L’accesso a servizi di salute mentale di qualità può essere già di per sé una sfida impegnativa, ma non è l’unica: durante il trattamento i pazienti spesso sono costretti ad affrontare un periodo di incertezza non privo di rischi e frustrazioni mentre i clinici cercano di selezionare i farmaci più adatti ed efficaci. Poter prevedere il rischio di un paziente di sviluppare una patologia psichiatrica e capire con una procedura meno empirica come trattare al meglio le malattie mentali migliorerebbe in modo molto significativo l’esperienza di trattamento e gli esiti clinici di milioni di persone che vivono con un disturbo mentale. In quest’ottica, la medicina di precisione (PM) è sempre più riconosciuta come un approccio promettente.
In campi specifici come l’oncologia e l’ematologia ha già iniziato a essere implementata in ambito clinico e i test molecolari sono abitualmente utilizzati per selezionare trattamenti con maggiore efficacia e ridotti effetti avversi. L’applicazione della medicina di precisione in psichiatria è tuttavia ancora agli inizi: anche se paradossalmente la psichiatria è – forse più che altre branche della medicina – profondamente radicata in un approccio personalizzato, questa transizione è ancora in ritardo rispetto ad altri campi. Lo sviluppo di una psichiatria di precisione è particolarmente impegnativo perché ogni diagnosi psichiatrica comprende fattori molto eterogenei caratterizzati da cambiamenti estremamente complessi e variabili nel cervello, causati da un gran numero di fattori genetici e ambientali.
“Nella sfera che riguarda psichiatria e malattie della salute mentale come la depressione o la schizofrenia ancora siamo molto lontani dall’avere una medicina di precisione che dia il trattamento giusto, al paziente giusto, al momento giusto, al contrario di quello che avviene in altri campi come l’oncologia”, conferma a Senti chi parla Maria Teresa Ferretti, neuroimmunologa, cofondatrice e Chief Scientific officer del Women’s Brain Project e coautrice del volume ‘Una bambina senza testa’ (Edizioni MondoNuovo 2021). “Al momento non abbiamo biomarcatori che ci permettano di individuare il tipo e il sottotipo di malattia che ha uno specifico paziente e quindi il trattamento più indicato. Se arrivassimo a quello stesso livello di precisione che abbiamo in oncologia al livello molecolare, se avessimo abbastanza biomarcatori, questo farebbe una straordinaria differenza”.
“Uno dei motivi per cui non abbiamo questi biomarcatori deriva dal fatto che tendiamo a studiare gruppi di pazienti estremamente eterogenei”, ci spiega invece Andrea Fagiolini professore di psichiatria e direttore del Dipartimento assistenziale integrato di salute mentale e organi di senso dell’Università di Siena e Azienda ospedaliera universitaria senese. “Quindi noi, per esempio, cerchiamo un marcatore per la depressione e mettiamo insieme pazienti che non dormono con pazienti che dormono tutto il giorno, pazienti che non mangiano, pazienti che mangiano più di prima, pazienti con agitazione psicomotoria, pazienti con ritardo psicomotorio e via dicendo e poi pensiamo di poter cercare delle caratteristiche intrinseche alla malattia. Ma questi sono campioni troppo eterogenei”.
Non aver trovato biomarcatori, tuttavia, non vuol dire che non ci siano, sottolinea Fagiolini, secondo il quale, una volta individuati e una volta aperta la strada alla psichiatria di precisione questa porterà con sé delle opportunità enormi per il trattamento mirato dei pazienti.
Quali sono le opportunità rappresentate dalla psichiatria di precisione? Ce lo spiega Andrea Fagiolini professore di psichiatria e direttore del Dipartimento assistenziale integrato di salute mentale e organi di senso dell’Università di Siena e Azienda ospedaliera universitaria senese.
A che punto siamo?
La ricerca di biomarcatori è dunque il campo più importante in cui si stanno muovendo istituzioni e università per ampliare il ventaglio di possibilità a nostra disposizione. Presso l’Atlanta VA Medical Center and the Emory University i ricercatori mirano a realizzare il potenziale della medicina di precisione per il trattamento della depressione. Utilizzando sia un approccio Proteome Wide Association Study (PWAS) che uno Genome-Wide Association Study (GWAS), il team ha identificato 19 geni che possono portare alla depressione alterando i livelli di proteine del cervello. I ricercatori hanno anche individuato 25 di queste proteine che offrono promesse come potenziali target per nuovi trattamenti. Il gruppo ha determinato che 19 geni contribuiscono allo sviluppo della depressione. Le fluttuazioni delle proteine cerebrali rilevate combinando GWAS e dati proteomici del cervello umano sono probabilmente tra i primi cambiamenti biologici nella depressione e possono predisporre alla condizione.
“Siamo davvero entusiasti di continuare a lavorare su questi obiettivi promettenti nel nostro laboratorio, ma avvertiamo che la strada che porta a nuovi farmaci è lunga e difficile”, ha affermato Thomas Wingo, primo autore dello studio. “Siamo incoraggiati dal fatto che questi risultati potrebbero anche rivelarsi utili come biomarcatori per i sintomi depressivi. Un biomarcatore efficace, come l’emoglobina A1C per il diabete, potrebbe certamente aiutarci nella diagnosi e la gestione della depressione”.
I biomarker ematici stanno emergendo come strumenti importanti nei disturbi in cui l’autovalutazione soggettiva o di un operatore sanitario non sono sempre affidabili.
All’Indiana University School of Medicine invece è stato messo a punto un test ematico a biomarcatori di RNA in grado di guidare i clinici nella prescrizione dei giusti farmaci in pazienti con disturbi dell’umore. Il test può anche distinguere quanto sia grave la depressione di un paziente, il rischio di una grave depressione futura e il rischio di una futura malattia maniaco-depressiva. “Attraverso questo lavoro, volevamo sviluppare esami del sangue specifici per la depressione e per il disturbo bipolare, per distinguere tra i due e per avviare i pazienti ai trattamenti adatti”, spiega Alexander B. Niculescu, autore principale dello studio. “I biomarker ematici stanno emergendo come strumenti importanti nei disturbi in cui l’autovalutazione soggettiva o di un operatore sanitario non sono sempre affidabili. Questi esami del sangue possono aprire la porta a un abbinamento preciso e personalizzato con i farmaci e al monitoraggio oggettivo della risposta al trattamento”.
A che punto siamo nel processo di sviluppo di una psichiatria di precisione e quali sono le sfide per il futuro? Lo psichiatra riuscirà a gestire una pratica clinica così complessa da solo o avrà bisogno di un team multidisciplinare? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Serretti, professore associato di psichiatria – Alma Mater Studiorum Università di Bologna, che ha evidenziato anche come esista un gap di genere da colmare per implementare una vera psichiatria di precisione.
Nonostante le difficoltà peculiari del trattamento psichiatrico, esistono già esempi di modelli predittivi basati su dati clinici o combinazioni di dati clinici, neuroimaging e biologici. Un gruppo di ricercatori dell’Università di Cagliari coordinato da Alessio Squassina del Dipartimento di scienze biomediche sulla rivista Pharmacogenomics and Personalized Medicine ha recentemente dato conto dei diversi tentativi, in parte riusciti, di implementare modelli predittivi di esiti specifici (ad esempio la risposta al trattamento) basati esclusivamente su dati clinici. Questi studi si sono concentrati principalmente su tre fronti: 1) la risposta al litio, il cardine del trattamento del disturbo bipolare; 2) la previsione della resistenza agli antidepressivi nel disturbo depressivo maggiore; 3) la stratificazione del rischio e previsione dell’esito nella schizofrenia.
È importante sottolineare che i modelli con le migliori prestazioni sembrano essere quelli corredati da dati provenienti da neuroimaging, marker genetici e clinici. Inoltre, le variabili socio-demografiche, come lo stato occupazionale, il livello di istruzione e il reddito familiare, hanno contribuito in modo significativo alle prestazioni dei modelli predittivi. Questa evidenza mostra l’importanza di includere più fonti di dati per aumentare l’accuratezza dei modelli predittivi.
Precisione vuol dire anche sesso e genere
Tra le variabili cui abbiamo appena accennato ci sono, sembrerebbe scontato dirlo ma non lo è, anche sesso e genere. Come abbiamo visto nei precedenti articoli di questa serie (qui e qui), differenze di sesso e genere sono fondamentali anche quando si parla di salute mentale: sono un fattore rilevante nella depresssione, nella sperimentazione del dolore, ma anche in malattie neurologiche come la malattia di Alzheimer. Non a caso, nel 2016 la Casa Bianca e i National Institutes of Health hanno lanciato la Precision medicine Initiative proprio con questo principio in mente, rimodulando il framework di definizione della medicina di precisione includendo sesso e genere tra i fattori da prendere in considerazione.
“Salute mentale, medicina di precisione e medicina di genere sembrano in realtà tre discorsi completamente diversi e invece sono strettamente legati”, conferma Maria Teresa Ferretti. “Quando parliamo di caratteristiche specifiche del paziente che ci servono a indirizzare, a ritagliare il trattamento sul paziente, le caratteristiche di sesso e genere sono fondamentali. E gli psichiatri conoscono molto bene le differenze tra uomini e donne perché in psichiatria queste differenze sono note da tanti anni e sono sotto gli occhi di tutti in termini di numeri: le donne sono più colpite da malattie come la depressione e l’ansia per esempio, mentre altre malattie come la schizofrenia o lo spettro dell’autismo sono più comuni negli uomini. Quindi che esistano queste differenze è ben noto in psichiatria al contrario di altre discipline, cosa farne di queste differenze è ancora invece un po’ un punto interrogativo”.
Salute mentale, medicina di precisione e medicina di genere sembrano in realtà tre discorsi completamente diversi e invece sono strettamente legati.
Un punto interrogativo a cui il Women’s Brain Project cerca di dare una risposta. “Il nostro scopo è proprio quello di studiare queste differenze fra uomini e donne, quindi di sesso e genere come apriporta, come una specie di ariete per introdurre in neurologia e in psichiatria il concetto di medicina di precisione. Se questa è la medicina che vuole dare il trattamento giusto, al paziente giusto, al momento giusto, considerando i bisogni e le caratteristiche individuali di ogni paziente, infatti, il sesso e il genere sono tra le caratteristiche basilari, fondamentali che caratterizzano una persona”.
Cos’è il Women’s Brain Project e perché è importante partire dalla medicina di genere per aprire la strada alla medicina di precisione in psichiatria? Il racconto di Maria Teresa Ferretti, neuroimmunologa, cofondatrice e Chief Scientific officer del Women’s Brain Project e coautrice del volume ‘Una bambina senza testa’.
Un aiuto da AI e Big Data
Per rendere applicabile il paradigma della medicina precisione nella pratica clinica quotidiana sono poi necessari strumenti utilizzabili con una certa facilità. Un team di ricercatori coordinati da Giampaolo Perna, responsabile del Centro per i disturbi d’ansia e di panico dell’Humanitas di Rozzano (Milano) edDirettore del Dipartimento di Neuroscienze cliniche delle Suore Ospedaliere ad Albese con Cassano (Como), ha preso in esame sulla rivista Psychological Medicine i più recenti progressi tecnologici che potrebbero consentire questa applicazione. Secondo i ricercatori, tra queste vi sono sicuramente quelle tecnologie che consentono la raccolta di big data in tempo reale, ovvero cartelle cliniche elettroniche e dispositivi indossabili intelligenti.
Del resto il futuro della medicina è strettamente legato a machine learning e big data, e la psichiatria, anche quella di precisione non fa eccezione. Anzi, potrebbe essere un ambito in cui questi nuovi strumenti potrebbero rivelarsi rivoluzionari. È di questa idea Roger McIntyre, docente di psichiatria e farmacologia presso l’Università di Toronto, nonché direttore esecutivo della Brain and Cognition Discovery Foundation (BCDF). “La malattia mentale ha un alto grado di complessità e a causa di questa complessità e delle dinamiche interconnesse tra biologia e ambiente, ma anche dei diversi livelli della biologia coinvolti dalla genetica al connettoma del cervello, è impossibile oggi personalizzare la medicina se non analizziamo e comprendiamo tutti questi dati e fattori. E questo è troppo complesso per il nostro cervello, tecnologie e sistemi di machine learning invece possono integrare analizzare e sintetizzare i dati in un modo che noi possiamo arrivare a comprendere”, spiega a Senti chi parla.
In effetti nella patogenesi della malattia mentale entrano in gioco fattori estremamente eterogenei e, secondo McIntyre per capire la malattia è necessario analizzare enormi quantità di dati non solo biologici, genetici, o dati provenienti da esami imaging, ma anche fattori socioeconomici – come luogo residenza, educazione, reddito, alimentazione, razzismo, discriminazione- e personali, come traumi infantili, integrazione sociale, sonno, esercizio fisico. “Tutti questi fattori influenzano il tuo rischio o la tua resilienza alla malattia mentale, quindi abbiamo bisogno di modelli computazionali in grado di analizzare tutti questi dati”, sottolinea il medico canadese.
Tuttavia applicare AI e machine learning alla medicina e alla psichiatria è molto più complesso di quanto possiamo immaginare: bisogna individuare chiaramente le variabili su cui basare algoritmi e programmi, poi individuare queste variabili su campioni omogenei come spiega anche Fagiolini: “Nel mondo siamo sette miliardi non è possibile andare a fare un trattamento per sette miliardi di persone, noi abbiamo estremo bisogno di trattamenti standardizzati e basati sulle evidenze, però abbiamo bisogno di identificare dei sottogruppi, questo è possibile farlo. (…) Identificando dei sottotipi, studiandoli e valutando le caratteristiche con campioni omogenei si può portare avanti anche la nostra disciplina così come stanno andando avanti l’oncologia, l’ematologia, la neurologia esattamente su questa strada”.
Un altro rischio comune quando si tratta di applicare le tecnologie di machine learning alla medicina è quello di perpetuare i bias di sesso, genere, età e minoranze etniche oggi esistenti nella ricerca clinica e farmacologica basata su campioni poco rappresentativi della popolazione umana. Servono dunque campioni per l’individuazione delle variabili e per il training degli algoritmi che oltre a essere omogenei fra loro siano anche stratificati per queste variabili. Non tenere conto di queste differenze porterebbe risultati subottimale e produrrebbe errori e risultati che aumentano le discriminazioni. Al contrario integrandole si potrebbero invece disegnare tecnologie con il potenziale di mitigare le ineguaglianze. E non solo quelle di sesso e genere.
Quali sfide per il futuro della psichiatria di precisione?
Ci sono grandi aspettative per l’attuazione di successo della psichiatria di precisione. Tuttavia, una serie di ostacoli potrebbe ritardare o addirittura impedire questo cambio di paradigma. Il primo, principale di cui abbiamo già parlato, è proprio quello della mancanza di biomarcatori, che tra tutti sembra essere il più semplice da superare. Non si può poi trascurare l’eventuale ricaduta di una mancanza di efficacia in termini di rapporto costi/benefici. Inoltre, dato che la psichiatria di precisione è fortemente correlata all’analisi di enormi set di dati (fenotipici, neuroimaging o biologici), i problemi di riservatezza e privacy stanno diventando sempre più rilevanti. In questo contesto, è fondamentale sviluppare un quadro etico-giuridico appropriato, che faciliti la condivisione sicura dei dati. È indispensabile un ruolo attivo del paziente per l’accesso agli strumenti psichiatrici di precisione (strumenti di monitoraggio elettronico, neuroimaging, genotipizzazione, test di laboratorio in genere).
Bisognerebbe invece cominciare a entrare nell’ordine di idee che il cervello è un organo come tutti gli altri che si può rompere e così come si può rompere un braccio o si può avere un problema al cuore.
Sebbene ciò sia facilmente ottenibile nei disturbi psichiatrici meno gravi (disturbi d’ansia, disturbo depressivo persistente), i pazienti con depressione grave e che presentano ritiro sociale e/o comportamento disorganizzato, come nella schizofrenia, potrebbero autoescludersi dalla psichiatria di precisione. Questo dovrebbe essere preso in considerazione nell’organizzazione dei futuri servizi di salute mentale quando sarà implementata la psichiatria di precisione.
Altri ostacoli sono la mancanza di un’adeguata conoscenza degli strumenti della medicina di precisione, inclusa la farmacogenetica/farmacogenomica, nei clinici e negli operatori della salute mentale, e la compliance verso gli strumenti della medicina di precisione. È stato proposto che per realizzare la traduzione dei concetti e degli strumenti della medicina di precisione nell’assistenza clinica, dovrebbero essere implementati pacchetti di formazione specifici a livello universitario e universitario.
Vi è tuttavia un ostacolo forse più grande di tutti che sta molto a cuore a Maria Teresa Ferretti: “È il fatto che si tende ancora a pensare che il cervello sia un’altra cosa, che non si possa paragonare la malattia mentale ad altre malattie, per esempio a un tumore. Bisognerebbe invece cominciare a entrare nell’ordine di idee che il cervello è un organo come tutti gli altri che si può rompere e così come si può rompere un braccio o si può avere un problema al cuore. Prima riusciremo a togliere lo stigma per cui la malattia mentale è un’altra cosa, non se ne parla con la stessa libertà con cui si parla di diabete o pressione alta”, conclude la cofondatrice del Women’s Brain Project, “prima riusciremo a entrare nell’ordine di idee che il cervello è un organo come gli altri e dobbiamo avere lo stesso approccio, prima riusciremo a spingere questo discorso di medicina di precisione, quindi la ricerca di biomarcatori, lo studio dei sottogruppi di pazienti, la diagnosi molecolare, e infine il trattamento più possibile personalizzato”.
Questo articolo fa parte di una serie dal titolo “Mind the GAP. Che genere di Salute Mentale?”, un progetto di Think2it realizzato con il supporto di