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Photo by Giovanni Barbato /

“Meglio morire scattando”: Ozbilici e la foto che gli è valsa il World Press Photo


In occasione dell’inaugurazione della mostra World Press Photo 2017 a Torino, Burhan Ozbilici vincitore del famoso premio racconta sé stesso, la sua carriera e la fotografia che gli è valsa il prestigioso riconoscimento. L’immagine ritrae Mevlüt Mert Altıntaş, assassino dell’ambasciatore russo in Turchia, Andrey Karlov, pochi istanti dopo l’omicidio, durante l’inaugurazione di una mostra d’arte ad Ankara.

Proprio dell’istantanea, che dice subito di non amare particolarmente, Ozbilici inizia il suo racconto: “Ero lì perché mi aveva invitato un amico. Non era assolutamente prevista la mia presenza a quell’evento. Si trattava di una mostra fotografica sulla Russia e ci sarebbe stato anche l’ambasciatore Andrej Karlov, una persona davvero rispettabile che avevo avuto la fortuna di conoscere in precedenza. Quando quest’ultimo ha iniziato a presentare la mostra io mi trovavo al lato della sala, distante dagli altri giornalisti“. All’improvviso però, prosegue il fotografo, tutto precipita: arrivano gli spari e le urla. “Non ci ho pensato due volte dovevo fare il mio lavoro da giornalista, dovevo documentare cosa stava accadendo”, racconta. “Avrei preferito morire scattando che sopravvivere senza aver ripreso la scena. Ho comunque cercato di mantenere una posizione di relativa sicurezza, mi sporgevo da dietro un muro molto vicino all’attentatore, le persone si erano buttate tutte a terra e dietro di me alcune piangevano e gridavano“.

Ammette, Ozbilici, che la foto può risultare disturbante ma allo stesso tempo sottolinea come questo sia, alle volte, un effetto necessario per scuotere le persone, per fargli capire che cosa sta succedendo nel mondo. “Ho pensato subito che quello fosse un grande evento, immediatamente ho creduto che a causa di quell’assassinio sarebbe potuta scoppiare una terza guerra mondiale. Ed io come giornalista dovevo rimanere e fare il mio lavoro. Ho soltanto fatto il mio lavoro.

Nonostante sia un famoso fotogiornalista, all’Associated Press dal 1989 (Staff dal 1996), Burhan Ozbilici ha un modo fare e di parlare modesto e contenuto. Dice di non amare la celebrità e mette in guardia dai rischi che si corrono inseguendo fama e notorietà: “ti allontanano dalla gente”. Ma un lato positivo esiste: “adesso le persone prestano più attenzione al mio lavoro“.

Colpisce come nel discorso del fotografo turco ricorrano spesso parole come “libertà” e “indipendenza”, due condizioni imprescindibili per esercitare al meglio la professione del giornalista. Purtroppo in molti paesi sia la prima che la seconda sono seriamente limitate, ricorda Obzilici, riportando alcune situazioni che lui stesso ha vissuto in prima persona: dai colleghi che improvvisamente si presentano al lavoro con orologi di lusso alle Mercedes che Saddam Hussain offriva ai reporter. “L’indipendenza è molto importante, noi giornalisti non dovremmo permettere mai che qualcuno ci corrompa. In molti paesi del Medio Oriente i politici fanno regali costosi per comprarti. Se tu li accetti perdi l’onore.”

Onore e rispetto sono valori importanti per il fotografo, così come giustizia e l’onestà: capisaldi dell’insegnamento del padre,figura imprescindibile nella sua vita oltre che eroe riconosciuto della Guerra di Indipendenza Turca: “Era rispettato non solo dalle persone, ma anche dai militari“, ricorda il reporter. “Lui è sempre stato per la giustizia e soprattutto per la libertà. Quest’ultima è la cosa più grande che mio padre mi ha trasmesso. Mi ha insegnato ad usare sempre al massimo delle possibilità il mio cervello e il mio cuore non badando ai miei personali interessi. Il tuo cuore deve essere pulito e onesto nei confronti dell’interesse pubblico.”

Guarda verso l’alto, il tono della voce si abbassa, si fa più intimo: “Ogni volta che devo affrontare delle difficoltà penso alle parole di mio padre e mi dico: no, non sono da solo. Lui è qui con me“. Non è solo il padre ad accompagnare, virtualmente, Ozbilici sul campo, ad aiutarlo spiritualmente a compiere il suo lavoro: “Per esempio, il giorno dell’assassinio ho sentito dietro di me tutti i bravi giornalisti, dal Cile alla Corea del Sud, di tutto il mondo. Se loro avessero potuto vedermi, avrebbero detto: tu devi rappresentare il buon giornalismo. Non scappare, fa’ il tuo lavoro, sta’ lì, non ti preoccupare, noi siamo con te. Ma c’erano anche molte altre persone: sicuramente Mustafa Kamal Ataturk, l’eroe dell’indipendenza turca e padre della Turchia moderna. Ho sentito davvero tutti, persino i miei gatti! Ho bisogno di immaginarmi tutto questo, mi aiuta. C’è sicuramente un po’ di romanticismo ma va bene, anzi, dobbiamo essere romantici“.

Proprio con un aneddoto sui suoi adoratissimi gatti, il reporter sceglie di congedarsi, come a voler sottolineare che, nonostante il premio e la fama, sa perfettamente quali sono le cose che contano nella vitaCome ogni anno ero stato invitato a festeggiare il 14 luglio presso l’ambasciata francese di Ankara. L’anno prima non ci ero andato e questa volta si erano premurati di chiamarmi per assicurarsi che non sarei mancato. Non è una cosa che ami particolarmente, ma sono quegli appuntamenti istituzionali a cui ogni tanto si è obbligati a partecipare. Pensa che c’è gente che pagherebbe per farsi invitare all’ambasciata. Insomma, era arrivato il momento di andare, ma ero sul terrazzo di casa mia, con due dei miei gatti sulle gambe. Stavano dormendo. Non potevo mica muovermi e svegliarli, ci mancherebbe! Così alla fine non sono andato alla festa“.

Qui il video dell’intervista di Ozbilici (terz’ultimo video).