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Elettrodomestici Smart: la casa parla con noi e soprattutto di noi


Svegliarsi la mattina e mettere in funzione la macchinetta del caffè con un semplice comando vocale. Oppure fare la spesa connessi via smartphone al proprio frigorifero e alla propria credenza per sapere cosa manca per cena. Sono alcuni dei vantaggi che ci offrono i moderni elettrodomestici “smart” dietro ai quali tuttavia si nasconde un traffico di informazioni su di noi e sulle nostre abitudini da vendere al migliore offerente.

Cosa sanno esattamente di noi tutti questi oggetti iperconnessi? E cosa raccontano alle aziende che li producono e a chi da loro compra i dati che noi stessi produciamo con la vita di ogni giorni? Queste domande se le sono poste anche Kashmir Hill e Surya Mattu, due giornalisti di Gizmodo, che in una TED Talk dal sapore orwelliano raccontano cosa hanno scoperto.

Tutto è cominciato quando il marito di Kashmir Hill le ha regalato per il compleanno un Amazon Echo:“Un dispositivo”, fa notare Hill, “che si sarebbe seduto nel mezzo della nostra casa con un microfono acceso, costantemente in ascolto”.

Amazon Echo, Google Home e altri tipi di assistenti virtuali casalinghi erano presenti nel 2016 in 30,6 milioni di abitazioni in Europa e in Nord America. È molto probabile che il loro numero sia aumentato da allora. “Oltre a questi, le aziende ci offrono diversi tipi di dispositivi connessi a Internet. Ci sono luci intelligenti (smart in inglese, ndr), lucchetti intelligenti, servizi igienici intelligenti, giocattoli intelligenti, sex toys intelligenti. Per intelligente si intende un dispositivo in grado di connettersi a Internet, raccogliere dati e comunicare con il proprietario”.

Ma non solo con il proprietario. Per capire quale fosse il volume e il tipo di informazioni raccolte e condivise da questi elettrodomestici, Hill ha trasformato il suo appartamento di San Francisco in una smart home con 18 dispositivi collegati a internet, dal letto allo spazzolino da denti. Per i successivi due mesi ha chiesto al suo collega Surya di tenere d’occhio le informazioni diffuse da questi oggetti.

Il mio spazzolino aveva una password.

Ho creato un router speciale che mi ha consentito di esaminare tutte le attività di rete”, spiega Surya Mattu. “In questo modo potevo sapere sapevo quando voi vi svegliavate e quando andavate a dormire. Sapevo anche quando vi lavavate i denti”. Le stesse informazioni arrivavano alle aziende che avevano prodotto questi dispositivi. Questa comunicazione diretta era infatti la caratteristica che avevano in comune tutti gli oggetti adoperati da Hill nel suo esperimento.

È stato sconcertante scoprire che tutti questi dispositivi avevano conversazioni che per me erano invisibili”, racconta Hill.

Oltre alla perdita della privacy poi ci sono altre noie che non sempre controbilanciano i vantaggi ottenuti grazie a questi elettrodomestici intelligenti: decine di applicazioni da scaricare sul telefono e altrettante password da ricordare per ciascun elettrodomestico (“Il mio spazzolino aveva una password”). Inoltre, non sempre i dispositivi comprendono il comando vocale, si deve spesso urlare per farsi capire e dare comandi specifici che bisogna prima imparare a memoria.

È facile dimenticare che queste cose ti stanno guardando, perché non sembrano telecamere.

Tuttavia il fatto di essere costantemente profilato dagli oggetti che ti circondano e che si adoperano quotidianamente è sicuramente l’aspetto più allarmante di queste nuove tecnologie. Negli Stati Uniti per esempio, raccontano i due giornalisti, quanto spesso ti lavi i denti può incidere sul premio della tua assicurazione sanitaria. Le aziende infatti possono vendere queste informazioni oppure le possono utilizzare le aziende terze che forniscono le app di controllo di questi dispositivi (alcuni  possono essere gestiti attraverso Facebook Messenger). Quasi tutte le case produttrici tuttavia adoperano direttamente le informazioni trasmesse dai dispositivi. Anche i più insospettabili.

C’è questo sex toy chiamato We-Vibe”, racconta Hill. “È pensato per due persone che vivono una relazione a distanza, in modo che possano condividere il loro amore da lontano. Alcuni hacker hanno studiato questo giocattolo e hanno osservato che inviava molte informazioni alla sua azienda produttrice: quando è stato usato, per quanto tempo è stato usato, quali erano le impostazioni di vibrazione, quanto caldo diventava…

Tutte queste informazioni venivano raccolte in un database senza che i clienti che avevano acquistato We-Vibe ne sapessero niente (o meglio, ne sappiano niente) e adoperate per ricerche di mercato in modo da migliorare il prodotto o indirizzare meglio le campagne di marketing.

Anche quando sai che questo è quello che accade, è davvero facile dimenticare che i normali oggetti domestici ti stanno spiando”, conclude la giornalista. “È facile dimenticare che queste cose ti stanno guardando, perché non sembrano telecamere…possono avere anche l’aspetto di un dildo”.

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