C’è una questione che definisce il tempo in cui viviamo e attorno alla quale ruota l’identità della nostra civiltà: l’immigrazione. In un mondo globalizzato gli stati ricchi sono costantemente interessati da grandi flussi migratori che provengono da zone più povere. Come decidono di affrontare questo fenomeno dice molto della loro storia, della loro identità del loro futuro. “Nessun amico se non le montagne” di Behrouz Boochani (Add Editore) è un libro che si pone al centro della questione, portandola all’attenzione del lettore in tutta la sua contraddittorietà e violenza.
Boochani è un curdo iraniano, costretto a fuggire nel 2013 dall’Iran, colpevole di aver aperto una rivista culturale in lingua curda. La sua fuga lo porta in Indonesia, da dove su un barcone prova a raggiungere l’Australia, paese nel quale vorrebbe fare richiesta di asilo.
L’imbarcazione viene però intercettata dalla marina australiana e le persone a bordo vengono trasferite a Manus, un’isola appartenente alla Papua Nuova Guinea, dove il governo australiano ha istituito un centro per raggruppare i migranti che provano ad arrivare in Australia via mare. Boochani – e con lui molti altri – viene lasciato a tempo indeterminato sull’isola di Manus, con la scelta se chiedere il rimpatrio in Iran o fare domanda di protezione internazionale in Papua Nuova Guinea, uno stato povero e senza i mezzi per prendersi cura di chi arriva in cerca di protezione.
Durante la detenzione nell’isola di Manus, Boochani riesce a procurarsi un cellulare e inizia a scrivere su Whatsapp quello che vede e quello che gli succede. Documenta la violenza del sistema che rinchiude degli uomini in una prigione senza che abbiano compiuto alcun crimine e li lascia a sopportare la durezza del regime e la noia, sperando di convincerli a rinunciare ai loro diritti.
Il lavoro di scrittura di Boochani è lungo ed estenuante, fatto di molte riscritture e revisioni, rallentato da lunghe pause quando il cellulare gli viene sottratto. Lentamente però i testi prendono una forma, grazie anche al lavoro di Omid Tofighian, la persona che ha organizzato i vari materiali che Boochani scriveva e li ha tradotti dal persiano all’inglese.
“Penso che dovrei scrivere un intero libro sul processo di traduzione! È stato complicatissimo e difficile da descrivere”, racconta Tofighian quando parla del lungo lavoro di sistemazione e traduzione del libro. Il libro viene pubblicato in inglese nel 2018 e suscita da subito un gran dibattito, tanto che nello stesso anno vince il Victorian Prize, il premio di letteratura più prestigioso dell’Australia.
Nel libro la vicenda umana e quella storica si toccano portando a “un forte elemento di assurdità e paradosso e a un tipo particolare di esplorazione del subconscio. È il riflesso della situazione dell’autore che ha cercato rifugio in una democrazia liberale che ha firmato la Convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati e che l’ha imprigionato a tempo indefinito. L’assurdità della situazione, i paradossi che si creano si ricollegano alla sua stessa identità (di Boochani, ndr) e tutto questo corrisponde alla situazione politica e al modo in cui l’Australia ha sviluppato questo particolare regime ai suoi confini e come questo influenzi il resto del mondo”.
Abbiamo deciso di investire in questo come contributo alla Storia, come riconoscimento di tutte le persone che hanno perso la vita o hanno avuto la vita rovinata.
“Nessun amico se non le montagne” è la storia di come la parte ricca del mondo spesso distolga lo sguardo dai problemi che affliggono la parte più povera e insicura, anche quando questi problemi vengono a bussare alle sue porte. Il lavoro per creare una narrazione diversa di questo fenomeno epocale è immenso e questo libro fa la sua parte in questa direzione, anche se i risultati si potranno vedere solo nel futuro. “Siamo realistici, sapevamo che tutto questo non avrebbe cambiato la politica del governo (australiano, ndr). Abbiamo deciso di investire in questo come contributo alla Storia, come riconoscimento di tutte le persone che hanno perso la vita o hanno avuto la vita rovinata. Quindi è un lavoro fatto per la prossima generazione, un lascito alla Storia”.
Boochani al momento si trova a Port Moresby, la capitale della Papua Nuova Guinea. Vi è stato trasferito dopo più di quattro anni di detenzione nell’isola di Manus. Ha ancora davanti a sé la scelta se fare richiesta di rimpatrio volontario in Iran o se chiedere lo stato di rifugiato in Papua Nuova Guinea. L’Australia non ha mai preso in considerazione di accoglierlo come rifugiato, così come accade per tutte le persone che provano a entrare nel paese per mare.