“We have now seen the unseeable”. “Abbiamo visto ciò che non è possibile vedere”. Con queste parole Sheperd Doeleman direttore dell’Event Horizon Telescope Project (Eht) ha presentato oggi la prima immagine mai ottenuta di un buco nero.
Shep Doeleman ha presentato la foto, il risultato di un’osservazione effettuata il 17 aprile 2017 del buco nero supermassiccio al centro della galassia Messier 87 dell’ammasso della Vergine, a Washington insieme ad altri tre colleghi del progetto. Ma sono state ben sei le conferenze stampa che oggi, 10 aprile 2019, hanno annunciato al mondo questo punto di non ritorno nello studio dell’universo: una a Bruxelles, a Lyngby (Danimarca), a Santiago (Cile), a Shanghai, a Taipei (Taiwan) e, appunto, a Washington DC (Video qui sotto; la conferenza vera e propria comincia al minuto 33:05).
Questa “vera” fotografia mostra un oggetto molto simile a quello che si aspettavano i ricercatori, un anello di fuoco. E sebbene simile a molte simulazioni, per la prima volta non è un’interpretazione artistica o il risultato di una elaborazione di computer grafica, come quelle del film Interstellar. Il buco nero non è l’anello che si vede, perchè in realtà è veramente impossibile osservarlo a causa delle sue proprietà fisiche, ma quello che vi è dentro; e l’anello di fuoco segna il confine dell’orizzonte eventi, il contorno di un buco nero dove la gravità è tanto forte da non lasciar scappare, appunto, neanche la luce. Quello che si vede è quello che i ricercatori chiamano “l’ombra” del buco nero ed è la prima dimostrazione diretta dell’esisetnza di questi oggetti.
Forse più che “fotografia”, infatti, sarebbe meglio dire che è un’immagine che è stato possibile catturare grazie all’Interferometria a Base Molto Ampia. Così, infatti, si chiama la tecnologia grazie alla quale otto radiotelescopi, situati in sei diversi punti del globo, sono stati connessi tra loro e trasformati in un unico gigantesco radiotelescopio che i ricercatori del progetto Eht hanno adoperato – e continueranno ad adoperare – per “fotografare” Messier 87; come anche Sagittarius A* il buco nero supermassiccio dormiente (e molto più piccolo in massa rispetto a M87) che si trova al centro della nostra galassia.
Un buco nero supermassiccio è un tipo di buco nero, un’oggetto previsto dalla Teoria della Gravità Generale elaborata da Albert Einstein più di cento anni fa di cui esistono diversi tipi, che si comportano (ora lo sappiamo con un’evidenza scientifica) tutti allo stesso modo. È un agglomerato di materia con una massa di milioni di volte maggiori di quella del nostro Sole. Ce ne dovrebbe essere uno al centro di quasi ogni galassia; ancora non è chiaro come si siano formati, ma grazie al lavoro di Event Horizon Telescope, lo si potrebbe presto scoprire.
Il progetto, descritto nel video animato qui sopra, è il primo ad aver tentato l’impresa e ne fanno parte oltre 200 ricercatori di 60 centri di ricerca in 20 paesi nel mondo: tra cui l’Atacama Submillimiter Telescope Experiment, il Large Millimeter Telescope Alfonso Serrano, l’Istituto Max Planck per la Radioastronomia degli Istituti Max Planck, l’Osservatorio Nazionale Astronomico del Giappone a Mitaka e la National Science Foundation. Nel 2018 i telescopi sono diventati nove, grazie all’aggiunta del Telescopio Greenland dentro il Circolo Polare Artico, e presto se ne aggiungerà anche un decimo.
Per ottenere questa immagine, ha raccontato Dan Marrone della University of Arizona, “sono occorsi moltissimi anni di lavoro”. Non solo i due anni necessari a elaborare i 5 petabyte di dati raccolti durante l’osservazione degli otto radiotelescopi (“pari a cinquemila anni di Mp3”), ma anche quelli di lavoro sul campo per combinare il lavoro di questi straordinari apparecchi: dotarli, per esempio, di orologi atomici per una sincronizzazione perfetta o di ricevitori e via dicendo.
Ed è solo l’inizio.
Come ogni straordinaria scoperta di questa portata, questo risultato dimostra come solo la collaborazione tra nazioni, tra discipline diverse, tra scienziati senior e scienziati all’inizio della carriera sia l’ingrediente fondamentale per ottenere successi per tutta l’umanità. “Sarebbe stata un’impresa enorme ed enormemente costosa costruire il radiotelescopio necessario per questo esperimento, e non l’abbiamo intrapresa, abbiamo invece costruito una collaborazione”, ha sottolineato Marrone.
Collaborazione e anche tanta fortuna: dal fatto che la Messier 87 sia tanto grande da essere un buco nero super supermassiccio tra i buchi neri supermassici e osservabile dalla Terra, al fatto che il tempo, proprio come clima, sia stato ottimale negli stessi giorni in tutti i siti di osservazione, dall’Arizona al Cile al Polo Sud.
Il lavoro dell’Eht non solo conferma ancora una volta la teoria di Einstein, ma offre un punto di partenza per lo studio di questi oggetti, tra i più misteriosi (nonostante la presentazione di oggi) dell’Universo. Per esempio, ha permesso di stabilire con certezza, mettendo fine a una diatriba di anni tra due misurazioni diverse, la massa di M87: sei volte e mezzo quella del Sole. Ha permesso anche di confermare che i buchi neri hanno un ruolo fondamentale nella forma e nell’evoluzione delle galassie. “Ed è solo l’inizio”, ha sottolineato Doeleman.
In contemporanea alla presentazione mondiale dell’immagine, i ricercatori coinvolti nel progetto hanno pubblicato in modalità open access sei studi in un numero speciale delle The Astrophysical Journal Letters, li trovate tutti qui.
Qui trovate invece la conferenza stampa tenutasi a Brussels, dal canale YouTube dello European Research Council. Ed ecco invece un bellissimo TED talk dove Katie Bauman, dottoranda del Mit responsabile dell’algoritmo che ha reso possibile creare l’immagine di M87, racconta il progetto Event Horizon Telescope .