuto quelle parole per portarle non so dove. Lo avrebbero accompagnato da quel momento in avanti per gli ultimi giorni, ore, della sua vita. E purtroppo non sono riuscito a dirgliele perché non siamo rimasti insieme noi due da soli. Le parole hanno bisogno di essere protette perché sono fragili, delicate, non possiamo sapere cosa susciteranno e cosa possono provocare. Credo allora che queste parole si possono pronunciare in certi momenti e in altri è impossibile”.

Su una libreria sono poggiati diversi ritratti di Samuel Beckett. È lui lo scrittore che Pericoli ha dipinto di più, nonostante non fosse il suo scrittore preferito. Gli autori e gli amici che ha più amato dipingere, infatti, non sono gli stessi che ha più amato leggere.Con mia sorpresa ne ho fatto circa 80 ritratti, ma Beckett non è il mio autore preferito. Lui è pieno di quei punti misteriosi, di mistero, in cui non si entra o si fa fatica a entrare e quindi è molto suggestivo anche per questo. È subentrato l’elemento visivo: la faccia, il volto di Beckett mi ha affascinato. Lì dentro c’è una sorta di mistero, proprio nelle rughe, nei segni, come se il tempo avesse raccontato tutto quello che lui aveva pensato e vissuto”.

Quello che appare in superficie dipende da quello che c’è dentro.

E proprio le rughe e i segni sono alcuni degli elementi che uniscono i due protagonisti della pittura di Tullio Pericoli: i volti e il paesaggio. Sono due superfici che nascondono qualcosa, separando l’interiorità da ciò che si vede all’esterno. Come ogni volto racconta la storia di un individuo, il suo passato, le sue origini e persino qualcosa che precede la sua nascita, così il paesaggio racconta la storia di una società e di un popolo.

Quello che appare in superficie”, conclude Pericoli,“dipende da quello che c’è dentro, da ciò che c’è stato nei secoli passati per il paesaggio, e negli anni che sono passati per un volto. Non solo il fatto geologico, ma anche come la terra è stata in contatto con l’umanità, come la terra si è comportata nei suoi confronti, come l’ha trattata, come l’ha amata, come l’ha rispettata. È qualcosa che viene e va nel profondo di ognuno di questi due soggetti”.

Questa conversazione con Tullio Pericoli nasce dopo la lettura del suo ultimo libro, Incroci, pubblicato da Adelphi nel 2019.