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Non sono uomo o donna, sono intersex


Emily Quinn, si definisce “un’attivista intersessuale con le palle” dato che, a dispetto del suo aspetto, le “palle” ce le ha per davvero. Essere intersessuale, o intersex, significa proprio questo. Vuol dire avere caratteri sessuali  a livello genetico, cromosomico, anatomico, ormonale che non possono essere incasellati nelle definizioni tipiche di maschio o femmina. Le modalità con cui queste variazioni fisiche si manifestano sono moltissime e non si tratta di una condizione eccezionale, come riporta il sito “Intersex Esiste” finanziato dallo Intersex Human Rights Fund: è tanto frequente quanto il carattere rosso dei capelli.

Ho una vagina, ma ho anche le palle. Non sono uomo o donna, sono intersessuale”, esordisce Emily nel suo TED Talk. “La maniera in cui pensiamo il sesso biologico è sbagliata”, prosegue. “Mettiamo le persone in scatole. Prima ancora che le persone nascano chiediamo se sia un maschio o una femmina, come se davvero importasse. Come se quello che uno ha in mezzo alle gambe possa dire qualcosa su quella persona, se è gentile, generosa, intelligente, divertente

Tutta la campagna di Emily, che gira il mondo per raccontare cosa significhi essere intersex e combattere lo stigma, è contro questo continuo tentativo sociale di ingabbiare le persone, di volerle collocare forzatamente in delle ‘scatole preconfezionate’, soprattutto per quanto riguarda il genere.

La maniera in cui pensiamo il sesso biologico è sbagliata.

I genitali non ci dicono nulla (…) sono solo un punto di partenza per definirci, in questa società in cui amiamo mettere le persone in delle scatole, ci danno un senso di appartenenza e ci dicono come dobbiamo comportarci gli uni con gli altri”. A suo supporto Emily non ha solo il suo grande senso di disagio sociale, ma anche teorie scientificamente comprovate che convengono sul fatto che “il sesso biologico non è bianco o nero, ma è uno spettro”.

Oltre ai nostri genitali ci sono anche i nostri cromosomi, le nostre gonadi (come ovaie e testicoli), ci sono gli organi sessuali interni, la produzione ormonale, la tua risposta ormonale e poi ci sono le caratteristiche sessuali secondarie. Queste sette aree di sesso biologico hanno tutte un gran numero di varianti. Mentre noi abbiamo solo due opzioni: maschio e femmina”.

L’invito di Emily è proprio quello di guardare al sesso biologico nella sua complessità. “Se nell’essere umano ci sono infine maniere in cui un corpo può apparire, infiniti modi in cui una testa può pensare, infine personalità attraverso cui ci si può esprimere, allora perché non dovrebbero esserci, anche biologicamente, tante varietà sessuali?

Certo si potrebbe pensare che si tratti di una rarità, ma l’attivista americana stronca l’obiezione sul nascere. “E se pensate che io sia un’eccezione, vi dico che le persone intersessuali rappresentano all’incirca il 2 per cento della popolazione”, sottolinea. “È la stessa percentuale delle persone che geneticamente hanno i capelli rossi. Si parla all’incirca di 150 milioni di persone, più dell’intera popolazione della Russia”.

Molte persone tuttavia, proprio a causa dell’altissima variabilità di forme con cui i carattteri sessuali interni o esterni possono presentarsi, non sanno di essere intersessuali. “Avete mai fatto verificare i vostri cariotipi, per individuare i vostri cromosomi? Oppure fatto un’analisi del sangue completa per verificare tutti i vostri livelli ormonali?

I rapporti tra medici e persone intersessuali, afferma Emily, possono essere talvolta complicati e spesso l’obiettivo del medico è quello di ricollocare il bambino in una sfera sessuale maschile o femminile, attraverso delle operazioni chirurgiche. “È raro incontrare una persona intersessuale che non si sia operata”, racconta (ecco un video con alcune testimonianze di alcuni giovanissimi che hanno subito interventi chirurgici).

Queste operazioni sono fatte per migliorare la vita dei bambini intersex, ma spesso invece finiscono per sortire l’effetto contrario, creando più danni e complicazioni, sia fisiche che emotive”. Parole che denunciano una grande mancanza di informazioni riguardo i trattamenti a cui vengono sottoposte le persone che presentano questa condizione.

Emily racconta che nell’arco della sua vita ha ascoltato le tesi più disparate: prima hanno pensato a possibili tumori, poi le hanno proposto di rimuovere le gonadi e poi anche la vagina, dicendole che questo avrebbe potuto turbare la sua futura vita sessuale. “Non voglio dire che i dottori sono cattivi, è solo che viviamo in una società che porta i dottori a ‘riparare’ quelli tra noi che non rientrano nella loro definizione di ‘normale’”.

Quello che invece Emily vorrebbe è che le persone, compresi i medici, capissero che: “Noi non siamo problemi che hanno bisogno di essere risolti”.

In Italia, invece, molto spesso l’intersessualità è trattata –  anche linguisticamente  – al pari di una malattia. Prendiamo, per esempio, la pagina Wikipedia in lingua italiana, lo strumento online che con maggiore probabilità verrebbe consultato, non avendo un testo scientifico a portata di mano, da chi volesse saperne di più, in poco tempo, su cosa voglia dire essere intersex.

Su questa pagina, per definire questa condizione, vengono citate primariamente una serie di sindromi incrociate e il binomio maschio-femmina non viene assolutamente posto come un qualcosa di “supposto”, di ancora in discussione, su cui la società si sta realmente interrogando. La pagina, poi prosegue con quella che è a tutti gli effetti una descrizione clinica: ricorrendo a termini medici generali come “tipologie e incidenti”, “stati intersessuali”, “disturbi” , “trattamenti”.

Discorso diverso sulla pagina Wikipedia in inglese, dove l’intersessualità è definita come quell’insieme di “individui nati con una qualsiasi di diverse possibili variazioni nei caratteri sessuali  – inclusi i cromosomi, le gonadi, gli ormoni sessuali o i genitali – che, secondo l’Alto commissariato dei diritti umani delle Nazioni Unite, ‘non rientra nelle definizioni stereotipate di corpo maschile o femminile’”. La pagina poi prosegue con delle sezioni che affrontano questioni come “Storia”- “ Diritti umani e questioni legali”- “linguaggio”, etc. Niente che rimandi a un linguaggio medico, o che porti alla mente l’idea di una “malattia”.

Noi non siamo problemi che hanno bisogno di essere risolti.

È il salto culturale dai contenuti della pagina Wikipedia italiana a quella inglese ciò per cui Emily sta lottando. Per lei, come per molti movimenti in Italia che combattono la stessa battaglia, essere intersessuale è un problema sociale e non biologico. “Ho scoperto di essere intersessuale a 10 anni, e per un certo periodo non avevo problemi con questa informazione, non mi ha sconcertata.  È stato solo crescendo, quando ho capito che non rientravo nelle aspettative che la società aveva su di me, che quindi non vi appartenevo, che ero anormale. E lì è iniziata la vergogna”.

Quanti bambini hanno sofferto come lei? “Quante volte abbiamo visto i bambini giocare con ‘giocattoli sbagliati’? Perché i bambini non hanno il concetto di norma di genere, non provano vergogna rispetto a chi loro dovrebbero essere, cosa devrebbe piacergli o chi dovrebbero amare. Non provano vergogna finché noi non gliela mettiamo addosso”.

Se volete saperne di più su cosa vuol dire essere interesessuale e convivere con lo stigma che accompagna l’interesessualità, guardate Intersexion, pluripremiato documentario che racconta diverse storie e battaglie di persone intersessuali. Eccovi il trailer: