×

Hiv in Italia: da trent’anni lo racconta un testimone di eccezione


Quarant’anni. Tanti ne compie l’Hiv oggi, per lo meno secondo l’anagrafe ufficiale, che conta dalla data della prima diagnosi effettuata. Tuttavia la data ufficiosa, quella dello spillover (termine che ormai abbiamo imparato tutti a conoscere), non è ancora definita e potrebbe risalire anche a un centinaio di anni prima.

Quarant’anni in cui tanto, tantissimo è cambiato. E anche se oggi purtroppo l’Hiv è un’epidemia tutt’altro che sconfitta (nel 2020 ci sono state 1303 nuove diagnosi in Italia, 1,5 milioni nel mondo e si sono contate 37,7 milioni di persone globalmente che vivono con l’Hiv), contrarre questo virus comporta un destino profondamente diverso dagli anni ‘80. È il destino di chi ha una patologia cronica con cui imparare a convivere e non di una diagnosi che all’inizio portava in moltissimi casi la parola ‘morte’ scritta tra le righe.

Questi cambiamenti e la storia dell’Hiv, in Italia, hanno avuto un testimone molto attento e partecipe, EssePiù: una rivista che celebra anche lei in questo 2021 un compleanno importante, quello dei trent’anni. E anche lei ha una data ufficiosa di nascita che risale a un poco prima: è comparsa infatti, tra il 1989 e il 1990, non come rivista, ma come bollettino dei gruppi di autoaiuto dell’Associazione Solidarietà Aids, ASA, di Milano. 

“Già allora aveva una certa risonanza, per lo meno a Milano”, ci racconta Marinella Zetti Responsabile Ufficio Stampa dell’Asa-Associazione Solidarietà Aids. “Un articolo del Corriere della Sera già al tempo raccontava di questi “fogli” che parlano di Hiv”. In quei fogli veniva annotato e riportato quanto accadeva nei gruppi di autoaiuto di ASA perché quelle esperienze potessero essere di supporto anche ad altri, che non avevano accesso ai servizi dell’Associazione. Del resto EssePiù è nato proprio perché l’ASA riceveva tante telefonate da tutta Italia da parte di persone che chiedevano informazioni, notizie certe. “Perché non c’era nulla, nessuno ne parlava (di Hiv, ndr), e quando i quotidiani ne scrivevano, spesso lo facevano in modo sbagliato: dando notizie non corrette, parlando di categorie a rischio e via dicendo”, prosegue Zetti. È proprio per contrastare questa informazione non corretta che EssePiù dal gennaio 1991 diventa una rivista vera e propria, periodica e gratuita, inviata a chiunque ne facesse richiesta in tutto il Paese e distribuita in luoghi chiave.

Non c’era nulla, nessuno ne parlava, e quando i quotidiani ne scrivevano, spesso lo facevano in modo sbagliato.

“A fondare Essepiù e ad occuparsene sin dall’inizio è Giovanni Dall’Orto. Dall’Orto era una tra le persone più operativamente attive in ASA insieme a Fabio Morretta, responsabile principalmente dei gruppi di auto aiuto, e a Massimo Cernuschi, medico che si dedicava anche alle notizie scientifiche da pubblicare sulla rivista, che un certo periodo è stata anche distribuita gratuitamente nelle librerie Feltrinelli. Al tempo infatti avevano uno spazio dedicato alle pubblicazioni gratuite, così noi di ASA portavamo EssePiù in tutte le librerie Feltrinelli di Milano e le persone potevano prenderlo senza dover venire in associazione. Poi a un certo punto Feltrinelli non l’ha più voluto. Quando sono tornata a chiedere nel 2014, mi hanno detto che lo spazio ha un costo e quindi se vogliamo esporlo dobbiamo pagare”, racconta sempre Zetti.

Sin dal suo inizio, EssePiù ha sempre dato voce a persone che non ne avevano e se non ci fosse stata, oggi quegli anni e quelle storie, le storie di cosa volesse dire essere sieropositivo prima delle terapie e quando lo stigma era ancora più forte di oggi, sarebbero andate perdute. Per fortuna non lo saranno mai grazie a un volume celebrativo di questo compleanno speciale (disponibile in digitale o in cartaceo) dal titolo “Anni positivi – La storia dell’Hiv in Italia attraverso 30 anni di EssePiù”, che raccoglie una selezione degli articoli pubblicati finora e ripercorre la storia di questi trent’anni, di quanto sia cambiata la vita delle persone sieropositive e anche di quanto sia cambiato il lavoro delle associazioni come ASA.

“All’inizio in associazione si faceva principalmente un lavoro di informazione rispetto a quello che stava succedendo”, ci spiega Massimo Cernuschi, infettivologo e Presidente di ASA e di Milano Checkpoint. Presto tuttavia è cominciato anche il lavoro di sostegno alle persone che scoprivano di avere l’Hiv: gruppi di auto-aiuto, supporto psicologico e assistenza domiciliare. “L’assistenza domiciliare non era fornita dal Servizio sanitario nazionale: una persona sieropositiva, magari dimessa dall’ospedale, che aveva bisogno di fare delle flebo a casa, non aveva nessuno che la aiutasse: quindi i nostri volontari hanno cominciato prima ad andare a fare flebo, e poi a fare compagnia alle persone: fare due chiacchiere, portarle al cinema, aiutarle con la spesa. Erano spesso situazioni di estrema solitudine perché le persone con Hiv – anzi, queste che seguivamo all’inizio erano persone con Aids – erano molto emarginate, molto sole; abbandonate a causa dello stigma che comunque c’è sempre stato intorno all’infezione da Hiv”.

L’assistenza domiciliare non era fornita dal Servizio sanitario nazionale: una persona sieropositiva che aveva bisogno di fare delle flebo a casa, non aveva nessuno che la aiutasse.

Questa attività di supporto domiciliare, a cui nel tempo se ne aggiungono altre, come appunto i gruppi di autoaiuto e il servizio prestato in carcere, è andata avanti fino alla fine degli anni ‘90, inizio 2000. “Con l’arrivo di farmaci antiretrovirali realmente efficaci, molto più raramente le persone si sono ammalate di Aids”, prosegue Cernuschi. “Oggi si porta avanti soprattutto un lavoro di informazione su quello che si può fare, nelle scuole piuttosto che in carcere, anche rispetto all’importanza di fare il test e al discorso dello stigma. Il lavoro sullo stigma è quello più impegnativo e importante. E poi ci sono interventi che sono diventati necessari con l’evolversi di una serie di problematiche: per esempio, la questione del ChemSex, ovvero dell’utilizzo di sostanze per aumentare il piacere sessuale – sostanze che spesso danno dipendenza -, oppure quella della PrEP, la profilassi pre esposizione”.

E queste nuove problematiche sono anche quelle che trovano spazio oggi su Essepiù che ancora dà voce a quelle storie di cui non si parla altrove: “Di PrEP e ChemSex ne parlano solo le associazioni. Poi purtroppo su EssePiù poi si racconta ancora lo stigma. Infatti, anche se la medicina ha fatto dei passi da gigante e ora le persone sieropositive possono vivere serenamente, il pregiudizio invece è rimasto identico: ci sono persone che non dicono di essere sieropositive perché sanno che perderebbero il lavoro, che verrebbero mobbizzate, isolate; o che hanno paura di essere cacciate da casa dai genitori. Ancora oggi annunciare pubblicamente la sieropositività è militanza politica, è un atto politico”, racconta Marinella Zetti.

Anche se la medicina ha fatto dei passi da gigante e ora le persone sieropositive possono vivere serenamente, il pregiudizio invece è rimasto identico

Anche la reazione al momento di una diagnosi di sieropositività è ancora influenzata da stigma e paura. “Le persone hanno la stessa reazione di 20-30 anni fa: si vedono, se non più morti di Aids, certamente discriminati. Pensano subito al fatto che nessuno li vorrà più, che dovranno tenere questo segreto”, conferma Cernuschi. “Ad aiutarli c’è il fatto di cominciare la terapia subito e quindi, grazie a questa, diventare subito non infettivi. Questo contribuisce molto a togliere il peso dello stigma e dell’autostigma che uno si costruisce addosso quando scopre di avere l’Hiv. L’arma per sconfiggere lo stigma è infatti proprio questa: se si segue la terapia correttamente e la carica virale è negativa non è possibile infettare nessuno. Chiuso. Finita. Non c’è nessuna possibilità di errore: l’errore eventualmente sta solo nel fatto che una persona non segua il trattamento. Tuttavia, sapere di non essere infettivi, non essere un pericolo per gli altri, spinge le persone a stare molto attente: ad assumere correttamente il trattamento e a cominciarlo subito”.

Questa consequenzialità tra terapie e impossibilità di infettare gli altri in “gergo” si definisce U=U, che sta per undetectable equals untransmittable ovvero, non rilevabile uguale non trasmissibile. Ed è ormai un dato di fatto provato da studi che hanno segnato la storia dell’Hiv nel mondo come PARTNER, Opposite attracts e PARTNER 2 nei quali i ricercatori che li hanno portati avanti hanno rilevato un rischio pari a zero di trasmissione all’interno di coppie dierodiscordanti e in cui il partner sieropositivo era in terapia antiretrovirale e aveva una carica virale negativa.

“Tra l’altro, se sei una persona sieropositiva in terapia sei il partner ideale per una persona sieronegativa perché sicuramente non puoi trasmettere l’infezione e il tuo partner di questo può avere la certezza. Non ha invece la stessa certezza con una persona di cui non si conosce lo stato né tanto meno chi sono i suoi altri partner sessuali”, conclude Cernuschi. “Se questo entrasse nella testa delle persone, lo stigma si ridurrebbe tantissimo”.

Se si segue la terapia correttamente e la carica virale è negativa non è possibile infettare nessuno. Chiuso. Finita.

Anche sul fronte terapie, infine, le cose potrebbero cambiare ulteriormente presto, non tanto per l’avvento di un vaccino, quanto per l’arrivo di terapie iniettabili, una già approvata da Ema. E questo è un cambiamento non da poco: se oggi la terapia è quotidiana, una pillola da prendere ogni giorno, i trattamenti iniettabili saranno più diradati nel tempo. Questa in arrivo per esempio prevede solo due iniezioni contemporanee ogni due mesi. E anche questo cambiamento, questa storia, probabilmente sarà raccontata da EssePiù.

Il volume “Anni positivi – La storia dell’Hiv in Italia attraverso 30 anni di EssePiù” sarà presentato oggi nei locali della mostra (aperta ancora fino al 5 dicembre) “40 anni positivi. Dalla pandemia di AIDS a una generazione HIV free”, visitabile ai Frigoriferi Milanesi di Milano. Mostra anch’essa da non perdere. Il volume è acquistabile qui in formato digitale e qui e qui nei due volumi cartacei.