Oggi come non mai, le recenti conquiste in ambito spaziale e tecnologico ci spingono a interrogarci su quale sia il senso dell’esplorazione umana dello Spazio. In particolare si fa sempre più vivo il dibattito riguardante le possibili missioni con equipaggio alla volta di Marte e la possibilità di creare un insediamento umano sulla superficie del Pianeta Rosso. Ne saremo in grado? Fra quanto tempo? Ma ha davvero senso?
L’astrofisico nonché presidente della Royal Society britannica Sir Martin Rees ha cercato di rispondere a questi quesiti sul Guardian, offrendo uno scorcio sui possibili scenari futuri non solo dell’esplorazione spaziale ma anche dell’evoluzione umana.
“In questo secolo, nell’arco della vita di molti di noi, vivremo una drammatica esplosione della nostra capacità di esplorare lo Spazio, la quale probabilmente trasformerà anche il modo in cui intendiamo l’umanità”, ha spiegato Rees.
Già oggi, grazie al progresso tecnologico, possiamo inviare sonde a distanze diecimila volte superiori a quella fra la Terra e la Luna. Come la sonda New Horizon, lanciata nel 2006 per arrivare nell’orbita di Plutone nel 2015, o il rover Opportunity che per più di 15 anni ha inviato dati e immagini dalla superficie marziana (la missione si è conclusa ufficialmente il 13 febbraio scorso) o ancora, la sonda Cassini e il relativo lander Huygens inviati nel 1997 alla volta dell’orbita di Saturno, raggiunta nel 2004, dalla quale ha continuato a trasmettere fino al 2017.
Vivremo una drammatica esplosione della nostra capacità di esplorare lo Spazio.
“Riflettete soltanto a quanto gli smartphone siano progrediti negli ultimi 20 anni e quanto si possa fare ancora meglio oggi e nei prossimi decenni”, ha proseguito l’astrofisico britannico facendo un paragone molto azzeccato. Sono infatti già state create e lanciate numerose sonde miniaturizzate con costi notevolmente ridotti e si prevede che in futuro proprio queste mini tecnologie saranno in grado di esplorare l’intero Sistema Solare e “giganteschi robot-costruttori assembleranno strutture ultra leggere nello spazio magari utilizzando proprio i materiali grezzi estratti dalla luna o dagli asteroidi”.
Per quanto immagini di questo genere possano richiamare alla nostra mente le trame di molti film fantascientifici, Rees dà tutto questo quasi per scontato ma si distanzia da tutte quelle voci che vedono nella colonizzazione spaziale una valida via di fuga dell’umanità da sé stessa. Stephen Hawking per esempio, nel suo ultimo libro Le mie risposte alle grandi domande, sosteneva che gli esseri umani devono colonizzare lo Spazio perché “non lasciare il pianeta Terra sarebbe come fare i naufraghi che non cercano di fuggire da un’isola deserta”. E sullo stesso piano si pone anche l’eccentrico e visionario fondatore di Tesla e Space X Elon Musk che un paio di anni fa ha dichiarato che l’obiettivo della sua vita è creare una prospera colonia su Marte come misura di sicurezza per l’umanità in caso di eventi catastrofici sulla Terra.
Secondo il presidente della Royal Society invece “(…) Lo spazio non è un posto per persone normali, ecco perché disapprovo fortemente il fatto che ci dovrebbe essere un’immigrazione di massa dalla Terra per salvarci dai problemi della Terra stessa. Dobbiamo risolvere i nostri problemi qui”. Sir Martin sostiene che, con le nuove tecnologie a nostra disposizione e mettendo anche in conto quelle che verranno, “avere a che fare con il cambiamento climatico è molto semplice rispetto a rendere abitabile Marte. È una pericolosa delusione pensare che noi possiamo scappare dai problemi della Terra andando su Marte”.
Ma in tutto questo l’astrofisico britannico non relega una posizione di secondo piano all’esplorazione spaziale, anzi si augura che l’uomo “segua i robot [nello spazio, ndr] ma non per fini pratici bensì semplicemente come un’avventura”.
Ed è proprio da questo proposito che si potrebbero aprire nuovi e inediti scenari per il futuro dell’umanità. In primo luogo, sostiene Rees, gli sforzi delle compagnie private per raggiungere lo spazio sono da incoraggiare perché possono tollerare un rischio maggiore che un governo occidentale. Inoltre, sottolinea l’astrofisico, a “conquistare” lo spazio non saranno uomini normali bensì coraggiosi avventurieri amanti del rischio, come per esempio Felix Baumgartner, l’uomo che ha superato la barriera del suono gettandosi da un pallone aerostatitco ad alta altitudine.
Non sarebbero persone normali, sarebbero pazzi avventurieri pronti ad accettare alti rischi…
Probabilmente verso la fine di questo secolo, prosegue Rees, persone di questo genere “potrebbero stabilire tranquillamente delle basi indipendenti dalla terra. Potrebbe esserci una comunità di uomini così che abita su Marte. Non sarebbero persone normali, sarebbero pazzi avventurieri pronti ad accettare alti rischi e vivere in un ambiente decisamente più ostile che la vetta dell’Everest o il Polo Sud”.
Lo scenario suggeritoci da Rees prevedrebbe quindi una tecnologia avanzata al punto tale da permettere a folli avventurieri amanti del rischio e in grado di sostenere condizioni particolarmente ostili di stabilire piccoli insediamenti indipendenti sulla superficie di Marte.
Ed è esattamente in questo punto che secondo l’astrofisico si potrebbe arrivare a una svolta determinante nella storia del genere umano. Se si mettono assieme tutte le variabili in gioco avremmo un ambiente inospitale e decisamente duro da sopportare che incentiverebbe i pionieri dello spazio, molto di più che noi sulla Terra, a ridisegnare se stessi: “Si impadronirrano della potente tecnologia genetica e cyborg che sarà sviluppata nei prossimi decenni. Queste tecniche saranno altamente regolate sulla terra ma i Marziani saranno ben oltre le grinfie dei regolatori. Saranno quindi questi astronauti, non noi comodamente adattati alla vita sulla terra, a guidare l’era post umana, evolvendo entro alcuni secoli in una nuova specie”.
Ancora una volta tutto questo può sembrare pura fantascienza, tuttavia Rees invita a fare un ulteriore riflessione su come probabilmente i cambiamenti non avverranno più seguendo il corso “naturale” delle cose. Ci sono voluti quattro miliardi di anni secondo la teoria darwiniana della selezione naturale per arrivare da un semplice protozoo all’essere umano, ma in un futuro non così lontano l’evoluzione avverrà non più su questa scala ma piuttosto sui tempi dell’evoluzione tecnologica, quindi decisamente più veloce.
“Tutto questo è completamente sconvolgente ma le menti del futuro saranno in grado di far fronte a cose che sono ben al di là della nostra comprensione”.