Non è vero. Non dovete (non dobbiamo) usare questi giorni di isolamento per fare tutto quello che avete sempre voluto (o creduto di voler) fare senza averne mai il tempo. Il libro che pensavate di scrivere, le lezioni di yoga/pilates/zumba, il “trattamento Marie Kondo” a cui avreste voluto sottoporre ogni singolo avere, tutte le ricette del quaderno della nonna da provare. Non solo non è un obbligo dedicarsi a tutte quelle attività che pensavate di poter fare se solo ne aveste avuto abbastanza tempo, è anche legittimo non avere né la voglia né la forza di cimentarsi e non sentirsi affatto in colpa per questo.
Come spiega anche Elizabeth Gilbert, autrice resa famosa dal libro “Mangia, prega, ama”, in una conversazione con Chris Anderson, ex giornalista e curatore delle TED Conference, non c’è colpa nel sentirsi paralizzati, spaventati, ansiosi: “Penso che si dovrebbe essere un sociopatico o una persona completamente illuminata per non provare ansia in un momento come questo”.
La conversazione è rigorosamente online, registrata per la serie TED Connects che in questi giorni sta mettendo a disposizione parole e idee utili per affrontare questo momento e quello che verrà dopo. Nel loro scambio Anderson e Gilbert toccano l’intero ventaglio di emozioni che probabilmente molti stanno provando in questi giorni di isolamento sociale: ansia, rabbia, paura, solitudine…. La prima emozione su cui si sofferma Gilbert è, tuttavia, la compassione, con un incoraggiamento per tutti “a concedersi un poco misericordia e compassione per le difficili emozioni che provate in questo momento”.
È importante accettare queste emozioni senza dover aggiungere loro il senso di colpa per non stare reagendo meglio. “A volte le emozioni che proviamo rispetto alle nostre emozioni diventano un problema ancora più grande: se ci si sente spaventati e ansiosi e a queste emozioni si aggiunge uno strato di vergogna per non star gestendo meglio quello che si prova, per non stare facendo di più durante questo isolamento (…) si moltiplica la sofferenza, giusto?”, prosegue la scrittrice.
Quindi bisogna avere compassione per il proprio stato d’animo e, suggerisce Gilbert, questo potrebbe portarci ad averne di più verso gli altri. Anche verso chi è lontano, verso chi prova ogni giorno, centuplicato per mille, quello che stiamo provando noi in questa circostanza: dalle persone in isolamento forzato, in carcere, nei lager libici alle persone lontane dalla famiglia, perché costrette a fuggire dalle loro case a causa di conflitti, disastri naturali, mancanza di lavoro e possibilità. La compassione per chi soffre, per chi è solo.
E poi, magari, una volta che questo nostro isolamento sarà terminato, agire per queste persone: a livello personale e pratico, ma anche collettivo e politico (politico non in antitesi di pratico, ma inteso come un’azione politica volta ad avere un impatto più grande e più trasversale): lavorando perché ci sia un cambiamento delle condizioni in cui versano queste persone, perché si mettano in atto politiche diverse, di accoglienza e comunità.
Compassione dunque, e niente frenesia di seguire fantomatiche “passioni” su cui negli anni si è fantasticato senza grande concretezza. Piuttosto, secondo Elizabeth Gilbert, potremmo dedicarci a ciò che ci incuriosisce. “La curiosità è un’esperienza molto semplice e universale che ci spinge a guardare a qualcosa più da vicino, senza dover cambiare la nostra vita per essa (…). Tante volte noi ci rivolgiamo al cielo alla ricerca di un segno da un qualche Dio di quale sia la nostra passione o quale sia il nostro scopo e, nel frattempo, c’è invece questo sentiero di briciole di curiosità che riusciremmo a scorgere se solo rallentassimo (…)”.
Il lavoro del mondo è cambiare, costantemente, talvolta completamente e all’improvviso (…) e noi siamo capaci di adattarci, noi siamo resilienti, noi possiamo farcela.
Insieme a curiosità e compassione, Elizabeth Gilbert si sofferma poi anche su di un’altra emozione che potrebbe aiutarci in questi giorni: l’accettare di non avere il completo controllo di quello che capita nelle nostre vite. “Il controllo è un’illusione. Ci sono momenti in cui siamo in grado di illuderci grazie alla tecnologie, grazie alla creazione di realtà sicure; (momenti, ndr) in cui noi siamo capaci di credere che siamo in controllo. Ma non lo siamo”. E secondo la scrittrice, arrendersi a questa realtà è fonte di grande sollievo. “Quello che succede ora”, spiega, “non è che le persone stanno perdendo il controllo: è che per la prima volta si stanno rendendo conto che non l’hanno mai avuto. E il mondo sta facendo il suo lavoro. Il lavoro del mondo è cambiare, costantemente, talvolta completamente e all’improvviso (…) e noi siamo capaci di adattarci, noi siamo resilienti, noi possiamo farcela”.
La conversazione è molto lunga e tocca un vasto spettro di emozioni ed esperienze umane, si parla di perdita, di amore, di meditazione, di solitudine e del bisogno degli altri che in questo momento ci spinge forse a esagerare con le chiacchierate collettive su Skype, Zoom e piattaforme simili pur di riempire il silenzio. È una conversazione da cui attingere ciascuno quel tanto di cui si ha bisogno in quel momento per reagire a questo isolamento sociale e alle emozioni che ci provoca.
Ricordandoci, come sottolinea anche Elizabeth Gilbert quanto siamo resilienti, sia individualmente sia collettivamente. Siamo una specie fortemente adattabile e lo siamo ancora di più quando accettiamo di non avere tutto sotto controllo e ci affidiamo all’intuizione. E ci dedichiamo a vivere il presente.