I monti del Koh-e Baba, la Valle di Bamiyan, i laghi blu cobalto di Band-e Amir. Questi sono solo alcuni dei posti che caratterizzano lo splendido paesaggio naturalistico dell’Afghanistan. Eppure, le immagini più diffuse di questo Paese, non sono le sue bellezze naturalistiche e storiche, ma immagini di guerra e di violenza. Portare l’attenzione sugli aspetti positivi, che siano le bellezze naturali o le iniziative umanitarie, permette di guardare all’Afghanistan sotto una nuova luce, una luce di speranza. Questo lo scopo della regista Carol Dysinger. Tramite il documentario Learning to Skateboard in a Warzone (If You’re a Girl), per cui ha vinto il premio Oscar lo scorso febbraio, la regista ha voluto portare l’attenzione su un aspetto positivo dell’Afghanistan, sulla voglia di rinascita di questo Paese.
Il documentario racconta di un progetto nato dieci anni fa: un’iniziativa chiamata Skateistan fondata dallo skateboarder australiano Oliver Percovitch. L’unicità del progetto, sottolinea la regista, è di “non voler necessariamente sradicare i ragazzi per dar loro un’altra vita in un altro Paese, ma fare in modo che si reintegrino nel loro sistema scolastico. Il piano è quello di far recuperare loro di gli anni persi, a causa della povertà o della guerra, nell’arco di un anno di tempo per poi continuare la loro istruzione nelle scuole pubbliche”.
Ma come sì può sottoporre a un insegnamento tanto intensivo senza rischiare di far perdere loro completamente l’interesse per lo studio? Grazie allo skateboard, per esempio. Per lo meno questo è stato l’espediente escogitato da Skateistan: in questo programma oltre a frequentare le lezioni i ragazzi imparano anche ad andare sullo skate. Imparare questa disciplina in parallelo alle lezioni scolastiche ha dato loro un obiettivo, ma soprattutto ha dato ai docenti la possibilità di insegnare il coraggio, il sentirsi padroni di sé stessi e liberi tramite uno sport.
Alla base del progetto, tuttavia, c’era soprattutto la voglia di creare uno strumento di emancipazione per le ragazze del Paese. In Afghanistan c’è un forte divario nei livelli di istruzione tra maschi e femmine. Secondo i dati del report pubblicato nel 2017 da Human Rights Watch, “in Afghanistan ci sono 3,5 milioni di bambini che non hanno un’istruzione e di questi l’85 per cento sono ragazze”. Skateistan ha l’obiettivo di far continuare a studiare le bambine, di dar loro coraggio insegnandogli uno sport, rendendole padrone di una disciplina.
In Afghanistan ci sono 3,5 milioni di bambini che non hanno un’istruzione e di questi l’85 per cento sono ragazze.
In Afghanistan infatti le donne non possono praticare sport in quanto sono considerate attività da uomini. Ma non lo skateboard, talmente nuovo che non ha avuto il tempo di essere etichettato con quest’insegna maschilista. Una novità in cui poter coinvolgere anche le ragazze. Un compito affatto facile in un Paese in cui le donne hanno difficoltà anche solo a girare per strada.
Skateisan tuttavia si è impegnato a rispettare tutte le usanze affinché anche le ragazze potessero frequentare il programma: i suoi promotori hanno creato delle piste accuratamente chiuse, così che non avessero sguardi indiscreti su di loro e potessero sentirsi libere e protette; hanno fatto in modo che venisse insegnato solo lo sport senza lasciar traccia della cultura occidentale ad esso associato. Inoltre le insegnanti dei gruppi femminili sono esclusivamente donne, e ci sono orari separati per ragazze e ragazzi. Tutti fattori da cui la regista non è stata esonerata: non ha potuto registrare all’aperto e si è dovuta scegliere una troupe rigorosamente femminile.
Al momento l’intera iniziativa (che in Afghanistan è portata avanti sia a Mazar-i-Sharif sia a Kabul, ma che con progetti satellite ha raggiunto anche la Cambodia e il Sud Africa) ha una frequenza femminile complessiva pari al 47,53 per cento mentre a Kabul è appena del 31 per cento.
Nel 2018, 93 ragazzi hanno preso il diploma in Afghanistan e l’anno dopo il 90 per cento di questi risultava frequentare regolarmente la scuola pubblica. Le percentuali sembrano promettere bene ma il numero totale di quelli che frequentano i corsi a Kabul è di 656 soggetti, per cui l’impatto sulla popolazione femminile è ancora troppo basso. Eppure vedere il coraggio e la libertà con cui le ragazze si muovono, in un posto in cui si sentono completamente al sicuro, fa capire l’incredibile impatto che questo progetto ha sulle vite di queste giovani donne.