Quando si parla di oggettivazione del corpo molti di noi immaginano quello femminile. Meno discusso invece è il corpo degli uomini e il modo in cui viene mostrato dai media. Il fenomeno è spesso definito con il termine inglese “Hunkvertising” (nato dall’unione di hunk, che in gergo colloquiale indica l’uomo forte e attraente, e advertising) e cioè quelle pubblicità in cui l’enfasi è posta sull’idea di virilità e mascolinità, sull’ideale di uomo perfetto dal fisico scolpito, poco emotivo e con lo sguardo che punta dritto alla tua inadeguatezza. O almeno questo è il sentimento che genera questo tipo di distorsione.
In un recente episodio della serie “Modern Masculinity” del Guardian, la giornalista Iman Amrani ha dedicato attenzione a questo tema cercando di riflettere su come le immagini proposte dai media possano influenzare negativamente gli uomini, soprattutto i giovanissimi. “Ho come l’impressione che per quanto riguarda le donne le cose siano cambiate molto e la diversità ha assunto un ruolo importante quando si tratta di bellezza o successo personale. Ma quando ci giriamo a guardare il mondo degli uomini sembra che ci siano ancora gli stessi modelli di sempre”, afferma Amrani.
Le campagne pubblicitarie il cui target sono le donne hanno subito una – necessaria – trasformazione nel corso degli ultimi anni. Dove è stata tra i primi brand a cambiare prospettiva, si è impegnata (anche tramite la nota campagna “For real beauty”) a diffondere esempi diversi e autentici di bellezza che rispecchiano la realtà di ogni donna, senza ore di make-up o ritocchi Photoshop.
A Londra invece, in particolare nel quartiere di Shoreditch, l’agenzia di comunicazione New Macho cerca di combattere la stessa battaglia contro gli stereotipi. Ma in difesa degli uomini. È qui che Iman Amrani ha incontrato Fernando Desouches, managing director della New Macho, azienda che riconosce quanto questi stereotipi obsoleti possano essere dannosi per le persone. Cerca quindi di essere parte attiva della soluzione – “perseguendo un equilibrio di genere sostenibile”, dichiara Fernando – e non causa del problema. “Il modo in cui rappresentiamo ‘l’uomo di successo’ è il peggior stereotipo che si possa dare, e non ne se ne parla abbastanza. Credo che sia giunto il momento di affrontare più spesso questo discorso e credo anche che quando lo facciamo le persone si scoprano più predisposte all’ascolto”, prosegue Desouches.
Iman ha poi raccolto le riflessioni di un altro componente del team di New Macho, Tony Quinn, il quale invita la giornalista a fare un passo indietro nella storia della pubblicità, dove gli stereotipi hanno giocato a sfavore nelle battaglie contro razzismo e sessismo. “Ciò accade anche adesso, ogni volta che l’uomo viene mostrato perfetto, scolpito e incapace di mostrare emozioni. Mio figlio ha dieci anni”, prosegue Quinn, “e spesso si guarda allo specchio per vedere se il suo addome è come quello di Cristiano Ronaldo. Come se essere uomo significasse soltanto questo, avere il six pack. È con questo tipo di immagini che i ragazzini crescono e prendono ispirazione. Tutto ciò ha un impatto non trascurabile sulla formazione dei loro valori e su ciò che pensano”.
Il modo in cui rappresentiamo ‘l’uomo di successo’ è il peggior stereotipo che si possa dare, e non ne se ne parla abbastanza.
Si possono ottenere effetti positivi cambiando i contenuti proposti nelle pubblicità?
“Penso che le aziende abbiano contribuito a creare questo problema”, afferma Tony in risposta alla domanda di Iman, “quindi sono anche in grado di risolverlo. In qualche modo la corsa al guadagno economico ha sopraffatto la capacità di brand e agenzie di comunicazione di fare qualcosa di buono. Ma qualcosa di buono può essere fatto e allo stesso tempo può generare profitto, queste due cose non si escludono a vicenda. Puoi lavorare bene, facendo del bene”.
Un esempio viene dalla campagna della sezione spagnola della Gillette, “Hay que ser muy hombre” (letteralment,e Devi essere molto uomo) sviluppata per combattere vecchi stereotipi e pregiudizi legati alla figura maschile che riguardano molti aspetti della vita, i rapporti interpersonali, le emozioni, l’aspetto fisico, la sessualità e il lavoro. La campagna ha avuto come punto di partenza uno studio condotto nel 2019 proprio per la Gillette che ha analizzato le risposte di circa 2000 uomini spagnoli tra i 18 e i 59 anni.
Nonostante il campione non fosse rappresentativo dell’intera popolazione maschile, i risultati ottenuti (ad esempio il 79 per cento degli intervistati non si identificava nei modelli proposti dalle pubblicità) incoraggiano una riflessione sulla necessità di continuare la lotta a questo tipo di pregiudizi e proprio per promuovere il dibattito e accrescere la consapevolezza sul tema è nata la campagna di Gillette.
L’attenzione, tuttavia, deve essere concentrata maggiormente sui ragazzi, che potenzialmente sentono l’onere di dover essere all’altezza, che trovano in modelli come David Beckham o Cristiano Ronaldo l’unico esempio da seguire. È per questo che la giornalista del Guardian è andata ad ascoltare una classe della Ladybridge high school, a cui ha proposto di rispondere alla domanda: “Che aspetto ha il successo?”. I ragazzi, osservando alcune copertine del magazine statunitense GQ (Gentlemen’s Quarterly), hanno indicato quali erano secondo loro uomini di successo e degni di ammirazione.
“Per quanto riguarda il successo scelgo David Beckham. Secondo me per essere di successo bisogna lavorare tanto, duramente e imparare dagli errori”, ha detto uno dei ragazzi. “Conor McGregor, per la sua carriera nella UFC (Ultimate Fighting Championship) e per tutto quello che ha passato da quando era più giovane, è un campione indiscusso”, è stata l’opinione di un altro ragazzo. “James Corden. Non voglio essere cattivo ma quando hai successo hai anche tanti soldi e puoi anche avere un aspetto migliore. Ronaldo per esempio quando era più giovane aveva dei problemi ai denti particolarmente visibili, come quelli che ho io più o meno, bene, li ha sistemati e ha sistemato anche il naso. Voleva apparire migliore e ha potuto farlo”, ha spiegato un altro ragazzo, poco più grande degli altri.
Queste sono solo alcune delle riflessioni emerse durante l’incontro che la giornalista del Guardian ha avuto con la classe, ma rappresentano dei punti di vista da non sottovalutare, l’opinione di ragazzi tra i 13 e i 16 anni che guardano avanti ispirandosi a modelli il cui successo è rappresentato visivamente da poche certezze: guadagnare tanto e avere un bell’aspetto. “Non vogliamo mettere gli uomini in una scatola e forzarli a provare emozioni con cui non si sono mai confrontati o ad apparire incredibilmente vulnerabili, ma possiamo fare in modo che le prospettive cambino”, conclude Iman Amarni. Possiamo fare quello nelle pubblicità indirizzate alle donne è già in atto. Possiamo dare spazio alla diversità.