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“Il sesso non è abbastanza”. Genere e salute mentale, tra natura e cultura


La letteratura scientifica ci dice che le malattie della mente e del cervello sono caratterizzate da numerose differenze di sesso e di genere, in termini di prevalenza, incidenza, sintomatologia, diagnosi e trattamento. La depressione, l’ansia, i disturbi del comportamento alimentare, l’Alzheimer, l’emicrania e alcuni tumori cerebrali, ad esempio, colpiscono soprattutto le donne. Dipendenze da sostanze, Parkinson e ictus sono invece predominanti negli uomini. Comprendere e caratterizzare le differenze tra i due sessi è quindi molto importante per fare diagnosi tempestive e valutare rischi e benefici di un trattamento o di un intervento. Per poterlo fare, tuttavia, è necessario avere a disposizione dei dati adeguati da interrogare.

“È un po’ difficile perché questo tipo di patologie sono spesso legate allo stigma: le persone sono portate a non far emergere questa loro condizione di disagio e non vengono quindi riconosciute”, spiega Eliana Ferroni, epidemiologa presso l’Azienda Zero della Regione Veneto e referente del Gruppo di lavoro dell’Associazione Italiana di Epidemiologia (Aie) sulla salute e la medicina di genere. A differenza di altre patologie e condizioni, infatti, chi soffre di una malattia psichiatrica o neurologica spesso non riesce a far sentire la propria voce, inibito dallo stigma e dal senso di solitudine e impotenza.

I disturbi psichiatrici non si distribuiscono in maniera uguale negli uomini e nelle donne.

“Prendiamo il caso di un paziente che ha una malattia tumorale. Ebbene riuscirà sicuramente, almeno nelle fasi iniziali, a difendere i propri bisogni e i propri diritti. Tant’è che in oncologia sono stati fatti tanti passi avanti sia in termini di sviluppo di nuove terapie che di cura e approccio olistico al paziente. Per quanto riguarda le malattie del cervello e della mente la situazione è diversa: un paziente con una depressione maggiore o uno stato psicotico riuscirà difficilmente a trovare l’energia per comunicare le proprie esigenze e battersi per esse”, spiega Antonella Santuccione, Ceo del Women’s Brain Project, Head of stakeholder engagement per la malattia di Alzheimers’ in Biogen e vicepresidente Euresearch. Assieme a Maria Teresa Ferretti, farmacologa della Medical University di Vienna e co-fondatrice del Women’s Brain Project, ha pubblicato di recente il libro Una bambina senza testa. Un libro autobiografico che ha proprio l’obiettivo, partendo sia dalle storie dei pazienti che da quella personale, di dare voce a chi non ce l’ha: “Cioè a quelle persone che a causa di una malattia non riescono a comunicare i propri bisogni e le proprie esigenze, a essere ambasciatori di loro stessi”.

Depressione e non solo: le differenze di genere in psichiatria

Secondo l’articolo Sex and gender: modifiers of health, disease, and medicine, la depressione mostra circa il doppio di prevalenza nelle donne rispetto agli uomini. Ma anche lo stress post-traumatico e i disturbi di panico sembrano verificarsi più spesso e con sintomi di esordio differenti. Le donne hanno poi maggiori probabilità degli uomini di ricercare un trattamento per la depressione e di presentarsi con iperfagia, aumento di peso, ipersonnia, ansia e una maggiore gravità della malattia.

Al contrario, quando gli uomini cercano un trattamento per la depressione hanno meno probabilità di ricevere una diagnosi, probabilmente perché tendono a presentare sintomi non inclusi tra i criteri del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (Dsm) per questo disturbo. Tra questi, ad esempio: irritabilità, aggressività, violenza, abuso di sostanze, disturbi somatici e altre manifestazioni che possono nascondere una sottostante depressione.


Esistono differenze di sesso e genere in termini di prevalenza e incidenza dei disturbi mentali? Cosa ci dice il sistema informativo per la salute mentale (SISM) sulla popolazione che usa i servizi? Cosa dovrebbe cambiare per avere dati migliori? Ce ne parlano Eliana Ferroni e Aldina Venerosi.

 

E la situazione in Italia? Anche i dati del Sistema Informativo per il monitoraggio e la tutela della Salute Mentale (Sism) del Ministero della Salute riscontrano differenze di sesso e genere nella prevalenza delle malattie psichiatriche e neurologiche. “I dati sono coerenti con la letteratura internazionale e con quello che viene raccolto da altri sistemi informativi dello stesso tipo”, spiega Aldina Venerosi del Centro di Riferimento per le Scienze comportamentali e la Salute mentale dell’Istituto Superiore di Sanità.
“I disturbi psichiatrici non si distribuiscono in maniera uguale negli uomini e nelle donne. In particolare, quelli più frequenti nelle donne rispetto agli uomini sono i disturbi cosiddetti affettivi – la depressione, la mania, i disturbi bipolari – così come quelli di origine organica, come per esempio le demenze. Mentre negli uomini si trova una maggiore frequenza dei disturbi del neurosviluppo (…), ma anche della schizofrenia e della psicosi, dei disturbi della personalità e delle dipendenze come l’alcolismo e le tossicomanie”.

I dati ci dicono poi che il sesso ha un effetto anche sul momento della vita in cui queste malattie emergono. Ad esempio, negli uomini la depressione tende ad accumularsi in maniera graduale mentre nelle donne l’incidenza subisce delle accelerazioni repentine in alcune fasi della vita. “C’è questo andamento crescente all’aumentare dell’età – sottolinea Venerosi – ma nelle donne questo andamento è costituito da salti importanti tra i 30 e i 50 anni. I disturbi della personalità e quelli schizofrenici, che hanno un esordio precoce intorno all’adolescenza e in età giovane adulta, sono invece più frequenti nei maschi”.

Le evidenze suggeriscono quindi di guardare alla malattia mentale in maniera differenziale per pianificare adeguati interventi di salute pubblica. “Abbiamo una disparità – continua Venerosi – quindi dobbiamo adottare degli strumenti, sia di prevenzione che di intervento, che tengano conto di queste differenze e non appiattiscano e uniformino i nostri interventi a promozione della salute mentale”.

Dentro il cervello maschile e femminile

Quali sono i fattori, in termini di struttura e funzione cerebrale, che possono spiegare queste differenze? Già nel XIX secolo, in seguito alla diffusione delle teorie darwiniane e alla nascita della psicologia sperimentale, diversi medici e ricercatori cominciano a porsi questa domanda e, in generale, a interrogarsi sul rapporto tra processi biologici e vita sociale. Specie nelle primissime fasi, tuttavia, questo tipo di ricerca si traduce spesso in una mera ricerca di elementi utili a difendere i privilegi degli uomini.

Nella seconda metà del secolo, ad esempio, l’antropologo e psicologo parigino Gustave Le Bon scopre – sulla base di misurazioni della scatola cranica – che il cervello degli uomini ha dimensioni mediamente maggiori di quello delle donne e conclude che questa differenza è tale da giustificare la disparità di ruolo tra i due sessi all’interno della società. Scrive così nel 1879: “Ci sono molte donne il cui cervello è più vicino, in termini di dimensioni, a quello di un gorilla piuttosto che a quello di uomo”.

Anche se altri pensatori contestano da subito questa posizione (“Un uomo alto e con un teschio ampio dovrebbe manifestare un’intelligenza superiore rispetto a uno con un corpo più piccolo, un elefante o una balena dovrebbero superare in intelligenza gli esseri umani”, farà notare il filosofo britannico John Stuart Mill) l’idea dell’esistenza di un cervello maschile e di uno femminile, biologicamente e stabilmente diversi tra loro, entra presto nell’immaginario comune.

Abbiamo una disparità, quindi dobbiamo adottare degli strumenti, sia di prevenzione che di intervento, che tengano conto di queste differenze.

Nei decenni successivi si assiste al moltiplicarsi di studi finalizzati a individuare e comprendere le differenze anatomiche e funzionali tra i cervelli dei due sessi. Ne emergono di tutti i tipi: dalla forma del cranio alle dimensioni del corpo calloso (struttura nervosa che mette in connessione i due emisferi), dal rapporto tra materia grigia e materia bianca ai pattern di attivazione cerebrale durante specifici compiti cognitivi riguardanti, ad esempio, il linguaggio, la rotazione mentale o il riconoscimento facciale. Per quanto riguarda l’origine di tali differenze, poi, si impone la cosiddetta Brain Organization Theory, secondo cui l’attività ormonale prenatale (es. esposizione a livelli più o meno alti di testosterone) non influenzerebbe solo lo sviluppo degli organi sessuali ma anche quello del cervello. Secondo questa teoria, sono proprio questi fattori biochimici, quindi, a determinare, sin dal concepimento, le diverse proprietà del cervello maschile e femminile e di conseguenza le caratteristiche psicologiche dell’uno e dell’altro sesso.

L’interesse nei confronti dei fattori ormonali cresce poi ulteriormente in seguito alla scoperta e la successiva definizione della sindrome premestruale. Portando avanti il lavoro del neurologo americano Robert Frank, infatti, l’endocrinologa inglese Katherina Dalton ipotizza che le manifestazioni che caratterizzano molte donne nei giorni precedenti le mestruazioni (es. umore negativo, irascibilità, declino della performance cognitiva) siano associate a un’elevata produzione di ormoni sessuali, come estradiolo e progesterone, nella fase successiva all’ovulazione.

Si conclude quindi che le donne potrebbero essere più vulnerabili ai disturbi dell’affettività a causa delle maggiori fluttuazioni di questi ormoni e le relative conseguenze in termini di processi cognitivi e comportamentali. Ulteriori conferme in questo senso arriveranno poi da altri studi che, nei decenni successivi, metteranno in evidenza l’importanza dell’interazione tra ormoni sessuali e neurotrasmettitori nell’ambito di svariati processi neurologici, dalla genesi delle sinapsi alla modulazione del dolore.

Ambienti diversi producono cervelli diversi

La ricerca delle basi neurologiche e fisiologiche sottostanti le differenze di genere non è però sufficiente a spiegare interamente i diversi output di salute mentale. Nello sviluppo psicologico di una persona, infatti, molto dipende dal contesto culturale, relazionale e sociale in cui questa nasce e cresce. Gli stimoli provenienti dall’ambiente sono in grado di modificare la struttura e il funzionamento del cervello e, di conseguenza, il fenotipo cognitivo-emotivo-comportamentale. Per dirla con le parole della neurobiologa e attivista femminista Gina Rippon, autrice del libro The Gendered Brain, quando si parla di differenze tra maschi e femmine “il sesso non è abbastanza”. “Quello che noi sappiamo è che non è solo l’assetto genomico o l’imprinting ormonale”, sottolinea Santuccione, “ma è anche tutto ciò che riguarda il genere, il nostro ruolo all’interno della società, che avrà un impatto sulla possibilità di ammalarsi, sul come questo potrà accadere e anche su come potremo guarire”.


Antonella Santuccione Chadha in questa intervista video ci racconta del ruolo di sesso e genere nelle malattie della mente e del cervello, dello stigma e del tempo della diagnosi, più lungo in queste malattie se paragonato ad altre branche della medicina.

 

Inoltre, secondo alcuni esperti come la stessa Gina Rippon o le psicologhe Cordelia Fine e Stephanie Shields, la ricerca sulle differenze neurobiologiche di genere soffrirebbe di un bias di conferma derivante dall’impronta maschilista della nostra società. Secondo questo punto di vista, ricercatori e ricercatrici sarebbero, più o meno inconsciamente, inclini a mettere in evidenza quelle differenze che supportano un’idea di complementarietà tra i due sessi: i maschi naturalmente portati per il potere, l’impegno pubblico e il ragionamento e le femmine naturalmente portate per la cura, l’impegno privato e l’empatia.

È anche tutto ciò che riguarda il genere, il nostro ruolo all’interno della società, che avrà un impatto sulla possibilità di ammalarsi.

Una visione, questa, che secondo Shields verrebbe implicitamente favorita perché “perfetta per mantenere le disuguaglianze”. Non a caso, qualche anno dopo le dichiarazioni di Gustave Le Bon sulle dimensioni del cervello femminile, l’allora presidente della British Medical Association, William Withers Moore, metteva già in guardia i suoi colleghi dai rischi associati a un’eccessiva educazione delle donne, la quale – diceva – avrebbe potuto influenzare negativamente le loro capacità riproduttive. James Chichon-Brown, a capo dell’allora Medico-Psychological Association britannica, arrivò persino a coniare l’etichetta anorexia scholastica per descrivere i rischi associati a un’eccessiva scolarizzazione delle donne, con sintomi quali nevroticismo, mania, sonnambulismo e perdita della moralità.

Una lente sui determinanti di salute mentale

Esistono quindi delle differenze sostanziali nel tipo di psicopatologia sperimentata dagli uomini e dalle donne. Differenze, queste, che dipendono sì da una diversa struttura e organizzazione cerebrale ma anche e soprattutto da elementi di tipo culturale, relazionale e sociale. Secondo Rosenfield e Smith, ad esempio, è soprattutto rilevante il fatto che le donne guadagnino meno, che abbiamo lavori in cui detengono meno potere e autonomia e che subiscano più spesso degli uomini un sovraccarico di lavoro e di richieste familiari.

Ma anche il fatto che le donne abbiano relazioni sociali più strette, che possono tradursi in un maggiore supporto ma anche in interazioni negative più frequenti, potrebbe avere un ruolo, così come la minore autostima e padronanza di sé o la maggiore dipendenza emotiva. Infine, l’incidenza più elevata di problemi di interiorizzazione potrebbe dipendere dalla tendenza delle donne a mettere spesso gli interessi degli altri al primo posto, a differenza degli uomini che tenderebbero a privilegiare il sé, favorendo invece problemi di esternalizzazione.

La discriminazione, la diseguaglianza e le disparità sono determinanti maggiori di disturbo mentale.

“Nella maggior parte delle società occidentali, ma anche in quelle non occidentali, la donna ha un ruolo primario nella cura dei propri cari (…). Sappiamo che, per quanto riguarda il ruolo del caregiver, vi è una predisposizione maggiore a sviluppare demenza senile nelle fasi tardive della vita, questo perché prendersi cura di qualcuno 24 ore su 24 comporta un isolamento sociale. Ed è noto che questo costituisce un fattore di rischio per lo sviluppo di una demenza nella fase più tardiva della vita”, spiega Santuccione.

“Ci sono tutta una serie di fattori specifici relativi al genere che fanno sì che le malattie possano manifestarsi e progredire in maniera diversa o addirittura rispondere alla terapia in maniera diversa”. La stessa pandemia di covid-19, pur avendo avuto effetti su tutti, ha messo alla prova in modo particolare le persone fragili – come le donne, i bambini e gli anziani – determinando, ad esempio, un’esplosione di depressione e ansia nella popolazione femminile.

Il genere, ovvero il modo in cui il sesso è visto all’interno di una società, è quindi un determinante di salute e di malattia mentale e condiziona la prevalenza, l’espressione sintomatologica, il decorso di malattia, le modalità di espressione della ricerca di aiuto, la risposta al trattamento. E non solo il genere: il reddito familiare, il basso livello educativo, lo svantaggio materiale, la disoccupazione e l’isolamento sociale sono tutti aspetti che possono favorire l’insorgenza di una sofferenza psicopatologica.

“La discriminazione, la diseguaglianza e le disparità sono determinanti maggiori di disturbo mentale”, si legge nell’articolo Verso una psichiatria di genere, a firma di Niolu C, Lisi G, Bianciardi E, Siracusano A, pubblicato su Noos. “La diseguaglianza di genere si esprime socialmente in termini di povertà, discriminazione, mancanza di potere, accesso limitato alle risorse, mancanza di scelta, preferenza di genere del nascituro e violenza”. Ragionare in maniera esclusiva in termini di geni e ormoni, quindi, potrebbe non bastare: i dati dovrebbero sempre tenere conto del genere, dei fattori sociali e delle caratteristiche fisiche, comportamentali e psicologiche.

 

Questo articolo fa parte di una serie dal titolo “Mind the GAP. Che genere di Salute Mentale?”, un progetto di Think2it realizzato con il supporto di