Se l’arte e la letteratura hanno sempre rappresentato le grandi crisi che hanno attraversato la storia dell’umanità, dalle guerre alle epidemie ai grandi cambiamenti sociali, che posto trova il cambiamento climatico nel contesto della produzione culturale? Un minuscolo se non irrisorio spazio relegato nei confini del tecnicismo. È così che la pensa lo scrittore e giornalista indiano Amitav Gosh, intervenuto al Wired Next Fest di Milano per raccontare uno dei temi a lui più cari: il cambiamento climatico.
Il titolo del suo ultimo libro rappresenta già un manifesto del pensiero di Gosh: “La grande cecità“. Un buio culturale che segna l’incapacità della produzione artistica e letteraria di cogliere e accogliere in sé un problema caratterizzante la nostra epoca. Secondo lo scrittore indiano, l’incapacità di guardare davvero il mondo che ci circonda si è sviluppato negli ultimi quarant’anni. “In un certo senso le tecnologie digitali hanno enormemente accelerato questo processo. Se cammini per strada qua fuori o ugualmente per le strade di Calcutta, tutti fissano il telefono e non si guardano nemmeno attorno”.
Molti dei nostri desideri sono intimamente connessi con i combustibili fossili.
Un gesto comune e banale che l’intellettuale porta come esempio di qualcosa enormemente più grande. Qualcosa che ha a che fare con il modo in cui il capitalismo e la società dei consumi hanno alimentato una precisa narrazione attorno ai beni di consumo: “Molti dei nostri desideri, per esempio, sono intimamente connessi con i combustibili fossili. Se pensiamo alla libertà cosa ci viene in mente? Immaginiamo una macchina correre su un’autostrada per le terre sconfinate dell’America. Questo è quello che l’industria della pubblicità ci allena a pensare. Abbiamo altre immagini della libertà? No, non ce ne sono”.
In questo senso anche le parole che compongono il lessico “green” in un certo modo sono state falsificate e inserite all’interno del grande contenitore dell’economia capitalistica: “Sostenibilità, nel modo in cui ne parliamo oggi, è sostanzialmente il mascheramento di una sorta di green capitalism”. Gosh ammette che capire come si crei questo immaginario falsificato non è per niente semplice. Tuttavia, molte volte tali deformazioni sono così evidenti che è impossibile non vederne le contraddizioni: “Se vai in giro per l’India ad esempio, vedi questi cartelloni giganti in cui è scritto ‘Il primo ministro ha aperto più di cento aeroporti a energia solare’. Insomma in un aeroporto circolano gli aerei che bruciano un sacco di carburante, di quale sostenibilità stiamo parlando?”
Questo non è un problema che può essere risolto attraverso scelte individuali, ma attraverso politiche precise.
Lo scrittore ci tiene a sottolineare come la narrazione attorno al cambiamento climatico abbia notevolmente spostato l’attenzione sulle azioni che i singoli possono compiere all’interno del proprio ambiente domestico. Per quanto tali gesti nella loro totalità possano servire a qualcosa la vera rivoluzione può venire soltanto da una decisa azione politica: “Le persone che ci dicono che la sostenibilità può essere raggiunta cambiando per esempio le lampadine di casa o azioni simili, se loro davvero credono in questo, io penso che stiano provando a ingannarci. Questo non è un problema che può essere risolto attraverso scelte individuali, ma attraverso politiche precise”.
Lo scrittore indiano ribadisce questo concetto sottolineando come “il nostro sistema di governo abbia fallito, si è dimostrato insufficiente per fronteggiare il problema del cambiamento climatico”.
In questa grande oscurità che circonda la questione ambientale esiste qualcuno che secondo Gosh, invece, ha gli occhi ben aperti ed è riuscito a dare un vero inquadramento al problema: “Il miglior scritto che ho letto sul cambiamento climatico, e ne ho letti davvero tanti, è secondo me Laudato si’ di Papa Francesco. Lui ha affrontato la questione con grande urgenza, grande chiarezza di visione ed enorme umanità così come nessuno l’ha mai fatto”.