Da marzo 2020 ad oggi, soprattutto nella prima fase di questa emergenza sanitaria, film con scenari post-apocalittici e in particolare quelli legati alle pandemie sono finiti quasi ovunque nelle top 10 dei più visti e più noleggiati sulle varie piattaforme di streaming, da Netflix ad Amazon Prime Video.
Anche l’autorevole rivista scientifica JAMA (Journal of the American Medical Association) si è occupata di questo fenomeno dedicandogli un articolo nel quale gli autori hanno ricostruito una panoramica dei film (qui invece vi avevamo parlato di altre immagini della pandemia, documentari e reportage fotografici) che nell’ultimo secolo hanno raccontato epidemie e pandemie. “I film sono un’esperienza culturale condivisa che ha storicamente rappresentato focolai di malattie infettive e pandemie e rispecchiato le speranze, le paure e a volte lo scomodo realismo del contagio”, spiegano gli autori nel loro paper.
Grazie a una semplice ricerca sul famoso database online IMDb (Internet Movie Database link) hanno individuato ben 373 film incentrati sulle suddette tematiche. Tra questi, 80 sono stati ritenuti culturalmente “rilevanti”, inserendo nella categoria quelli con un guadagno al box office di almeno 10 milioni di dollari, oppure che hanno ottenuto un premio o riconoscimento o ancora la capacità di avere più connessioni long-gap. Dati senza dubbio stimolanti e che varrebbe la pena approfondire ulteriormente, ma quello che ci chiediamo è come mai questi film hanno così tanto successo, in particolare in questo momento?
Per cercare di analizzare la questione partiamo da uno dei più recenti, ovvero Contagion (2011). Anche grazie ad alcune dinamiche che lo rendono più facilmente accostabile alla situazione attuale, il film diretto da Steven Soderbergh e che presenta un cast stellare (Marion Cotillard, Matt Damon, Laurence Fishburne, Jude Law, Gwyneth Paltrow), sta godendo di una nuova popolarità proprio “grazie al coronavirus”.
Sostanzialmente infatti la situazione narrata nell’opera ricorda molto da vicino quella del Covid-19, dal momento che il ceppo originario della malattia si è diffuso per un incrocio di virus tra pipistrello e maiale, colpendo poi polmoni e sistema nervoso. Ecco in breve la trama: tutto comincia quando una donna, interpretata da Gwynet Paltrow, inizia a sentirsi male dopo esser tornata da Hong Kong, accusando quelli che le appaiono come i sintomi di una banale influenza, ai quali tuttavia, nel giro di poco tempo, si aggiungono delle forti convulsioni. Viene portata velocemente in ospedale, e muore poco dopo il ricovero. L’autopsia rivela che era stata infettata da un virus mai visto prima. Decisamente familiare, purtroppo.
La pandemia raccontata da Contagion assume comunque dei contorni persino più drammatici rispetto a quella che stiamo vivendo ora, poiché il virus miete milioni e milioni di morti nel giro di pochissimo tempo. Al punto che dopo soli due mesi le autorità si trovano costrette a mettere in circolo un vaccino senza aver rispettato tutte le fasi della sperimentazione clinica.
Il motivo del successo attuale del film di Soderbergh risiede proprio nel fatto che, pur trattandosi di un’opera di genere catastrofico, risulti piuttosto credibile, quasi realista, nella sua proposizione degli eventi ed esplori il concetto di pandemia come pochi hanno saputo fare. Questo anche grazie alle scelte del regista, che si è avvalso dei servigi e dei consigli del dottor Ian Lipkin, virologo e professore di epidemiologia alla Columbia University’s Mailman School of Public Health. Nell’aprile 2020 è stato lo stesso Lipkin a sottolineare, in un’intervista al quotidiano italiano Il Manifesto, come Contagion avesse previsto tutto con nove anni di anticipo, e che in fondo “quella che stiamo vivendo non è la prima pandemia e non sarà l’ultima, probabilmente non sarà neanche la peggiore” (ne parla anche qui, insieme allo sceneggiatore del film Scott Z. Burns).
Contagion, tuttavia, non è il solo film ad aver prestato particolare attenzione a come trattare l’origine del virus, la sua trasmissione e gli effetti sull’uomo. Tornando ulteriormente indietro di 16 anni, troviamo ad esempio il celebre Virus letale di Wolfgang Petersen del 1995. Questo ci mostra come per parlare di questi temi si possa prendere spunto da virus conosciuti, per “crearne” uno non esistente in natura, in modo che sia però credibile, generando spavento e al contempo interesse nello spettatore.
Petersen e la sua troupe ci portano in Africa, in Zaire, dove il colonnello e ricercatore medico dell’esercito americano Sam Daniels (Dustin Hoffman) insieme a due suoi collaboratori deve indagare su un nuovo tipo di virus, simile all’ebola ma molto più potente. I tre scoprono che il virus attacca le cellule a una velocità impressionante, uccidendo il contagiato in meno di 72 ore, ma non si trasmette per via aerea quanto invece per contatto diretto. Come prevedibile il contagio non si ferma lì ma arriva in America, stavolta a causa di una scimmietta che viene trasportata su una nave fino ad un deposito. Studiando il virus, si rendono conto che hanno a che fare con una forma mutata rispetto a quella analizzata in principio, più resistente e con un potenziale di contagio più alto: infatti si diffonde anche per via aerea. Assistiamo quindi anche al concetto di mutazione del virus, tematica purtroppo quanto mai attuale.
Dal realismo… Agli zombie movie
Quando si parla di virus, pandemie e cinema o serie TV non si può prescindere di prendere in considerazione che tutto quello che riguarda di zombie o affini. Nella maggior parte dei casi, infatti, gli zombie movie partono da un’infezione, da qualche particolare e pericoloso virus che scatena questi effetti sulla popolazione colpita.
Se quindi negli anni ’40 o ’50 si era più ancorati alla realtà con film come Luce verde o La grande pioggia, in cui ci si concentrava sull’eroismo del personale sanitario nel contrastare la malattia, negli anni seguenti invece la componente della finzione o di un’aderenza al realismo viene meno. Ma non del tuttto e non sempre, oggi per esempio sembra esserci un ritorno alla vecchia maniera e vediamo emergere una tendenza delle produzioni a creare opere realistiche, basandosi su fondamenta che cerchino, per quanto possibile, di sfruttare la scienza per una narrazione credibile.
Che abbiano riferimenti realistici o meno, di zombie movie ne potremmo comunque citare numerosi, da Io sono Leggenda a World War Z, ma forse tra tutti vale la pena parlare del fenomeno Resident Evil e il suo Tyrant Virus (T-Virus), da cui si generano le numerose varianti che nel corso degli anni hanno infestato questo universo multimediale dando vita ad un vero e proprio franchise, che nasce dal mondo dei videogame e approda poi al cinema e alla letteratura.
Creato in laboratorio dall’incrocio del Progenitor Virus, proprio di una pianta, con il DNA di una sanguisuga, il T-Virus è in grado di creare danni cerebrali tali da trasformare un essere umano in una sorta di arma, una creatura violenta e senza controllo, inibendone i recettori del dolore e rendendolo insensibile a qualunque tipo di colpo.
Il contagio può avvenire in diversi modi, sia tramite il contatto diretto con un soggetto infetto che per via aerea. Gli autori di Resident Evil forniscono una spiegazione piuttosto dettagliata di come nasce e agisce il suddetto virus, ovvero da una proteina con DNA virale che, se inserito in una cellula ospite, si sostituisce al genoma originale, alterando così le funzioni cellulari dell’organismo. Terminata la fase di infezione, la cellula inizia a produrre e diffondere il virus, infettando quelle vicine.Il virus prosegue poi danneggiando l’ipotalamo (un’area del nostro cervello), permettendo così la creazione di un afflusso anormale di neurotrasmettitori, enzimi e ormoni. Questi effetti, combinati con i dolorosi sintomi dell’infezione, inducono nell’ospite una fame chimica e una rabbia psicotica, alterandone la normale aggressività.
Un numero spropositato di dettagli, ce ne rendiamo conto, ma che rendono maggiormente interessanti le dinamiche che ruotano intorno a Resident Evil e ai suoi zombie, permettendogli di sopravvivere così tanto a lungo in una realtà multimediale fatta di concorrenza spietata e sempre più corposa, dove nel corso degli anni abbiamo visto un’infinità di produzioni a tema zombie, e continuiamo a farlo.
La pandemia globale e il nemico invisibile
Anche il piccolo schermo ha affrontato il tema della pandemia, e di recente una serie di successo è stata per esempio The Rain, show danese distribuito da Netflix che racconta di una Scandinavia decimata da un virus letale portato dalla pioggia. Ma per occuparsi di pandemie non ci sono soltanto i più classici serial TV. Sempre la piattaforma della N rossa ha scelto di proporcelo pure sottoforma di docuserie: è qui che si inserisce il “curioso caso” di Pandemia globale.
“Siamo degli incubatori umani, possiamo ospitare diverse malattie. Lo scoppio della prossima pandemia è solo questione di tempo”.Queste le impressionanti parole della dottoressa Syra Madad, che si occupa di preparare il personale degli ospedali di New York. Impressionanti perché questa serie Netflix è arrivata sulla piattaforma di streaming all’inizio di febbraio 2020, anticipando di pochissimo la pandemia di Coronavirus, con buona pace dei complottisti.
La serie ovviamente non parla della Covid-19, ma racconta la quotidiana attività di scienziati, medici, divulgatori ed esperti di storytelling che cercano di spiegare in maniera chiara a tutti come funziona la lotta a un nemico invisibile che può fare danni immensi a partire da un singolo contagio.
Anche grazie a questa malauguratamente puntuale docuserie riflettiamo tuttavia su una questione interessante, ovvero la differenza tra alcuni film come il citato Contagion o serie come The Rain, che si basano sulla paura del contagio. Qui il virus diventa un nemico invisibile – simile a quello che conosciamo anche nella situazione attuale – e altre opere come i citati zombie movie dove abbiamo un nemico ben visibile e in carne ed ossa (spesso più ossa che carne), ma che paradossalmente anche nei suoi aspetti più mostruosi tende a farci meno paura.
Dopo covid-19 cosa accadrà?
Viene da chiedersi a questo punto come influirà covid-19 sul cinema e sugli altri media, soprattutto considerando che già ora inizia a sembrarci strano assistere a opere con protagonisti privi di mascherina e senza alcun rispetto del distanziamento. Immediatamente dopo la Sars non abbiamo visto film di successo legati alle pandemie (lo stesso Contagion è del 2011), ma sarà appunto interessante notare cosa accadrà in tal senso in futuro perché non sarà improbabile vedere film o serie TV accarezzare il tema. Per esempio Michael Bay non si è lasciato sfuggire l’occasione e negli States è uscito nel dicembre 2020 Songbird (qui il trailer), un suo film distopico che parte proprio dall’epidemia attuale e che dovremmo vedere presto anche in Europa, in sala o sulle piattaforme digitali.
Il tema covid invece è già entrato nel piccolo schermo grazie ad alcune serie di successo, come ad esempio Grey’s Anatomy in cui la protagonista Meredith (Ellen Pompeo) viene addirittura ospedalizzata per aver contratto l’infezione da Sars-CoV2, o ancora il serial ABC The Good Doctor, dove tuttavia la pandemia viene trattata in un singolo episodio. Persino la nota serie d’animazione South Park si è occupata di covid-19, sebbene con i tratti satirici che contraddistinguono lo show.
In gran parte di questi show televisivi o cinematografici, e in quelli che da qui in poi affronteranno il tema coronavirus, soprattutto negli Stati Uniti in quanto cuore pulsante del grande e piccolo schermo, c’è la volontà di fornire un ritratto dell’emergenza pandemica attraverso narrazioni verosimili, come ha sottolineato tempo fa – prima della messa in onda degli episodi incentrati su covid-19 – l’attore di Grey’s Anatomy Giacomo Gianniotti (Andrew DeLuca nella serie) in un’intervista per il portale Toofab: “Parleremo delle difficoltà degli ospedali, la mancanza di mascherine, di attrezzature e lo scarso supporto delle autorità governative. Non vediamo l’ora di poter raccontare queste storie, far sentire la voce di quei dottori e quegli infermieri che erano – e sono – in prima linea, così come le storie delle vittime e delle loro famiglie”
Per il resto, post-covid di problemi legati al cinema e agli sviluppi di questa gigantesca industria ce ne saranno molti e non possiamo avere allo stato delle cose risposte certe su quel che sarà. Di sicuro il rischio più grande è che, come accaduto dopo l’influenza spagnola, avvenga un cambiamento epocale non tanto nelle storyline, ma proprio nella produzione e distribuzione di film, serie tv o videogiochi. Come allora è possibile prevedere che piccoli saranno inglobati dai grandi, rivoluzionando un po’ lo star-system come lo conosciamo attualmente. Ma questa è tutta un’altra storia…