Lo scorso 7 gennaio, durante la notte dei Golden Globe, è stato assegnato il Cecil B. DeMille Award, il premio alla carriera, a Oprah Winfrey, la prima donna afroamericana a riceverlo. Nel suo discorso, durato poco meno di dieci minuti, la Winfrey ha parlato dei neri e delle donne, di come alcune cose sono cambiate negli anni e di come tante altre devono ancora cambiare. Il risultato? Tre standing ovation in sala e la rete che la elegge candidata ideale per le elezioni presidenziali del 2020.
“Nel 1964, ero una ragazzina seduta sul pavimento in linoleum a casa di mia madre nel Milwaukee che guardava Anne Bancroft consegnare l’Oscar come miglior attore, durante la trentaseiesima edizione dell’Academy Awards. Aprì la busta e pronunciò sei parole che hanno letteralmente fatto la storia: ‘And the winner is Sidney Poitier’. Sul palco arrivò l’uomo più elegante che io avessi mai visto. Ricordo che aveva la camicia e il papillon bianchi, e ovviamente la sua pelle era nera. Non avevo mai visto un uomo nero celebrato in quel modo”, racconta nel ricevere il premio.
“Nel 1982, Sidney ha ricevuto il premio Cecil B. De Mille proprio qui ai Golden Globes e mi fa un certo effetto pensare che in questo momento ci siano delle ragazzine che stanno guardando la prima donna nera che riceve lo stesso premio. È un onore, un onore e un privilegio condividere questa serata con tutte loro e anche con gli uomini e le donne incredibili che mi hanno ispirata, stimolata, sostenuta e che hanno reso possibile il mio viaggio fino a questo premio”.
È alle donne che si rivolge Oprah in questa sua notte. In particolare a tutte quelle donne che negli ultimi mesi hanno rotto il muro del silenzio e hanno iniziato a denunciare gli abusi subiti, da Harvey Weinstein in poi. “È l’insaziabile dedizione verso la scoperta della verità assoluta che ci impedisce di chiudere un occhio davanti alla corruzione e all’ingiustizia. Davanti ai tiranni e alle loro vittime. Davanti ai segreti e alle bugie. Voglio dire che oggi apprezzo la stampa più che mai, mentre tentiamo di attraversare questi tempi complicati che mi hanno portata a una conclusione: dire ciò che pensiamo è lo strumento più potente che abbiamo. Ed io sono particolarmente orgogliosa e ispirata dalle donne che si sono sentite abbastanza forti e abbastanza emancipate da far sentire la propria voce e condividere le loro storie personali. Noi, ognuno di noi in questa stanza viene celebrato per le storie che racconta; quest’anno noi siamo diventate la storia”.
“Ma non si tratta di una storia che riguarda solo l’industria dell’intrattenimento”, ha ammonito Oprah. “Trascende ogni cultura, geografia, razza, religione, politica o lavoro. Quindi, questa sera io vorrei esprimere la mia gratitudine a tutte quelle donne che hanno sopportato anni di abusi e violenze perché, come mia madre, avevano bambini da mantenere e bollette da pagare e sogni da inseguire”.
C’è una storia che Oprah ha voluto ricordare sopra tutte le altre, quella di Recy Taylor, una giovane donna nera, moglie e madre, che nel 1944 fu stuprata, bendata e abbandonata sul ciglio della strada, all’uscita della messa, da sei uomini bianchi armati ad Abbeville, in Alabama. Le dissero che l’avrebbero uccisa se avesse raccontato il fatto a qualcuno. Recy Taylor, malgrado l’impegno di Rosa Parker, a cui era stata affidata l’indagine, non ottenne mai giustizia. Entrambe, però, sapevano che la loro verità avrebbe continuato a farsi strada, come oggi lo sanno le silence breakers: donne di cui non conosceremo mai il nome, che non lavorano a Hollywood, ma come cameriere, nelle fabbriche, nella ricerca, nello sport. Proprio l’Alabama, stato dove fu violentata Recy Taylor, è lo stesso stato in cui poche settimane fa il #metoo ha contribuito all’elezione del senatore democratico Doug Jones contro il trumpista Moore accusato di pedofilia.
“Recy Taylor è morta dieci giorni fa, alla soglia del suo novantottesimo compleanno. Lei ha vissuto, come tutte noi abbiamo vissuto, troppi anni in una cultura ferita da uomini potenti. Per troppo tempo le donne non sono state ascoltate o credute quando hanno osato raccontare la loro verità al potere di questi uomini. Ma il loro tempo è finito. Il loro tempo è finito! E io spero, spero che Recy Taylor sia morta nella consapevolezza che la sua verità, così come la verità di tante altre donne che in questi anni sono state tormentate, o che lo sono tuttora, sta venendo fuori. Doveva essere da qualche parte, nel cuore di Rosa Parks, quasi 11 anni dopo, quando ha preso la decisione di rimanere seduta in quell’autobus a Montgomery ed è qui con ogni donna che ha deciso di dire Me too. E in ogni uomo, in ogni uomo che ha deciso di ascoltare”.
Per troppo tempo le donne non sono state ascoltate o credute
Proprio mentre la sala iniziava a commuoversi, ha concluso: “Ho ritratto persone che hanno sopportato alcune delle cose più brutte che la vita possa gettarti addosso, ma l’unica qualità che ognuna di loro sembrava avere in comune con le altre era quella di mantenere la speranza in un mattino più luminoso, persino durante le nostre notti più buie. Quindi io voglio che tutte le ragazze che ora stanno guardando sappiano che c’è all’orizzonte un nuovo giorno! E quando questo nuovo giorno sarà finalmente sorto, sarà grazie a tante donne meravigliose, molte delle quali sono proprio qui, questa sera in questa stanza, e grazie ad alcuni uomini piuttosto fenomenali che stanno lottando duramente per essere certi che loro saranno i leader che ci condurranno fino al momento in cui nessuno dovrà dire di nuovo: Me too. Grazie!”
Così l’effetto noir della cerimonia di Beverly Hills, con tutte le attrici in abito nero in segno di lutto per lo scandalo Weinstein, è stato spazzato via da un discorso che lascia spazio alla speranza. Il nuovo slogan è Time’s up, il tempo è finito. È finito il tempo delle molestie e dei silenzi, che lascerà spazio a un nuovo giorno.
Il messaggio è arrivato chiaro e forte anche fuori dalla sala del Beverly Hilton Hotel di Beverly Hills. Nei giorni e settimane immediatamente successivi alla serata, infatti, hanno dominato sui social network i messaggi “Oprah for President” . Il suo discorso ha innescato una valanga di tweet con l’hashtag #Oprahforpresident e #Oprah2020. Già il comico Seth Meyers, conduttore della serata, aveva scherzato su una possibile candidatura della star nel monologo che ha dato il via alla cerimonia, ricordando di aver definito in passato Donald Trump non adatto per la presidenza: “Qualcuno mi ha detto che quelle prese in giro l’hanno convinto a scendere in campo. Quindi, se è vero, voglio solo dire: Oprah, non sarai mai presidente! Non hai quello che serve. Ora aspettiamo e vediamo”.