×
Photo by NASA / CC BY-SA

Viaggio all’indietro nel ghiaccio, alla scoperta del clima passato


Se alziamo gli occhi al cielo e ci mettiamo a osservare le stelle, sappiamo di stare in realtà guardando una luce che arriva dal passato dell’Universo. Lo sappiamo che il cielo è una straordinaria macchina del tempo. Molti ignorano, tuttavia, che ce ne è un’altra: il ghiaccio della Groenlandia e dell’Antartide. Anche questi ghiacci perenni (oggi forse non più) conservano una memoria del passato: una fotografia del clima del pianeta 100, 200, 800 mila anni fa. Anche milioni. 

I ghiacciai intorno ai poli, infatti, si sono formati nel corso di migliaia di anni grazie all’accumulo di nevi: anno dopo l’altro il peso della nuova neve comprime quella del passato formando strati altri chilometri al cui interno vengono conservate bolle d’aria, particelle, polveri. Per studiare i cambiamenti climatici globali delle ultime centinaia di anni, da circa mezzo secolo ricercatori di diverse parti del mondo perforano in grande profondità le calotte polari ed estraggono delle cosiddette carote  di ghiaccio. 

Le carote di ghiaccio sono la memoria migliore che abbiamo dell’atmosfera del passato. Catturano delle bolle d’aria, e noi possiamo estrarre l’aria da queste per studiare la composizione atmosferica di allora”, racconta alla Bbc Lindsay Powers, Direttore tecnico della NSF Ice Core Facility, di Lakewood in Colorado. “In questo modo possiamo adoperare queste carote di ghiaccio per ricostruire cosa accadeva al clima del passato”.

Una delle informazioni che possiamo ricavare più facilmente dallo studio delle carote del ghiaccio, come spiega Allegra LeGrande del Goddard Institute for Space Studies (GISS) della NASA, è quella della temperatura dell’aria nel momento in cui quello strato di neve si è formato.

Nelle bolle d’aria invece, restano intrappolati i gas serra, come l’anidride carbonica e il metano e questo permette di calcolare i livelli di questi elementi nell’atmosfera passata. Infine tutte le particelle incastrate nel ghiaccio come polvere, cenere, polline, tracce di elementi e sali marini permettono di ricostruire altri scenari, come eventuali eruzioni vulcaniche o i movimenti delle grandi correnti d’aria.

Le carote di ghiaccio sono la memoria migliore che abbiamo dell’atmosfera del passato.

Come spiega Powers, lo studio scientifico delle carote di ghiaccio è cominciato durante gli anni della Guerra Fredda: negli Anni 50, gli Stati Uniti avviarono un programma segreto per realizzare una rete sotterranea di stazioni di lancio nucleare in Groenlandia. Per studiare come scavare efficacemente nei ghiacciai, il governo statunitense ha  creato un centro di ricerca, chiamato Camp Century, che ha sviluppato alcune delle prime tecniche di carotaggio del ghiaccio. Col tempo e con la fine della Guerra Fredda, Camp Century è stato abbandonato, tuttavia ha lasciato dietro di sé un’importante eredità di quello che noi oggi sappiamo sulle carote di ghiaccio, raccolta poi dall’Ice Core Facility.

Il più antico esemplare della collezione conservata a Lakewood risale a 400mila anni fa, ed è stato estratto in Antartide a una profondità di 3500 metri. Tuttavia non è il più antico mai recuperato. Nel 2004 è stata estratta una carota con ghiaccio risalente a 800mila anni fa in una località, sempre in Antartide, chiamata Dome C. Le prime analisi realizzate su questo campione hanno permesso di sapere che i livelli attuali di anidride carbonica che si aggirano intorno a 400 parti per milione (ppm) sono i più alti – di almeno 100 ppm – di qualsiasi altro momento nei passati 800mila anni. Più recentemente poi, nel 2017, è stata recuperata da un gruppo di ricercatori guidati della Princeton University una carota di ghiaccio risalente a quasi 2,7 milioni di anni fa. Proviene dalle Allan Hills nell’est Antartide dove è stato individuato un bacino di quello che viene chiamato “ghiaccio blu”, questo è il ghiaccio più antico.

La scoperta ha destato grande entusiasmo. Non solo per il record raggiunto, ma anche perché lo studio di questo campione potrebbe, per esempio, portarci a definire quale fosse il clima di un periodo chiave del nostro pianeta, quello in cui, circa un milione di anni fa, le ere glaciali sono passate da un ritmo di una ogni 41mila anni a una ogni 100mila anni circa. Uno dei valori che sarebbe interessante esaminare è quello dei livelli di anidride carbonica per esempio nell’atmosfera al tempo, per capire  che ruolo ha giocato questo gas serra, se ne ha giocato uno, in questo cambiamento.

Oltre a studiare il passato, poi, alcuni scienziati usano i dati sulla temperatura ottenibili dal ghiaccio per validare modelli di previsione del clima del futuro. Un modello climatico è un laboratorio dentro un computer: è un software in cui gli scienziati inseriscono tutti i dati disponibili su atmosfera, oceani, ghiaccio, fenomeni naturali e poi aggiungono diversi valori per ciascuna variabile che può alterare il sistema climatico in diversi punti di una scala temporale. Le carote di ghiaccio sono una parte essenziale per creare e valutare queste simulazioni.

Raccoglierne di più e ricostruire uno scenario il più dettagliato possibile del clima di centinaia di migliaia di anni fa, possibilmente avendo una serie di  campioni che permettano di costruire una linea temporale continua e non solo dare fotografie spot di specifici momenti del passato, è l’obiettivo di diversi gruppi di ricerca.

Come quello del progetto europeo Beyond EPICA – Oldest Ice coordinato da Carlo Barbante dell’Università Ca’ Foscari di Venezia (l’Italia vi partecipa anche con il programma Pnra, Programma Nazionale di Ricerche in Antartide). Partito lo scorso anno, ha come obiettivo quello di estrarre in un’area in Antartide chiamata Little Dome C (a 40 chilometri da Dome C) campioni di ghiaccio da una profondità di circa 2730 metri che possano dare informazioni sul clima fino a 1,5 milioni di anni fa. Al momento sono in corso i lavoro di preparazione del campo base a che ospiterà ricercatori provenienti da 10 paesi diversi che vi si alterneranno per i prossimi sei anni.

Guarda qui il racconto di Lindsay Power e degli ricercatori dell’Ice Core Facility di Lakewood.