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Photo by iphonedigital / CC BY-SA

“Rifate il mondo”: il messaggio di Tim Cook agli studenti della Tulane University


In un mondo in cui documentiamo ossessivamente le nostre vite, la maggior parte di noi non presta abbastanza attenzione a ciò che ci dobbiamo reciprocamente”. C’è sempre qualcosa su cui riflettere quando ad ammonirci sull’uso sbagliato che facciamo di un determinato oggetto è esattamente la persona che quell’oggetto ce lo ha messo in mano. O se non proprio lui, il suo diretto discendente. Tim Cook è l’uomo che ha preso il comando definitivo di Apple nel 2011, dopo le dimissioni di Steve Jobs.

Si tratta di riconoscere che la civiltà umana è iniziata quando ci siamo resi conto che avremmo potuto fare di più insieme… E che possiamo realizzare di più – più prosperità, più bellezza, più saggezza e una vita migliore – quando accettiamo certe verità condivise e agiamo collettivamente”.

La civiltà umana è iniziata quando ci siamo resi conto che avremmo potuto fare di più insieme.

Nato e cresciuto a Robertsdale, in Alabama, lo scorso 18 maggio Cook ha tenuto il suo discorso ai laureandi della Tulane University a New Orleans. Due regioni del sud, nell’area del Golfo del Messico, di cui il Ceo di Apple ricorda i valori e lo spirito.

Ovunque tu vada, non dimenticare le lezioni di questo posto. La vita troverà sempre molti modi per dirti che non puoi, che non dovresti, che sarebbe meglio se non ci provassi. Ma New Orleans ci insegna che non c’è niente di più bello o più utile che provare”.

Tim Cook ammette di aver in parte fallito come generazione precedente a quella a cui si sta rivolgendo: troppo impegnati a discutere e a lottare, non si sono occupati abbastanza di dove si stava andando. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Che i cambiamenti climatici siano uno degli argomenti che preoccupa di più i giovani (e non solo quelli americani) lo dimostra l’applauso della platea.

Questo problema non è più o meno semplice in base a chi vince o perde le elezioni. Questo problema riguarda chi ha vinto la lotteria della vita e ha il lusso di ignorare l’argomento e chi sta per perdere tutto”.

Il richiamo alla necessità di una maggior empatia umana, il richiamo al dovere di non chiudersi nella propria bolla e aprirsi anche ad opinioni diverse dalle proprie, porta Tim Cook a toccare un altro argomento quello delle “bolle” o “echo chambers” create dagli algoritmi dei social network (ne aveva parlato anche Justin Smith) e di un confronto sociale e politico portato avanti con la sola intenzione di “eliminare” l’opinione dell’altro.

Quando parliamo di cambiamenti climatici, o di qualsiasi altro problema che prevede un costo umano, ti sfido a cercare quelli che hanno più da perdere e trovare la reale, vera empatia che viene da qualcosa di condiviso. Questo è ciò che ci dobbiamo l’un l’altro. Quando lo fai, il rumore politico si spegne e puoi sentire i tuoi piedi saldamente piantati su un terreno solido. Dopotutto, non costruiamo monumenti ai troll e non inizieremo ora”.

“Dopotutto, non costruiamo monumenti ai troll e non inizieremo ora”.

Una esortazione a provare, anche a fallire provando, e a non abbandonarsi all’illusione che facendo finta di niente il mondo possa tornare a posto. Per far capire a un pubblico di giovani a un passo dalla vita adulta quanto sia rischioso rimanere immobili, Tim Cook cita il discorso di un illustre predecessore, Franklin Roosevelt, che, in occasione della laurea ad honorem conferitagli dalla Oglethorpe University, nel 1932 (l’America stava attraversando la più grande crisi economica della sua storia) disse agli studenti nel momento più incerto della loro vita: “Il vostro compito non è farvi strada nel mondo, ma rifare il mondo”.

Questa è la strada da seguire” continua e conclude Cook “Dai cambiamenti climatici all’immigrazione, dalla riforma della giustizia alle opportunità economiche, trovare la motivazione nel proprio dovere di costruire un mondo migliore”.

Forse, come anche al discorso di Justin Trudeau agli studenti dell’Università di Ottawa, quello di Cook non entrerà nella storia dei commencement speeches, ma vale comunque la pena di essere ascoltato. Se non altro come scusa per farsi un regalo e magari poi ascoltare anche quelli che secondo il Time sono i migliori discorsi dedicati ai laureandi americani: quello di David Foster Wallace al Kenyon College e quello di Steve Jobs alla Stanford University, entrambi del 2005. Buone lacrime a tutti.