Sembra un sospiro. Un sospiro collettivo che una volta l’anno, nel corso di pochissime notti d’agosto, riempie l’acqua di quelle che sembrano polvere e bollicine e sono invece gameti del corallo atlantico Dendrogyra cylindrus. Un evento quasi mistico, che si è ripetuto per la prima volta in un laboratorio lo scorso 17 agosto, davanti agli occhi emozionati di Keri O’Neil.
O’Neil lavora al Florida Aquarium di Tampa, negli Stati Uniti, e dirige il team di ricercatori che per la prima volta al mondo ha indotto questo tipo di corallo dell’Atlantico (chiamato anche pillar coral – corallo pilastro) a deporre i suoi gameti in laboratorio. È la prima volta che questo è stato fatto per un corallo dell’Oceano Atlantico e porta nuova speranza per il futuro della Grande barriera corallina americana, la terza più grande al mondo, che si trova giusto al largo dello splendido arcipelago delle Florida Keys.
Il pillar coral è una specie in pericolo al momento, come spiega la stessa O’Neil a NPR News: “È sulla lista delle specie animali statunitensi in pericolo e corre il rischio concreto di estinguersi qui in Florida. Noi speriamo di impedire che questo avvenga”. A minacciare questo corallo (incluso anche nella lista delle specie minacciate dell’Iucn, l’Unione internazionale per la conservazione della natura) è in particolare una malattia chiamata Stony Coral Tissue Loss Disease di cui ancora non si conosce la causa scatenante. Questa malattia, che potrebbe tradursi in “malattia di perdita da tessuto del corallo pietroso” distrugge completamente i tessuti molli di questo tipo di coralli e che è stata scoperta nel 2014 proprio nelle Florida Keys.
Al momento il 75 per cento delle barriere coralline al mondo sono minacciate da una combinazione di fattori locali e globali: da temperature dell’oceano più che alte nei passati 400mila anni alla pesca intensiva e distruttiva dei fondali, la minaccia più seria tra quelle non legate al clima. Senza azioni mirate a proteggere le barriere e a ridurre gli effetti di questi fattori, entro il 2030 la percentuale di barriere minacciate salirà al 90 percento e sarà quasi il 100 per cento entro il 2050. Riuscire a conservare in laboratorio le diverse specie di coralli e a farli riprodurre è il primo passo per poter poi ripristinare le barriere danneggiate.
“Le nostre barriere coralline stanno affrontando diversi problemi in questo momento”, prosegue O’Neil. “Nessuno sarebbe mai tanto avventato da affermare che una sola soluzione possa salvare tutte le barriere coralline del mondo, ma sicuramente non possiamo salvarle senza salvare le specie che le costituiscono. Quindi essere in grado di impedire che alcune di queste rare e molto minacciate specie si estingua conservandole in laboratorio e riuscendo a farle riprodurre in un contesto controllato ci da un’opzione concreta per il futuro”.
Il lavoro del team di Keri è parte di un programma più ampio di conservazione del coralli, il “Project Coral”, condotto in partnernship con l’Horniman Museum and Gardens di Londra che da diversi anni è riuscito a ottenere lo stesso risultato (indurre la deposizione dei gameti) in ben 18 specie di coralli dell’Oceano Pacifico.
Sicuramente non possiamo salvarle senza salvare le specie che le costituiscono.
Come spiega O’Neil, perché i coralli depositino i loro gameti serve una combinazione di fattori ambientali molto delicata. Intanto cominciamo con il dire che i coralli sono organismi molto complicati. La riproduzione può essere asessuata o sessuata e alcune specie ermafrodite producono sia gameti femminili sia maschili (uova e sperma, appunto) e le rilasciano allo stesso tempo.
Riprodurre in laboratorio le delicate condizioni naturali che permettono di indurre la deposizione di questi gameti non è stato semplice. Sono stato costruiti quattro acquari da 350 galloni d’acqua e poi è stato progettato e realizzato un sofisticato sistema di luci artificiali. “Dipende, infatti, tutto da quando è il tramonto e da quando sorge la luna”, racconta la ricercatrice.
“Le nostre luci sono programmate per accendersi all’alba. Poi gradualmente diventano più luminose nel corso della giornata per poi diminuire di intensità progressivamente fino poi a spegnersi completamente al tramonto. Abbiamo poi una piccola luce al Led bianca dentro una pallina da ping-pong che simula la luna e questa si accende all’effettivo sorgere della luna. Quindi questa è la chiave, la giusta alternanza di luci, che sembra essere il segnale finale per indurre i coralli a rilasciare i loro gameti, all’incirca 20-30 minuti di distanza uno dall’altro”.
E in questo processo delicatissimo non c’è margine di errore: la conseguenza anche solo per un piccolissimo sbaglio è dover aspettare un altro intero anno prima di avere una nuova possibilità.
Ci vorrà molto tempo prima di poter riportare i nostri oceani a una condizione di ambienti sani che possono supportare barriere coralline in buono stato.
Attualmente Keri O’Neil e il suo team stanno lavorando su due specie in particolare, che sono entrambe minacciate dalla Stony Coral Tissue Loss Disease, il pillar coral e il maze brain coral (che prende il suo nome dalla forma che ricorda quella di un cervello). Dopo il successo ottenuto con D. cylindrus ora il team spera di ripetere il miracolo con quest’altra specie che ha il suo periodo di deposito delle uova in ottobre. Sarebbe un secondo successo fondamentale per il futuro della barriera corallina americana e caraibica.
“Ci vorrà molto tempo prima di poter riportare i nostri oceani a una condizione di ambienti sani che possono supportare barriere coralline in buono stato. Ma adesso abbiamo questa opzione e questo strumento che ci permette di conservare il corallo al sicuro in un acquario progettato ad hoc, farlo riprodurre per molti molti anni e poi ripristinare la barriera corallina quando questi animali saranno pronti”.