“Bambinologo”. È così che a Francesco Tonucci piace definirsi, più che maestro, pedagogo o disegnatore. Con le sue vignette infatti – che firma con lo pseudonimo FRATO – il professore italiano invita a guardare la scuola e l’apprendimento con gli occhi dei bambini, difendendo fermamente il diritto dell’infanzia.
In un evento realizzato con El País, Tonucci ha dialogato con alcuni bambini riflettendo sul fine massimo dell’educazione, per costruire una scuola che loro per primi apprezzino e che garantisca il pieno sviluppo della loro personalità.
Tonucci parte da una riflessione importante, il riconoscimento del diritto di espressione dei minori nel contesto familiare, sociale e scolastico. In quest’ultimo, lo si può raggiungere istituendo un consiglio di studenti in ogni scuola, già previsto dalla legge spagnola ma ancora non del tutto attuato, per incitare il dialogo e il confronto tra i ragazzi.
“A scuola si fanno cose noiose, cose pesanti. È difficile che la scuola riesca a raggiungere i risultati che si aspetta. Non lo dico io, lo diceva Brumer, un famoso psicologo statunitense. Diceva che non si può tollerare che gli studenti si annoino a scuola. Bisogna evitarlo in ogni modo. Si trascorre molto tempo a scuola. Vivere tutto questo sotto pressione è molto pesante e non è produttivo”.
A me piace l’idea di una scuola aperta
Secondo Tonucci la scuola si dovrebbe fare camminando. “Si può avanzare e crescere stando seduti? Gli alunni fanno tutto da seduti. Cambiano i professori, i maestri, i libri. Dobbiamo camminare. Io personalmente propongo che la scuola superi l’idea dell’aula. Sono convinto che l’aula non sia un luogo naturale. È un luogo che si ripete ed è sempre uguale. Stesso arredamento, stesse pareti. In questo luogo sempre uguale si fa tutto. Nello stesso tavolo, con la stessa sedia, con la stessa postura, si studia matematica, lingue, disegno, musica, scienze. A me piace l’idea di una scuola aperta. La scuola che si apre per conoscere il mondo e per ricevere il mondo. Non avere aule, ma laboratori. Ognuno per una cosa diversa. I bambini camminano, si spostano. Escono da un luogo per entrare in un altro. Una scuola che si apre in due sensi: si esce dalla scuola per conoscere il mondo, la natura, la società, e la scuola che si apre per ricevere il mondo”.
Un tuffo nel passato per Tonucci che ricorda come tutto questo fosse normale venti o trent’anni fa. Si usciva per visitare il quartiere, per conoscere la città, mentre oggi non si esce più. “È un tema molto importante, sia a scuola che a casa. Oggi è molto difficile per un bambino uscire solo di casa. Questo è qualcosa che rivendico molto. I bambini devono uscire di casa senza che qualcuno li porti per mano, perché solo fuori possono vivere la sorpresa, la meraviglia, le scoperte, l’avventura, il rischio. Sono cose importanti per crescere che si possono vivere solo fuori e con altri”.
I bambini devono uscire di casa senza che qualcuno li porti per mano
Per questo è fondamentale lasciare del tempo libero agli studenti. Secondo Tonucci, la scuola dovrebbe fare lezione solo la mattina e non dovrebbe assegnare troppi compiti a casa perché “il pomeriggio è dei bambini ed è importante che trascorrano il tempo vivendo nuove esperienze”. Una buona scuola non è fatta solo di bei programmi o di libri di testo. Piuttosto è aperta a ciò che vivono gli alunni. Gli studenti devono poter portare a scuola quello che hanno acquisito nelle esperienze fatte durante il fine settimana o nelle vacanze. Un modo, questo, per permettere ai maestri di conoscere veramente i propri alunni, abbandonando il ruolo di mera autorità che ordina e pretende. I maestri dovrebbero essere delle persone di cui fidarsi, dei punti di riferimento nella vita del bambino. Questo è possibile solo essendo gentili: “Molte volte si crede che per avere autorevolezza bisogna essere una persona fredda, lontana. È totalmente falso. I grandi maestri hanno sempre avuto alunni e alunne che li amavano”.
Affronta poi il tema controverso degli esami. Per Tonucci il sistema attuale è ingiusto. La scuola non dovrebbe avere l’obiettivo di rendere tutti uguali ma di valorizzare le diversità. Gli esami sono fatti per valutare tutti alla stessa altezza ma con il sistema attuale non è possibile: ci sono studenti svegli, meno svegli, alcuni stranieri con difficoltà ad apprendere la lingua, e sono tutti nella stessa classe. Gli studenti dovrebbero essere indirizzati verso scuole diverse e dovrebbero esserci dei laboratori specifici per permettere ai ragazzi di dedicarsi a quello che preferiscono, continuando a studiare un po’ di tutto: “La scuola, con la famiglia, dovrebbe aiutare ognuno a scoprire quello che Márquez definiva ‘il suo gioco preferito’”. La parola educare, del resto, deriva dal latino “ex ducere” dove “ex” significa fuori e “ducere” significa trarre. Educare significa trarre fuori da ognuno di noi quello per cui siamo nati. Questo, con gli esami e le correzioni non ha nulla a che vedere.
“Quando andavo a scuola non vedevo l’ora arrivasse il sabato. Per questo faccio disegni satirici sulla scuola”. I bambini invece non dovrebbero vedere l’ora che arrivi il lunedì per ricominciare di nuovo. La scuola deve essere motivante e interessante esattamente come il gioco.