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Covid-19: reagire all’isolamento sociale


L’intervista a Davide Bennato è stata girata in data 19 marzo 2020, i contenuti fanno quindi riferimento a quella fase dell’emergenza. 

Più di 3 miliardi di persone al mondo sono a casa. Sono decine i Paesi in tutti i continenti ad aver imposto il lockdown, seguendo l’esempio dell’Italia, e ad aver imposto misure di isolamento sociale per contrastare la diffusione del Sars-CoV2. Eccoci quindi a impastare il pane, a leggere libri per cui non abbiamo mai avuto tempo, a reinventarci. Ma in cosa si traduce l’isolamento sociale? Lo abbiamo chiesto a Davide Bennato, professore di Sociologia dei processi culturali e comunicativi e di Sociologia dei media digitali presso l’Università di Catania.

“Antropologicamente” come reagiamo all’imperativo di stare in casa?
Questa condizione di isolamento sociale che stiamo vivendo è assolutamente nuova per noi, ha commentato Bennato. “Non siamo abituati. Ognuno sta elaborando delle strategie per affrontare la situazione. Sia per cercare di diminuire lo stress (…) sia per impegnarci nelle attività che possano darci l’impressione che la dimensione quotidiana viene a essere salvaguardata”.

Ecco perché cerchiamo di trovare degli escamotage, dei trucchi – afferma Bennato – che possano lenire questa “cattività, per mantenere i nervi saldi, per vivere lo spazio domestico come se fosse la cosa più normale”, quando invece questa condizione normale non è, visto che non possiamo né uscire né incontrare altre persone. In queste attività possono rientrare i flash mob che sono avvenuti sui balconi, per esempio. “È un modo per cercare di interpretare il fatto che viviamo all’interno delle quattro mura nel modo più creativo possibile”.

Essendo questa una situazione di eccezionalità, come in tutte le situazioni in cui dobbiamo affrontare lo stress derivante da una situazione non ordinaria, cerchiamo di ricostruire una quotidianità, afferma l’esperto di sociologia dei media digitali. “Cerchiamo di ricostruire una quotidianità sia per diminuire l’ansia sia per trovare delle attività da fare, ma soprattutto nell’ottica di orientarci e – soprattutto – controllare quella che è una situazione eccezionale ma che noi dobbiamo reinterpretare socialmente e individualmente come situazione quotidiana anche se temporanea”.

Un popolo di maratoneti: sarà mica un espediente per esorcizzare la paura?
Come spesso capita nelle situazioni di paura collettiva diffusa bisogna elaborare le cosiddette narrazioni del controllo. Dobbiamo raccontare a noi stessi che stiamo controllando la situazione, e di conseguenza cerchiamo di placare l’ansia che deriva dalla paura, una sensazione che deriva dall’incapacità di tenere sotto controllo la situazione”, spiega Bennato. In questo senso vengono elaborate quelle che si chiamano narrative del controllo, o meglio, raccontiamo a noi stessi che la paura può essere controllata.

E quindi qual è il modo di controllare la paura?Alcuni lo fanno cercando di rinforzare la situazione dell’attività quotidiana. La dimensione dell’allontanamento dal lavoro e dai vincoli lavorativi, descritta spesso attraverso l’attività fisica, che diventa un modo anche per gestire questa narrativa del controllo. Le persone si dicono ‘dato che ho molto più tempo a disposizione approfitto per rinforzare il mio fisico come avrei fatto in altre situazioni’.

Ma queste attività di solito vengono svolte quando siamo completamente distanti dal lavoro e non abbiamo dei vincoli sociali da rispettare. “Quindi il fatto che ci sia l’impressione che le persone siano diventate improvvisamente degli atleti è più che altro ascrivibile al fatto che la narrativa del controllo, legata alla quotidianità – cioè ‘ho più tempo a disposizione, quindi faccio più attività fisica’ –, si scontra invece con le indicazioni date dal Governo (diminuire il contatto con le altre persone, aumentare la distanza fisica e non sociale, e mantenersi chiusi in casa). Quindi, ci sono due narrative: una che cerca di mantenere la quotidianità, l’altra invece che fa capire che la quotidianità si è interrotta”.

Davide Bennato suggerisce che l’azione da avviare è quella di appellarsi alla responsabilità, ma allo stesso tempo non additare le persone che proseguono la loro quotidiana attività fisica come untori. “Occorre far capire che in questa dimensione di eccezionalità tra le varie cose eccezionali che dobbiamo fare, bisogna anche ridurre delle pratiche, come per esempio andare all’aperto e praticare un’attività fisica, che prima sembravano ovvie ma in questa situazione di eccezionalità non lo sono”.

Allo stesso tempo, il docente dell’Università di Catania ricorda che proprio in questa dimensione vi è il rischio di aumentare ansia da parte delle persone, che, dovendo rimanere in casa, senza poter fare sport, potrebbero veder aumentare la sensazione di paura legata ad una situazione fuori controllo. “Quindi bisognerebbe negoziare, soprattutto dal punto di vista comunicativo, negoziare questo tipo di appelli, facendo riferimento (…) a una situazione che può essere controllata proprio nell’ottica di diminuire la paura”.

Ci sono due narrative: una che cerca di mantenere la quotidianità, l’altra invece che fa capire che la quotidianità si è interrotta.

Edicole aperte e librerie chiuse: non è un controsenso?
I motivi potrebbero essere due, secondo l’esperto in sociologia: da un lato uno strutturale, dall’altro uno più legato al ruolo di connessione di queste attività rimaste aperte. Tutte le edicole sono ben distribuite sul territorio e sono all’aperto (perciò è possibile adottare le misure di distanziamento).

Le librerie invece sono luoghi chiusi, sono spazi circoscritti, e quindi il rischio che si possano trasformare in luoghi di propagazione del contagio è potenzialmente maggiore. Inoltre, spesso nei piccoli centri di librerie non se ne trovano, ed ecco che le edicole svolgono anche questo ruolo, dove oltre ai giornali si comprano anche libri e articoli per la scuola. “Ma in realtà sono un modo per mantenere stabile la quotidianità, nel senso che la vita quotidiana continua. Quello dell’edicola è un servizio che potrebbe sembrare circostanziale ma è un modo per dire che ‘la condizione è eccezionale, ma va tutto bene’”.

Inoltre, le edicole sono dei punti di riferimento molto forti, di una dimensione di quartiere, di spazio locale”, conclude il sociologo. “Sono quindi un modo per mantenere il legame sociale delle persone. Di solito io conosco l’edicolante (anche se ci vado una volta ogni tanto), mi mette da parte l’inserto del giornale, il fumetto per i bambini, la rivista di cucina, un numero particolare di quella particolare collezione enciclopedica. L’edicola non eroga solamente un servizio editoriale ma eroga anche un modo di appartenere a una comunità, e quindi al mantenimento della vita quotidiana.