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Ecco come Airbnb sta cambiando le nostre città


Le città europee credono che le case dovrebbero essere utilizzate, soprattutto, per viverci. Molte città stanno soffrendo di una grave mancanza di alloggi. Dove le abitazioni possono essere sfruttate in modo ancor più lucrativo, affittandole ai turisti, spariscono dal mercato immobiliare tradizionale, i prezzi aumentano e la ricerca di una casa da parte dei cittadini che vivono e lavorano nelle nostre città viene ostacolata”.

Questo è solo un estratto della lettera che dieci città europee– Amsterdam, Barcellona, Berlino, Bordeaux, Bruxelles, Cracovia, Monaco di Baviera, Parigi, Valencia e Vienna – hanno inviato all’Unione Europea per chiedere il suo intervento nella regolamentazione di Airbnb.

La Francia ci aveva già provato lo scorso aprile, quando si è rivolta alla Corte di Giustizia Europea chiedendo che Airbnb fosse soggetta alla stessa regolamentazione delle agenzie immobiliari. “L’opinione non vincolante della Corte di Giustizia Europea, alla luce del diritto europeo, ha definito Airbnb come un mero motore di ricerca che mette in contatto domanda e offerta e che quindi è esente dalla regolamentazione riservata ai servizi immobiliari”, ha spiegato Arianna Bettin in una puntata di Trappist, podcast del giornale online Submarine.

Airbnb è nata nel 2007 dall’idea di due giovani amici di San Francisco. Non potendosi permettere di pagare l’affitto, hanno pensato di trasformare il loro loft in uno spazio che poteva ospitare altre persone, rigorosamente a pagamento, con colazione inclusa. Se nel modello originale lo scopo di Airbnb era di affittare una o due stanze nella stessa abitazione del proprietario, con il tempo si è iniziato ad affittare anche singoli appartamenti o case intere.

Questo ha rappresentato fin da subito un grande problema per le città. Secondo gli attivisti e le autorità locali, da quando più della metà degli alloggi Airbnb presenti nei centri urbani sono case intere piuttosto che stanze condivise – e libere nella maggior parte dell’anno – le abitazioni a disposizione dei residenti stanno diminuendo, con un conseguente rincaro dei prezzi e un aumento del turismo di massa.

In un’intervista al magazine L’Espresso, il sociologo Giovanni Semi ha individuato Airbnb come una delle principali cause della gentrificazione nelle città: “Dal punto di vista sociale, Airbnb è un divaricatore. Fa salire gli affitti ed esclude i meno abbienti dalle zone centrali delle grandi città. Sotto questo profilo allarga i fossati ed è un fenomeno negativo che interessa città come New York, Parigi, Londra, Roma”. E continua: “Molti proprietari usano Airbnb non tanto per la redditività ma per la certezza di ricevere il denaro incassato e distribuito dalla piattaforma. In altre parole, si accontentano di incassare meno soldi ma senza rischi di morosità. Questo, a ben vedere, ha un effetto drammatico in periodi di crisi perché chi fatica a pagare l’affitto ha meno case a disposizione. Sarà più facile che venga sfrattato e sarà più difficile che ottenga un contratto di locazione. E il problema degli alloggi vuoti si aggrava. A Torino ce ne sono oltre quarantamila, a Milano oltre centomila”.

Airbnb è un divaricatore. Fa salire gli affitti ed esclude i meno abbienti dalle zone centrali delle grandi città.

Da un lato, quindi, Airbnb sta registrando una crescita esponenziale nelle principali città europee: ad Amsterdam e Barcellona registra più di 18 mila annunci, 22mila circa a Berlino e quasi 60 mila a Parigi. Secondo i dati forniti da InsideAirbnb, lo scorso anno più della metà degli annunci offrivano interi appartamenti o case, e che anche nelle città in cui le autorità locali hanno stabilito un limite temporale agli affitti a breve termine, oltre il 30 per cento di questi immobili risultavano disponibili per tre o più mesi l’anno. Dall’altro, la piattaforma sta provocando un paradossale aumento di vuoti abitativi: come racconta il Stefano Colombo di Submarine, “a Milano ci sono oltre 100 mila alloggi vuoti e aumenta sempre di più la domanda di case popolari”.

A spaventare le città europee non è solo la mancanza di regolamentazione, ma anche l’effettiva impossibilità di un controllo sulla piattaforma, perché Airbnb non è obbligata a condividere informazioni sui dati dei proprietari, cosa che permetterebbe alle città di assicurarsi che le regole locali vengano osservate.

Oltre alle dieci città che hanno firmato la lettera, ce ne sono molte altre ad avvertire la pressione di Airbnb. Madrid, per esempio, che ha ospitato la finale di Champions League lo scorso 1 giugno, ha registrato, in quel weekend, 4500 appartamenti in affitto in più rispetto agli altri mesi. Oltre a crescere il numero degli alloggi, aumentava progressivamente anche il prezzo in prossimità della data della partita: se il 23 febbraio affittare un appartamento turistico a Madrid nel weekend del 1 giugno costava 629 euro, il 12 maggio il prezzo è lievitato fino a raggiungere i 1924 euro. Ma non solo: se normalmente la maggioranza degli alloggi appartiene a imprese o a singoli proprietari di più immobili, quel fine settimana molti annunci erano di host che mettevano in affitto la loro casa, o una stanza del loro appartamento.

Ad agosto 2018 erano disponibili su Airbnb 397.314 alloggi italiani, il 78,34 per cento in più rispetto ad agosto 2016.

Anche Atene sta risentendo dell’effetto Airbnb: dopo la gravissima crisi del 2015 che ha investito il paese intero, la capitale sembra essersi ripresa, ma soffre del problema opposto. Come racconta Cristiano de Majo su Rivista Studio, ci sono quartieri, come Koukaki, che è sempre più difficile permettersi perché sono stati letteralmente conquistati da Airbnb.

Palma de Mallorca ha affrontato lo stesso rincaro dei prezzi della città greca: a un aumento del 50 per cento dei prezzi degli affitti degli alloggi turistici, è seguito un rincaro del 40 per cento del prezzo per i residenti. Per questo le autorità hanno deciso di vietare quasi tutti gli affitti breve termine di case private come quelli offerti da Airbnb. A Berlino, invece, il consiglio comunale ha disposto un blocco dei prezzi degli affitti per i prossimi cinque anni, dopo aver registrato il raddoppiamento dei prezzi nell’ultimo decennio.

Quanto all’Italia, il dibattito sulla questione rimane fermo, nonostante il problema di Airbnb si avverta anche nel territorio nazionale. Secondo gli ultimi dati elaborati da Federalberghi e ripresi da Agi, “ad agosto 2018 erano disponibili su Airbnb 397.314 alloggi italiani, il 78,34 per cento in più rispetto ad agosto 2016. Le strutture extralberghiere di natura analoga (appartamenti in affitto e B&B) censite dall’Istat in Italia sono 113.538”.

Gli aspetti positivi di Airbnb sono indubbi: secondo gli ultimi dati forniti dalla compagnia, l’impatto economico in Italia supera i 5 miliardi di euro e vede il nostro paese al quarto posto tra quelli che hanno tratto maggiori benefici economici dai flussi turistici. Da quanto è nata la piattaforma, gli host hanno guadagnato complessivamente 65 miliardi di dollari. In più, come sottolinea la stessa compagnia, negli anni il servizio ha reso molti luoghi più praticabili economicamente, soprattutto per giovani e famiglie. Come ricorda Giovanni Semi, “il discorso è di segno opposto quando si parla di ceti medi proprietari, di città medie e di seconde case. In alcune zone già desertificate, con case da vacanza inutilizzate, l’influenza di Airbnb è positiva”.

Un’influenza che ha modificato la fisionomia delle nostre città e il modo in cui i residenti stessi le concepiscono. Nel suo ultimo saggio “L’Italia che non ci sta” (Einaudi, 2019), Francesco Erbani spiega che “la gentrificazione, che ha avuto luogo a Londra, New York, Barcellona, Berlino, ha rappresentato un cambiamento del gusto della classe media – che ora preferisce le stratificate risonanze del centro storico a una periferia o a una New Town, distanti e a bassa densità. Allo stesso modo è cambiato il turismo, con la popolarità del City Break in Europa e la nascita della ‘sharing economy’ e delle relative app, come Uber e Airbnb. Questa roba vende il sogno che si stia vivendo una cosa vera: invece di essere in un non-luogo (un hotel, un aeroporto, un’autostrada, un centro congressi), si sta nell’appartamento di qualcun altro”.

Quel che è certo è che Airbnb ha smesso di essere una mera bacheca in cui cercare alloggi. Con un fatturato di 2,6 miliardi di dollari (nel 2017), Airbnb è diventata una potenza transnazionale, in grado di modificare e di generare effetti distorsivi nel mercato. È prevedibile che sempre più città europee si mobiliteranno per imporre una regolamentazione adatta alla piattaforma, proprio come è accaduto con Uber. Nel 2017, infatti, la Corte di Giustizia Europea ha stabilito che Uber non era solo una piattaforma digitale, ma un servizio taxi dotato di dipendenti che come tali dovevano essere trattati. Sebbene questa vicenda possa fungere da precedente legislativo, Airbnb presenta alcune differenze: prima fra tutte è l’assenza di un legame diretto con gli host. È proprio questo il cavillo che potrebbe rendere difficile la classificazione di Airbnb come un vero e proprio agente immobiliare.

Ascolta qui la puntata di The Trappist dedicata ad Airbnb.