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La musica ci rende migliori


Perché la musica è capace di darci i brividi, farci ritrovare la motivazione, allenarci e farci sentire parte di un tutto più grande? Risponde Indre Viskontas, neuroscienziata cognitiva, docente di musica a San Francisco e cantante lirica, ai microfoni di PBS NewsHour, concentrandosi sul potere della musica e i suoi effetti sul nostro cervello e anticipando alcuni dei contenuti del suo libro “How Music Can Make You Better”.

La musica è universalmente amata, ma anche altamente soggettiva. Ci aiuta ad essere persone migliori, ad entrare in relazione con il nostro corpo, a recuperare le nostre funzioni cognitive e vitali dopo un incidente…

La musica non esiste finché non c’è un cervello in grado di percepirla come tale: è l’assunto da cui parte Indre Viskontas. Il suono può essere fastidio così come musica e in che modo il cervello traduca il suono in musica resta uno dei più grossi misteri per le neuroscienze. “Se dovessi riassumente cosa è il cervello in una frase, e dire in che cosa è davvero performante, direi che è davvero bravo a predire il futuro: noi siamo essenzialmente macchine in grado di riconoscere modelli”, spiega Viskontas.

Il cervello è alla ricerca di significati, di modelli riconoscibili in un mondo caotico. Ci siamo evoluti in questa direzione al punto che siamo felici quando troviamo questo tipo di connessioni. Ogni bravo musicista lo sa ed è consapevole che comporre per una performance di successo ha soprattutto a che fare con il costruire la tensione fino ad un punto in cui è possibile poi lasciarla andare.

Dato che il nostro cervello ama muoversi in una sorta di confort zone percettiva, ovvero gli piace sapere già come andrà a finire affidandosi ad un modello prevedibile, è facile capire perché amiamo la musica quando risponde ad un modello ben collaudato che ben conosciamo e che abbiamo già sentito da qualche parte. Ma amiamo anche la musica che gira intorno al momento di massima tensione senza mai permetterci di lasciarci andare ed amiamo la musica anche là dove ci sorprende, sovvertendo questa regola. “Pensiamo che la melodia stia andando in una direzione e questa prende poi una direzione diversa”, aggiunge Indre Viskontas. “Bohemian Rhapsody è un ottimo esempio in cui abbiamo un’aspettativa di un risultato che poi cambia. E cambia drasticamente”.

Quando arriviamo al culmine del pezzo, si crea una sorta di aspettativa di ricompensa, parte la dopamina rilasciata nel nucleus accumbens, quella la parte del cervello che è coinvolta nel farci gradire qualcosa e nell’elaborazione delle sensazioni di piacere, e che gioca un ruolo importante nei processi cognitivi dell’avversione, della motivazione, della ricompensa e nei molteplici meccanismi di rinforzo dell’azione. La dopamina inonda il cervello quando stiamo provando piacere nell’ascoltare musica. Ma la storia è più complessa di così.

Nel suo percorso combattuto, in bilico tra scienze e arte, tra neuroscienze e musica, Indre ha trovato il punto di equilibrio mentre si interrogava sul perché le avessero detto di essere tecnicamente ineccepibile, ma di mancare di musicalità. Per capire questo, per diventare una migliore cantante lirica, ha chiesto aiuto alla scienza. Epifania: ad essere importanti non sono le note che connotano il punto più alto, il climax (il momento in la dopamina inonda il nucleo accumbens), ma è fondamentale l’attenzione che viene posta nell’esecuzione (e nell’esercizio per arrivarci) della sequenza di note che porta esattamente in quel punto (quando la dopamina inonda il nucleo caudale, generando il desiderio per l’inondazione successiva).

L’intensità dei brividi che la musica è in grado di darti dipende da quanta dopamina c’è nel tuo nucleo accumbens”, spiega Indre in un’altra Tedx Talks di qualche anno prima. “Ma la quantità di brividi e la stessa probabilità di provarli dipende da quanta dopamina c’è nel caudale”.

Per trovare la musicalità è necessario impostare l’intenzione musicale pensando al tuo pubblico.

Fare musica è come costruire una macchina la cui funzione è suscitare emozioni tanto nell’ascoltatore quanto nel performer […]. L’artista è qualcuno che è addetto a costruire queste macchine”, a sostenerlo, tra gli altri, c’è David Byrne nel suo recente libro “Come funziona la musica”. La questione assume sfumature diverse, si fa più intellettuale: chi fa musica compone in funzione del luogo in cui la sua musica verrà ascoltata. David Byrne in un capitolo del suo libro, si cimenta in una sorta di “reverse engineering” della composizione musicale: smonta il risultato finale per capire come sia stato costruito. E, nella sua visione razionale della creatura musica, si procede al contrario: le musiche si adattano allo spazio prima che alla persona, ma lo fanno per arrivare meglio alla persona. Affascinante.

Come funziona per quei pezzi che letteralmente occupano il nostro cervello? Ci sono canzoni che – al di là del piacere che riusciamo a riconoscere loro sul piano intellettuale o del nostro livello di volontarietà nell’ascoltarle e farle diventare parte di noi – restano bloccate nella nostra testa. “Il termine tecnico scientifico è ‘sindrome della canzone bloccata’ o ‘immaginario musicale involontario’”, precisa la Viskontas. In gergo infatti si chiamano earworms, vermi delle orecchie, proprio per la loro capacità di restare incastrate nella nostra testa. In molti casi si tratta di parti di canzoni e melodie davvero orecchiabili: né troppo semplici, né troppo complesse; amabilmente destinate ad occupare il nostro orecchio e a farsi strada come un tarlo nella nostra mente. Peccato che spesso non abbiano nulla davvero di così importante da dire, tant’è che non ci ricordiamo in modo chiaro neppure il loro finale.

Non mancano studi in letteratura che si sono occupati di questo argomento. Da come nasce un earworm a come è fatto da vicino. È interessante vedere, dati alla mano, come alcune caratteristiche musicali – acustica, melodica, armonica e caratteristiche liriche di una melodia -, combinate con altri elementi – storie di ascolto, associazioni personali con la musica e stati endogeni (ad esempio, umore) -, possano essere utilizzate per prevedere la probabilità che la canzone diventerà un immagine musicale involontaria. Un tormentone, insomma.

Meglio non opporre resistenza per liberarsene: sono canzoni che vanno cantate a squarciagola (se non altro nella vostra testa) sotto la doccia, inventandosi anche strofe e finale al bisogno, pur di lasciarle andare, di farle uscire dal nostro orecchio.

Ma veniamo alle cose serie, la musica può cambiare le sorti di una giornata e motivarci davvero. Dettare il tempo giusto. Come accade tutto ciò? “Sia i musicisti che i ricercatori che si occupano di musica sanno che non vediamo il ritmo, sentiamo il ritmo”, continua Viskontas. “Le parti del nostro cervello che sono impegnate nell’elaborazione del ‘beat’ sono le stesse parti del nostro cervello che sono impegnate nella pianificazione delle azioni motorie”. Va da sé che sentiamo il ritmo attraverso i nostri corpi.

La musica ha il vero e proprio potere di cambiare la nostra mente.

In effetti sono tantissimi i ritmi biologici che popolano i nostri corpi e che agiscono secondo tempo diversi. Ci sono le nostre onde cerebrali, le frequenze cardiache, il battito del polso, il ritmo del respiro: siamo fatti per sincronizzarci con il ritmo, che in realtà in qualche modo innesca le parti del nostro cervello che sono coinvolte nel movimento. Eppure gli effetti di questo sincronizzarci non sono sempre sommativi, spesso lavorano in contrappunto, disinnescandoci o innescandoci. “Ascoltare una musica calma quando sei ansioso può anche abbassare la frequenza cardiaca, rendere la respirazione più profonda, perché all’improvviso il tuo cervello sta cercando di sincronizzarsi con la musica e se la musica ha un ritmo più lento, allora questo rallenta questi altri parti autonome del sistema nervoso”, precisa la musicista.

La musica può essere molto rilassante o molto stimolante, studiandone gli effetti è affascinante riuscire a vedere i livelli dell’ormone cortisolo che diminuiscono – a dirci che una persona è meno agitata – quando si ascolta musica.

Per David Byrne “la musica ha il vero e proprio potere di cambiare la nostra mente”. La musica ha il privilegio di unificare persone, anche quando sono indecise sulla posizione da prendere. “Mette insieme persone che sentono in una certa direzione, ma non sono in grado di prendere una posizione netta: la musica fornisce un supporto articolato, un contesto condiviso”.

La musica aiuta a fare gruppo, a creare una mente viva. Mi sento di dire: una delle poche manifestazioni del sacro che riesco a concepire.