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Internet sta davvero distruggendo tutto?


C’è una lunga storia dietro al nostro affidarci alla tecnologia: già Leibnitz nel XVII secolo sosteneva che delle macchine, ancora non progettate, sarebbero state capaci di ragionare per conto nostro in modo imparziale, superando i limiti dell’intelligenza umana da sempre condizionata. Addirittura, in questo modo si sarebbe potuta risolvere la pace nel mondo. Ecco, noi abbiamo ereditato quest’idea, ma oggi è messa in discussione”.

Ad affermarlo è Justin Smith, professore di filosofia e direttore del Dipartimento di Storia e Filosofia della Scienza all’Università di Parigi 7 – Denis Diderot. L’occasione è una lezione organizzata da Grande come una città, un gruppo creato da alcuni cittadini romani per promuovere iniziative, incontri ed eventi nell’ambito di una chiamata alle arti permanente.

Secondo Smith, il vecchio mondo sta crollando: le istituzioni precedenti l’epoca di Internet si sforzano di far sentire la propria presenza sui social media, i politici di ogni schieramento prendono o perdono consensi grazie all’attività online, e perfino il Papa si è messo a twittare. Allo stesso tempo, però, per come è stato progettato, il mondo online opprime e sfigura tutti i cittadini, costretti a pensare alle proprie vite e a presentare sé stessi nello spazio pubblico, che oggi s’identifica con Internet.

Questo processo può essere visto come una sorta di rivoluzione industriale nella produzione di categorie di esseri umani, di nuovi generi sociali. Le etichette per i generi di persone stanno proliferando come la plastica e si ritorcono sulle persone che le hanno coniate, portandole in molti casi a credere che le loro essenze siano catturate adeguatamente da termini che cinque anni fa non esistevano affatto”.

La categorizzazione delle specie, sottolinea Smith, comincia in filosofia già con Aristotele ed è poi diventata fondamentale in tutta la tradizione occidentale, permettendo di individuare un oggetto indipendentemente dalla nostra percezione sociale o dalla lingua. Diversi sono stati i tentativi di tenere viva questa classificazione: dai generi naturali di John Stuart Mill a Carlo Linneo, fino a Michel Focault, che per primo ha affrontato la questione della classificazione sessuale. Foucault, spiega il filosofo, sosteneva che nella cultura europea fino al XIX secolo non esistessero gli omosessuali, ma soltanto comportamenti successivamente definiti omosessuali. Poi, nel momento in cui è stata coniata, questa categoria è diventata un qualcosa di simile a una specie, in analogia con le specie biologiche.

Adesso inizieremo a occuparci di classificazioni sempre più frivole, preparatevi”, ha scherzato Smith iniziando a parlare di oroscopo. “Si dice che qualcuno è un capricorno o un leone, ma oggi si tende a dargli meno peso rispetto che alla classificazione di lesbica”. Da un punto di vista storico, tuttavia, le cose sarebbero potute andare diversamente. Nel Duecento, infatti, l’oroscopo era una pratica scientifica che apparteneva a un programma di ricerca pienamente accettato e ancora nel 1620 Galileo Galilei per arrotondare faceva l’oroscopo. Oggi nella nostra cultura ha perso di importanza scientifica, ma nel 2018 una sociologa statunitense ha pubblicato un articolo chiamato “oroscopi algoritmici”, sostenendo che presto un’intelligenza artificiale sarà in grado di fare delle predizioni di oroscopo molto più esatte e in maniera molto più rapida di quelle che potrebbero fare oggi delle persone in carne e ossa.

Oggi, invece, come funziona la produzione di generi sociali? Secondo Smith, se non forse nella produzione, i mezzi di comunicazione influiscono sicuramente molto nella diffusione di questi generi. “Il ruolo degli algoritmi è fondamentale per comprendere il processo di classificazione delle persone nel mondo contemporaneo, perché sono una potenza nel plasmare l’identità sociale. Pensiamo alla radicalizzazione politica: se si vede un video di ispirazione jihadista, subito dopo il computer ne mostra un altro e così via, influenzandoci. E questo può valere per i nostri gusti musicali, ma anche per la costruzione della nostra identità come soggetti”.

Ci ha reso ciò che siamo, e Internet sta già facendo di noi ciò che saremo.

Dunque, secondo il filosofo, per comprendere quello che sta succedendo oggi si deve riconsiderare l’analogismo rinascimentale di Philippe Descola: una modalità di classificazione delle specie basata su segni visibili o invisibili che collegano le cose che per natura sono differenti tra di loro. Questo modello si contrappone al naturalismo del mondo in cui viviamo, che influisce sul nostro modo di intendere i generi sociali. “Forse, però, attraverso le nuove tecnologie e il modo in cui le persone si autodefiniscono sui social, è in atto un movimento di teorizzazione attiva dei generi che assomiglia più alla modalità analogica, che prescinde dalle classificazioni naturali, piuttosto che alla modalità naturale che per secoli ha caratterizzato la nostra società”, conclude Smith.

Internet, insomma, starebbe davvero distruggendo tutto. Il paragone più adatto da fare è quello con il fuoco: quando i nostri antenati impararono a usarlo almeno 400mila anni fa, la serie di cambiamenti che iniziarono fu immensa. Portava cibo e riscaldamento, ma allo stesso tempo provocava innumerevoli morti e distruzione ambientale.

Ci ha reso ciò che siamo”, scrive Smith,“e Internet sta già facendo di noi ciò che saremo. Si tratta di una trasformazione improvvisa che si è verificata –  senza che sia stata presa alcuna decisione collettiva al riguardo – in un’epoca in cui eravamo arrivati ​​a credere che le grandi trasformazioni richiedevano (e meritavano) una deliberazione collettiva razionale, seguita da un voto, seguito dalla supervisione dei cittadini. Il fatto che non ci sia mai stata alcuna domanda su tale procedura per determinare il modo in cui Internet deve essere incorporato nelle nostre vite, è di per sé una chiara indicazione di quanto sia più potente della democrazia liberale”.