“A ogni vostro respiro, proprio in questo momento, le città più grandi del pianeta stanno affondando”. Se qualcuno può permettersi una apertura così, è perché in tasca ha la soluzione. Lei è Kotchakorn Voraakhom, l’architetta paesaggista che ha progettato un parco a Bangkok capace di gestire (assorbendo e in parte convogliando) quattro milioni di litri d’acqua.
Dal palco dei Ted Talk, un anno fa, Kotchakorn Voraakhom ci raccontava che quando era piccola l’unico spazio per giocare per lei e i suoi amici era un grande parcheggio di cemento davanti alla sua abitazione: le uniche forme di vita erano delle piantine verdi che si facevano strada tra le crepe del cemento, e il loro gioco preferito era quello di “scavare una buca sempre più grande attorno alla crepa per lasciare crescere queste piantine, farle uscire sempre di più.”
Sempre da quel palco ammoniva la platea spiegando che ogni anno i 15 milioni di abitanti di Bangkok, sua città natale, sprofondavano di più di un centimetro: nel 2030 si potrebbero trovare sotto al livello del mare. L’urbanizzazione di fatto ha significato, in tutto il mondo, e soprattutto a Bangkok (una delle città con meno spazi verdi pro capite di tutte le megalopoli asiatiche) la riduzione di territori permeabili, capaci di assorbire acqua (quelli tipici delle aree agricole e rurali) in favore del cemento.
I tailandesi, ci racconta, sono un popolo “anfibio”: adattatosi nel corso del tempo a vivere sulla terra e sull’acqua per via dell’alternarsi della stagione secca alla stagione delle piogge, e hanno sempre considerato le alluvioni un evento positivo: rendevano di nuovo fertile la terra. Ora sono un evento catastrofico: nel 2011 l’alluvione che ha colpito Bangkok ha provocato più di 800 morti , ed è stato proprio durante quell’evento catastrofico che Kotchakorn Voraakhom ha avvertito l’urgenza di aiutare il suo paese.
Avere un parco pubblico è normale per la maggior parte delle città. Non per Bangkok.
L’occasione si presenta con la vittoria del concorso per il Chulalongkorn Centenary Park: per celebrare il suo centesimo anniversario la prima università della Thailandia aveva deciso di donare alla città un parco pubblico. In quell’occasione, lo studio Landprocess (dove la Voraakhom lavora), aveva realizzato il primo dei suoi parchi “anfibi”, capaci di vivere con e gestire grandi quantità d’acqua (il parco è stato inaugurato nel 2017).
Quello che è importante, sostiene la Voraakhom in una recente intervista, è far passare il messaggio alle nuove generazioni che cambiare modo di costruire è possibile e che rimanere inerti e continuare a fare le cose sempre allo stesso modo non è la soluzione.
Nel compatto movimento contro i cambiamenti climatici e per la riduzione delle emissioni di CO2 c’è una voce fuori dal coro. È quella di Jonathan Franzen: in uno dei saggi raccolti ne “La fine della fine della terra”, intitolato “Scrivere saggi in tempi bui” spiega la sua posizione rispetto ai cambiamenti climatici. La terra è un malato terminale, ridurre le emissioni di CO2 è impossibile, non c’è nessuna guerra da vincere è già stata persa, tornare indietro non è più possibile, e altri pensieri ottimisti.
Eppure, è una forma di attivismo anche questa: trovare il modo di convivere con l’inevitabile caos che verrà, cercare di limitare i danni, non farci cogliere alla sprovvista quando il peggio busserà alla porta. Nel parco progettato da Kotchakorn Voraakhom un ornitologo ha trovato 30 specie diverse di uccelli a popolarli. Tutelare quello che di buono è rimasto, e dargli spazio.