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Photo by Simon Malz / CC BY-SA

La salute dell’editoria, tra cialtroni e soldi spicci


“Si scrive anche per mettere in salvo ricordi”, avverte Emmanuel Carrère in “Yoga”. Dev’essere il senso dei due piccoli libri pubblicati dalla casa editrice di Carrère a inizio dell’estate e scritti dall’editore stesso, Roberto Calasso, prima di morire nella notte tra il 28 e il 29 luglio 2021.

Ma questa estate è stata arricchita da un’altra uscita tipicamente adelphiana, quella del libro di Matteo Codignola, traduttore e editor della stessa casa editrice nonché parente dell’editore, dal momento che Calasso era nipote di Ernesto Codignola tra i primissimi direttori de La Nuova Italia. In “Cose da fare a Francoforte quando sei morto ci sono un sacco di chicche, fa notare Guia Soncini: “La spiegazione del perché in editoria siano perlopiù cialtroni (i best and brightest, dice Codignola – che perciò verrebbe insultato su Twitter dagli offesi in-quanto-laureati-del-Dams, se solo quelli che stanno su Twitter leggessero libri – i best and brightest mica fanno roba tipo Lettere: fanno Medicina, Fisica Teorica, roba seria)”. Sospetto che per Soncini le “chicche” siano gli aneddoti su accenti gravi o acuti, sulle biscioline che segnalano frasi sconnesse, sui dubbi dei redattori o sulle fissazioni dei consulenti. Ma sì, tutto molto divertente. E in fin dei conti deprimente.

Spero che almeno via fax / ritorni Carlo Marx.

Almeno la metà del libro di Codignola – “impeccabile” per Soncini – avrebbe dovuto intitolarsi “Cose da fare andando a Francoforte”. Letteratura di viaggio, del sottogenere firmato dagli editori che raccontano i propri spostamenti verso le fiere. E, se un uomo è vivo quando cerca, non c’è posto migliore per cercare della Frankfurt Bookfair. Ma un editore non viaggia solo verso Francoforte, dunque, perché in Italia la fiera per antonomasia – il Salone – è a Torino, “città che invita al rigore, alla linearità, allo stile”, sosteneva Italo Calvino. Che prudentemente aggiungeva: “Invita alla logica, e attraverso la logica apre alla follia”. Tipo quella “spiegata bene” da Francesco Piccolo nella guida pubblicata da Il Post: “Decidemmo di prendere uno stand al Salone del libro, ma poiché dei fogli di carta A4 spillati ci sembravano troppo poco come materiale da esporre allo stand, facemmo fare due poster con delle scritte con i caratteri che usavamo. Una era un haiku di Vito Riviello che recitava: «spero che almeno via fax / ritorni Carlo Marx». Soltanto che questi due poster li facemmo stampare su una carta lucida così pesante che portarne cento in braccio era impossibile. E quando caricammo la macchina, la parte posteriore si abbassò fino quasi a terra. Ed era una macchina pazzesca, che mio padre aveva appena comprato usata perché la voleva da anni, era una Renault Espace, una specie di van, lui diceva che ci serviva, ma non abbiamo mai capito a cosa servisse fino a quando gli chiesi se poteva prestarmela per andare al Salone di Torino. […] E la mattina dopo prendemmo la Renault Espace per andare al Salone del libro. Ma non avevamo nessuna idea di dove fosse il Salone, non avevamo una cartina, chiedevamo alle persone dove fosse. E a un certo punto ci dissero che dovevamo percorrere un lungo viale – a Torino, qualsiasi informazione chiedi, ti dicono che devi percorrere un lungo viale. Poi ci diedero altre indicazioni. E noi, finalmente sicuri di aver preso la strada giusta, cominciammo a percorrere il lungo viale a una certa velocità. Ma a un certo punto avemmo il sospetto che stessimo andando via dalla città, e poi vedemmo dall’altra parte della strada l’indicazione per la Fiera: era nella direzione opposta”. Il racconto prosegue tra inversioni-a-u sui viali della città, interrogatori da parte di agenti della Digos e incontri fortunati con scrittori già famosi. Poster andati a ruba e “al ritorno la Renault Espace era più alta”.

Libri e automobili – e Torino – anche nel racconto di Christian Raimo, affidato ad un torrenziale post su Facebook. “La prima volta che sono andato al salone di Torino sarà stato vent’anni fa, i ricordi che ho mi si spalmano incrociando gli anni” [… ] Un’altra volta per tornare a casa di uno scrittore che aveva deciso di provare la fortuna a Torino dormendo su un materasso in una sorta di comune lesbica di militanti di Askatasuna presi il passaggio da alcuni ragazzi della Torino bene che mi dovevano per forza fare a gara con le Cinquecento scappottate sulle colline torinesi – «visto che non l’avevo mai fatto». Se non ricordo male, una volta per tornare da Torino e risparmiare sulla benzina, facemmo una macchinata anche con Nicola Lagioia, sicuramente guidava lui con una Tipo bianca che ci avrebbe lasciato definitivamente qualche minuto dopo essere rientrati a Roma, in genere era bravo anche a organizzare i viaggi, persino la distribuzione dei posti e la scelta degli autogrill dove era conveniente sostare per un’equa distribuzione di riposo e movimento – non l’avrà messo nel curriculum, ma chi l’ha scelto ha fatto strabene a capire che se c’è una persona capace di organizzare bene qualunque cosa in Italia è lui.” Da questi racconti, oltre che un eccellente organizzatore Lagioia sembra svolgere anche il ruolo di un animatore alle feste dei ragazzini e potrebbe essere la ricetta per conservare il divertimento delle fiere anche se la preoccupazione del contagio dovesse proseguire: “L’editoria è un gioco e fino a quando durerà – diceva Calasso – sono sicuro che ci sarà sempre qualcuno pronto a giocarlo con passione”.

Una volta a Torino sono caduto nel Po.

Organizzazione e imprevedibilità, ecco gli estremi che definiscono spazi, persone e dinamiche degli editori in fiera. “Una volta, alla festa di minimum fax, sono caduto nel Po”, confessa Raimo: “camminavo sulla riva del marciapiede che costeggia il fiume e ho messo il piede in fallo, e mi sono salvato per miracolo attaccandomi a un remo che mi avevo porto una scrittrice ubriaca che alla fine si era resa conto che poteva salvare la vita a qualcuno e per l’evidente presenza di un angelo custode che ha voluto almeno lasciarmi con il vestito di lino a sgocciolare tutta la notte, impaurito di me stesso.” Più difficile cadere nel Meno, il fiume che attraversa Francoforte: il vino costa molto, in Germania, e prima di ubriacarsi di birra ce ne vuole.

Ma è possibile che le persone che abitano il mondo dei libri guardino con insistente nostalgia ad un mondo post adolescenziale così scombinato? Pronto a cambiare idea, ma ho il sospetto che l’editoria sia popolata da inguaribili nostalgici. Gente che non solo casca nel Po mezza alticcia ma – racconta Codignola – guarda con sospetto le carte di credito e affronta soggiorni di una settimana in una delle città più costose d’Europa portando in tasca solo mazzette di banconote. O che potrebbe rimpiangere il fax, attrezzo di fronte al quale si aspettavano i messaggi “in piedi davanti alla macchina, quasi curvi, nella postura dei pentiti della Rivoluzione Culturale, o degli adoratori di feticci sanguinari.”

E se ti capita tra capo e collo una pandemia che costringe a chiudere le librerie e a tenere a cosa milioni di persone, finisci con l’essere preda “dell’incapacità di pensare o fare qualcosa che non abbia la forma di un libro” e fai nascere la collana Microgrammi, piccoli libri nati da testi conservati – ma non dimenticati – nei cassetti della casa editrice. Sembra un’innovazione. Sembra: “Quello che ci attrae, di questa idea, – ha spiegato Codignola a Rivista Studio – è che riporta l’editoria – almeno, quella che cerchiamo di fare noi – alla sua fase iniziale, che ha il carattere piuttosto emozionante di un esperimento.” Le poche pagine dei Microgrammi sembrano fatte apposta per costruire solo una serie di ebook e qui la prudenza sembra incrinarsi: “Personalmente non ho mai avuto nulla contro l’ebook, anzi”, dice Codignola. “Detesto il culto del cartaceo in sé e per sé, e a parte questo trovo che l’ebook svolga alcune funzioni cruciali. A chi fa il mio mestiere, ad esempio, consente di non vivere fra pacchi di stampate bisunte, in un inferno di fogli spesso non numerati enormemente ansiogeno. A tutti gli altri, permette volendo di far entrare in casa solo libri decenti, o addirittura belli. Fa bene alla decorazione d’interni, alla testa, e anche alla vita di relazione. Vuoi mettere invitare a cena una signorina, o un signorino, senza più preoccuparti di far sparire le porcherie che prima inevitabilmente tenevi in giro, o di giustificare in un modo o nell’altro il loro acquisto?”

Eccoci qua: il libro – anzi la sua copertina – come esca per rimorchiare.

Nel frattempo il mondo cammina e l’editoria internazionale procede ad un passo rapidissimo verso una rivoluzione tecnologica. Ho il sospetto che in Italia l’andatura sia un’altra. Forse proprio quella dettata da Roberto Calasso: “Rimane ancora la possibilità di una vita che incameri in sé il regno informatico come una potenza da applicare quando serva. O altrimenti si può provare a sottrarsi al suo imperio.”

Questo è il primo di una serie di post che aiuteranno l’autore a capire dove sta andando l’editoria: non tanto quella italiana, ma quella internazionale. E soprattutto quella scientifica.