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Photo by HBO /

Euphoria: il teen drama shock che ti racconta i tuoi figli


Un teen drama destinato a lasciare il segno, questo è Euphoria, la serie creata e diretta dal trentaquattrenne Sam Levinson (Another Happy Day, 2011; Assassination Nation, 2018). Uscita su HBO lo scorso 26 giugno e arrivata su Sky Atlantic il 26 settembre, la serie mostra la realtà giovanile con un’efficacia e una crudezza, riempiendo quel vuoto tra finzione e realtà che show dello stesso genere, come “Tredici” (13 reasons why, in originale) oppure “Riverdale”, non erano riusciti a colmare

Protagonista della storia è Rue (interpretata dall’attrice e cantante Zendaya Maree Stoermer Coleman), una ragazza di diciassette anni che durante l’infanzia ha sviluppato una lenta e duratura dipendenza da droghe che sono legali per definizione, gli antidolorifici. Non dunque le classiche droghe da sballo. Quelle ci sono, esistono, alcuni protagonisti ne fanno uso altri no, ma non hanno quel ruolo fondamentale che ci aspetteremmo e di cui tanto si parla.

Questo perché anche nella realtà i giovani sembrano consumare meno droghe che in passato. Secondo un rapporto dell’Institute for Social Research della University of Michigan, i giovani che fanno uso di sostanze stupefacenti sono diminuiti parecchio dagli anni Novanta ad oggi. Di oltre il 30 per cento. Ed Euphoria è uno show che fa molta attenzione a raccontare (più nella sostanza che nella rappresentazione visiva) la realtà dei giovani così com’è, non come la si immagina da fuori. Attraverso gli occhi e i pensieri della protagonista lo spettatore si inoltra nelle vite dei vari personaggi e affronta insieme a loro le problematiche giovanili legate al mondo di oggi.

Affronta, non guarda, come sottolinea Naomi Gordon in un articolo su Cosmopolitan. È questo che rende diverso Euphoria dagli altri show del genere. Facciamo un esempio.

In “Tredici” uno dei personaggi più bullizzati dello show, Tyler, viene assalito sessualmente negli spogliatoi della palestra dai propri compagni. Per rabbia e vendetta il ragazzo si presenta alla festa della scuola armato di un fucile automatico per sparare a quanta più gente possibile. Viene dissuaso dalla gentilezza e comprensione mostrata da pochi compagni. Nessuna autorità viene avvertita, nessun professore, genitore. Ed è qui che lo show manca di profondità e realismo. Un argomento tanto delicato come le sparatorie nelle scuole americane viene trattato come chiacchiera da dopo scuola. Come se fosse una questione che i ragazzi possono tranquillamente risolvere tra di loro. Questo è un messaggio che potrebbe venire frainteso da molti spettatori portandoli a sminuire la gravità di eventi di questo genere.

In Euphoria invece la realtà non viene né edulcorata né filtrata. Il personaggio di Kat (interpretato da Barbie Ferreira), per esempio, affronta problematiche come quella del body shaming, della pornografia minorile e della violazione della privacy.

Ultima tra le sue amiche, la ragazza perde la verginità durante una festa nel primo episodio. Qui, a sua insaputa, viene filmata e il video fa il giro della scuola per poi finire su un sito pornografico. Kat, controlla nella disperazione e nella vergogna i commenti sotto al suo video e scopre che il web è pieno zeppo di uomini che la apprezzano per le sue curve, la ammirano e la desiderano. Decide così di provare a fare l’intrattenitrice pornografica attraverso le live cam. La ragazza vergine e grassottella si trasforma in una dominatrice. Di questa trasformazione però, lo spettatore non è un semplice testimone, ma partecipe insieme alla sua protagonista. Questo impedisce a chi guarda la serie non solo di giudicare la ragazza, ma anche di compatirla: non viene dato un valore morale a questo cambiamento, avviene e basta.

Teen drama, del resto, non è il termine più adatto per definire Euphoria. Una serie teen vuole coinvolgere i giovani di cui racconta le storie, mandare loro dei messaggi. Questa invece, secondo lo stesso Levinson, non è una serie indirizzata ai teenager che ne sono i protagonisti, bensì a coloro che gli adolescenti proprio non li capiscono. Gli adulti che li circondano.

A loro è diretto lo sforzo di raccontare il mondo dei giovani da un punto di vista che non fosse quello di uno spettatore passivo. Un’impresa che non è stata certo priva di difficoltà, come racconta lo stesso Lavinson durante un’intervista per HBO: “Il modo in cui si naviga in questo mondo cambia ogni giorno. E uno dei più grandi ostacoli penso sia stato cercare di creare empatia per questa generazione in una generazione meno giovane”.

Il regista ha superato questo ostacolo facendo partecipi gli adulti di avvenimenti, emozioni, situazioni che altrimenti non vedrebbero e non capirebbero, in modo da ampliare la loro visione altrimenti inevitabilmente parziale della vita dei più giovani. Parziale e limitata, secondo Levison, anche a causa dell’altissima velocità a cui viaggia il mondo degli adolescenti, a cui i meno giovani non riescono a stare dietro.

Il modo in cui si naviga in questo mondo cambia ogni giorno.

C’è questa consistente sensazione d’ansia, che penso sia presente in questa generazione, che ha dato vita all’intero processo di creazione dello show. Anche solo nel modo in cui abbiamo deciso di illuminare le scene notturne all’esterno o l’uso dei primi piani sembra surreale. Si prova quella sensazione di quando, giovane, sei per strada e il mondo sembra molto più grande di te”, racconta nella stessa intervista l’attrice Zendaya.

Non tutti, tuttavia, apprezzano questo approccio realistico e crudo. Se già con l’uscita del trailer la serie aveva attirato a sé parecchie critiche, dopo il primo episodio molti hanno gridato allo scandalo. Nell’episodio pilota, per esempio, assistiamo allo stupro di Jules (Hunter Schafer), una ragazza transgender arrivata da poco nella città in cui è ambientata la serie. La scena è brutale e ha scioccato moltissimi spettatori.

Nonostante questo – o forse proprio grazie a questa adesione alla realtà – Euphoria è in grado di tenerti incollato all’orlo della sedia per tutti i cinquanta minuti degli otto episodi. Non è un pugno nello stomaco, è un vero e proprio buco nero. Ti trascina dentro e non sei ben sicuro di volerne uscire. Visivamente è spettacolare, durante lo show aleggia una tensione perpetua e tagliente, metafora dell’ansia odierna che colpisce tutti, ma soprattutto gli adolescenti.

Impossibile poi non affezionarsi ai personaggi. Sia per la loro bellezza intrinseca, sia perché in ognuno di loro, nonostante le differenze di età, c’è qualcosa che ci ricorda noi stessi. E non c’è niente di più bello di sentirsi capiti. “Ci sono così tanti personaggi a cui affezionarsi in questa serie. Quello che mi eccitava era che i personaggi mi permettevano di compiere un’esplorazione psicologica. Vederli trovare l’amore, empatizzare con loro, ti dà speranza”, conclude la stessa Zendaya.