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L’influencer va alla guerra (per i vaccini)


Prima o poi sarebbe dovuto succedere… L’amministrazione Biden per risollevare le sorti della campagna vaccinale ha deciso di collaborare con le star di TikTok e degli altri social, mentre alcuni Stati americani reclutano micro-influencer locali per la propaganda pro-vaccini.

Insomma rimproverare, blandire, minacciare, fare pressione sulle persone per costringerle a fare cose che non vogliono fare non si sta rivelando la strategia vincente per arrivare alla copertura vaccinale necessaria a contrastare il coronavirus. Una parte cospicua della popolazione americana è allergica agli ordini e restia a farsi sedurre dai messaggi dell’autorità, e bisogna correre ai ripari.

Nell’ultimo anno le persone non vaccinate negli Stati Uniti sono state raggiunte da un assalto informativo-propagandistico pro-vaccini senza precedenti da parte dei media ma i risultati di questo accerchiamento sono stati al di sotto delle aspettative. Circa il 70 per cento degli adulti ha ricevuto almeno una dose di vaccino, ma meno del 50 per cento della popolazione degli Stati Uniti è completamente vaccinata. E il 99 per cento dei decessi del mese di luglio per covid-19 ha riguardato proprio i non vaccinati… Dati per altro simili a quelli che ha rilasciato alla fine di luglio il nostro Istituto superiore di sanità secondo i quali il 98,8 per cento delle persone morte di covid-19 in Italia era non vaccinato o aveva ricevuto una sola dose.

È probabile che, negli Stati Uniti come in altri paesi, Italia inclusa, i messaggi spesso contrastanti inviati dal Governo e da chi si occupa di salute pubblica abbiano avuto il loro ruolo nel rafforzare lo scetticismo verso i vaccini, ma è un fatto che gli americani sono ancora per natura piuttosto individualisti e non guardano con particolare favore a quello che fanno tutti gli altri.

Che fare quindi? La Casa Bianca di fronte al dilemma di politica sanitaria, di comunicazione, ma anche etico ha risposto come si risponde in tempi disperati, cioè facendo leva su un mix di strumenti la cui ratio si può sintetizzare un po’ brutalmente così: se ricevi in cambio un po’ di soldi o è un ragazzino che balla o ti consiglia come truccarti che cerca di convincerti, è più probabile che tu riesca cambiare opinione.

Io ti pago e tu ti vaccini, io ti pago e tu fai vaccinare

Su questo tenue presupposto ha preso il via il nuovo corso delle politiche per aumentare i tassi di vaccinazione che al momento destano parecchia preoccupazione. Biden ha chiesto agli Stati e ai governi locali di offrire 100 dollari agli americani disposti a vaccinarsi. I soldi vengono direttamente dai 350 miliardi di dollari del fondo di soccorso, quindi per il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti il problema delle coperture è già risolto.

“I programmi che forniscono incentivi per aumentare il numero atteso di persone che scelgono di vaccinarsi, o che motivano le persone a farsi vaccinare prima di quanto altrimenti farebbero, rappresentano un utilizzo consentito dei fondi, a condizione che tali costi siano ragionevolmente proporzionali al beneficio atteso per la salute pubblica”.

E anche se dichiarazioni come quella qui sopra restano un po’ imbarazzanti per la loro indeterminatezza, i primi risultati non si sono fatti aspettare. Nel New Mexico, che tra i primi ha adottato il piano di incentivi in denaro, l’iniziativa è stata un successo. Johnson & Johnson ha visto quadruplicato il numero dei vaccinati e con oltre 20.000 persone coinvolte coinvolte.

Neanche il settore privato si è sottratto alla logica dei premi. Walmart offre un bonus di 150 dollari, più due ore di paga, con la promessa di un massimo di tre giorni di ferie pagate nel caso in cui dovessero verificarsi eventi avversi del vaccino.

Se poi i soldi da soli non dovessero funzionare, il governo ha deciso di puntare forte sugli influencer di TikTok (e degli altri social più popolari), giovani e attraenti paladini di una generazione di narcisisti cronici ai quali è rivolta in particolare la campagna. Un esercito di star del social cinese che spopola tra i bambini e i ragazzi in tutto il mondo, è pronto a discutere di fiducia nei vaccini anti-covid e a dare conforto agli indecisi sulle questioni più controverse, il tutto in cambio di incentivi economici.

Stando al New Tork Times pare che siano circa 50 gli streamer di Twitch, gli YouTuber e i TikToker – tra i quali la famosa cantante diciottenne Olivia Rodrigo, che anche ha fatto visita alla Casa Bianca e la studentessa delle superiori Ellie Zeiler, una TikToker di 17 anni con oltre 10 milioni di follower.

Dalla periferia verso il centro

Viene il dubbio però che la Casa Bianca non abbia fatto bene i conti: convincere gli ansiosi e gli indecisi a farsi vaccinare non è esattamente come suggerire una nuova marca di shampoo. Insomma, influenza e persuasione non sono proprio la stessa cosa.

Quando prendiamo decisioni che condizionano le nostre vite, tendiamo a sceglierci modelli diversi da Kim Kardashian o Cristiano Ronaldo. Facciamo caso soprattutto alle scelte fatte dalle persone intorno a noi, quelle che apprezziamo di più o a cui teniamo di più, e quelle che ci somigliano di più in termini economici, sociali e ideologici.

Combattere l’esitanza vaccinale significa convincere qualcuno di un’idea che va contro il suo sistema di credenze, le sue percezioni, a volte le sue paure. È roba pesante, che viaggia attraverso i social in modo del tutto diverso modo dal product placement o dal gossip. “I cambiamenti nel pensiero iniziano alla periferia di un social network e si spostano lentamente verso l’interno”, scrive Damon Centola in un editoriale sul Philadelphia Inquirer.

Centola, sociologo e professore della Annenberg School for Communications, ha scoperto un algoritmo che individua piccoli cluster proprio in queste zone ai margini dei vari Facebook, Twitter, Instagram che hanno però un’enorme influenza sociale. “Non sono le persone in posizione centrale e più “popolari” in una rete – quelle con il maggior numero di connessioni – quelle a cui dovremmo chiedere aiuto. Ci sono persone che occupano posizioni chiave nella rete, in luoghi che abbiamo soprannominato ‘hotspot di rete’. È una scoperta entusiasmante, con applicazioni che vanno dall’intensificazione dell’attivismo sociale al potenziamento della salute pubblica”, spiega Centola senza nascondere la sua soddisfazione.

L’intuizione alla base della costruzione di Centola è che il cambiamento sociale non si diffonde come fa un virus. Il numero di persone raggiunte in una campagna di sensibilizzazione non è una misura della diffusione effettiva di quel cambiamento. Anzi, se un’idea raggiunge un pubblico molto vasto ma nessuno la adotta, lo stigma sociale può paradossalmente condannare l’innovazione. Troppo scetticismo troppo presto si rivela spesso letale per un’idea nascente.

I cambiamenti nel pensiero iniziano alla periferia di un social network e si spostano lentamente verso l’interno.

La strategia più efficace è invece quella down-top (“dal basso verso l’alto”). Se l’obiettivo è che un’innovazione diventi rilevante per la vita delle persone al punto che siano disposte a cambiare il loro comportamento per adottarla, i primi portavoce di quell’innovazione dovrebbero essere percepiti come simili dagli altri.

Chiedere agli influencer, come ha fatto Biden, di diffondere un messaggio si basa sulla premessa che l’influenza top-down (“dall’alto verso il basso”) da parte delle élite social sarà più efficace della persuasione dei pari, cioè quella degli amici fidati e dei “vicini”. Quando invece, secondo Centola, con la strategia dell’amministrazione americana si finisce per legare amici e “vicini” nell’opposizione alle idee che vengono da quelle élite.

I micro-influencer e l’esperimento di San Jose

Negli Stati Uniti, con la pandemia di coronavirus che provoca ogni giorno 150.000 nuovi casi e il numero di vittime totali che ha superato quota 600.000, alcuni governi locali stanno provando a rivolgersi a una comunità diversificata di “micro-influencer locali” (5.000-100.000 follower) per provare a convincere i non vaccinati, a oggi circa la metà della popolazione degli Stati Uniti.

Dai sondaggi sembra che i circa 90 milioni di adulti non vaccinati possano rientrare sostanzialmente in due categorie: da una parte i cristiani, conservatori in politica, bianchi, che vivono lontani dalle grandi città e si oppongono ideologicamente al vaccino anti-Covid; dall’altra quelli non pregiudizialmente contrari a farsi vaccinare che dicono però di voler “aspettare e vedere” prima di decidere. Questa coorte tende ad essere più giovane e più diversificata dal punto di vista razziale e politico.

Nella contea di Santa Clara, dove si trova la città di San Jose, i residenti neri e latini hanno i tassi di vaccinazione più bassi di tutti i gruppi demografici dell’area, anche se muoiono di coronavirus proporzionalmente di più. I funzionari cittadini, in collaborazione con l’agenzia di marketing digitale Xomad e finanziati in gran parte dalla Knight Foundation, hanno selezionato 49 micro-influencer per promuovere i vaccini, pagandolo tra i 200 e i 2500 dollari, in base al numero di follower, alla frequenza dei post e al livello di coinvolgimento che ottengono.

Xomad ha analizzato decine di migliaia di profili sui social media per trovare i candidati giusti che rispecchiassero i dati demografici della città (un terzo di latini e circa il dieci percento di vietnamiti, la popolazione più grande fuori dal Vietnam) e ha creato una piattaforma online in cui gli influencer potessero comunicare con il governo locale e i funzionari sanitari, porre domande ai loro follower e discutere su come interagire con quelli contrari ai vaccini.

Tutti i post riconducibili alla campagna riportavano il disclaimer “Partnership a pagamento con la città di San Jose” e in due mesi, secondo Xomad gli influencer hanno pubblicato 339 post su Facebook, Twitter, TikTok e Instagram, ottenendo oltre 2,5 milioni di visualizzazioni.

Tempi disperati per misure disperate… ma poi?

Dal fronte dei contrari arrivano le prime obiezioni al piano, alcune prevedibili, altre meno scontate.
“Sono molto scettico sul fatto che si possa ottenere abbastanza dall’appello a quelli che dopo tutto questo tempo non hanno ricevuto il vaccino – è molto da chiedere a un influencer”, commenta Jeff Niederdeppe, direttore della ricerca sulla comunicazione sanitaria della Cornell University.

L’altro tema è il rischio che si corre associando influencer adolescenti a qualcosa di così serio e vitale come la comunicazione in ambito medico. Certo, già in passato attori e celebrità sono stati utilizzati per promuovere campagne sanitarie, ma molti giovani influencer su TikTok non hanno a disposizione uno staff di consulenti in grado di guidarli nella scelta dei marchi migliori da sponsorizzare o delle idee da sostenere.

Su TikTok si può passare da zero follower a un milione in meno di una settimana, ma spesso si tratta di bambini o adolescenti che non hanno ovviamente una chiara percezione del loro impatto sulla vita e sulle decisioni degli altri, e quindi neppure sulle conseguenze a livello collettivo della loro influenza.

Se i tassi di vaccinazione dovessero aumentare dopo la promozione social pagata dalla Casa Bianca, si parlerà di successo, ma c’è almeno un rovescio della medaglia di cui tenere conto. Nessun adulto raccomanderebbe mai a un adolescente di farsi consigliare da altri adolescenti su questioni fondamentali come la salute. Ma nel caso del reclutamento degli influencer si sta parlando proprio di questo, di fare in modo che quell’influenza che finora ha funzionato soprattutto per i prodotti di bellezza, i vestiti o i videogiochi possa estendersi ad ambiti più importanti nella vita delle persone.

Tempi disperati possono richiedere misure disperate, ma dalle scelte di oggi deriveranno conseguenze difficili da prevedere con cui dovremo inevitabilmente fare i conti domani.