L’obiettivo annunciato qualche giorno fa dal presidente Joe Biden è chiaro: arrivare a somministrare la prima dosa di vaccini al 70 per cento della popolazione statunitense entro il 4 luglio, Independence Day. Al momento questa percentuale è 52,2 per cento, mentre il 42,6 per cento degli americani ha completato la vaccinazione con una seconda dose o direttamente con una dose unica del vaccino Janssen Ad26.COV2.S (Johnson & Johnson).
Prima di raggiungere questo scopo tuttavia, il Potus deve superare un ostacolo non indifferente. Non, come capita altrove, una scarsità di dosi di vaccini o difficoltà e complicazioni logistiche incontrate dalle persone che desiderano riceverli. Davanti a Biden c’è il problema ben più antico e radicato dell’esitanza vaccinale e del rifiuto al vaccino, un problema che non è certo il solo ad affrontare. Anche in Canada, nella provincia di Alberta le percentuali di persone che non intendono vaccinarsi e degli incerti sono troppo alte, rispettivamente il 15 e il 13 per cento della popolazione.
Il deciso rifiuto dei vaccini è il comportamento di quelli che sono chiamati no-vax che per convinzioni radicate, talvolta associate a più o meno inverosimili, praticamente impossibili da modificare. Gli esitanti invece, sono quelli che non sono convinti per timore, perché raggiunti da informazioni confuse o semplicemente “perché noi come esseri umani siamo molto meno razionali di quello che vorremmo”, spiega a Senti chi parla Guendalina Graffigna, professore ordinario all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttrice dell’EngageMinds Hub, esperta proprio in psicologia dei comportamenti applicati alla salute e che ha pubblicato in questi giorni un libro dal titolo che non lascia spazio a dubbi: “Esitanti” (Il Pensiero Scientifico Editore 2021).
Per confrontarsi in maniera costruttiva con questa fetta di popolazione, che esprime dubbi anche comprensibili che non devono essere derisi o stigmatizzati, uno strumento utile è quello dell’analisi psico-comportamentale. Questa permette di capire come le persone reagiscono emotivamente alle situazioni, ma anche alle informazioni o alle decisione che arrivano dall’alto, e che può aiutare a orientare delle iniziative non solo di comunicazione efficace ma anche di educazione. Educazione che è poi alla base della modificazione dei comportamenti.
“I cittadini non sono recipienti vuoti di prescrizioni preventive che possono essere più o meno imposte dall’alto, non sono bicchieri vuoti da riempire di informazioni. È necessario mettersi nei panni di queste persone e cercare di comprendere questi comportamenti che, se da un punto di vista di scientifico appaiono assolutamente infondati e irrazionali, da un punto di vista laico hanno una loro ‘ragionevolezza’: vengono da una prospettiva, da un punto di vista, da dei bisogni che le persone hanno e che devono essere compresi. Per questo credo che le scienze mediche, le scienze dure abbiano bisogno di un’altra scienza che è la scienza psicologica e comportamentale che parte dal presupposto della non piena razionalità delle nostre scelte”.
Si tratta di una disciplina poi che potrebbe aiutare a fare educazione mirata al cambiamento oltre che informazione e basta. “L’educazione, e chiunque è un educatore lo sa, parte innanzitutto dall’ascolto, dalla comprensione, dal dialogo e dall’empatia. Il punto è che anche quando io devo fare comunicazione, nel momento di picco di covid, e spiegare che si deve indossare la mascherina e stare a casa, oltre a bombardare con queste informazioni dovrei anche creare degli spazi di ascolto e di comprensione delle persone, spazi di dialogo”. Un esempio potrebbe essere l’iniziativa dell’Ema in occasione dell’approvazione del vaccino di Pfizer: ha indetto un webinar a porte aperte in cui qualsiasi cittadino europeo poteva partecipare per sottoporre domande o dubbi.
L’educazione, e chiunque è un educatore lo sa, parte innanzitutto dall’ascolto, dalla comprensione, dal dialogo e dall’empatia.
“Se questo non è realizzabile, l’altra possibilità concreta è sfruttare gli strumenti di intelligenza della ricerca psicosociale che è un vero e proprio strumento di intelligenza su quello che è il punto di vista delle persone e che ci permette di avere un termometro costante di quelli che sono gli umori, gli spaventi, le preoccupazioni, le false credenze, i modi di ragionare delle persone e quindi di fare delle nuove stratificazioni delle persone, anche sulla base dei fattori psicologici”.
Cosa vuol dire? È lo stesso che accade in epidemiologia e in medicina: in questi campi si è abituati a fare delle stratificazioni, per esempio per i fattori di rischio di salute. Anche su covid è stato fatto. “La mia proposta è quella di aumentare un livello di questa stratificazione che è quello del rischio di non aderenza, il rischio di non ingaggio nelle misure preventive o nelle vaccinazioni, che è un rischio del tutto psicologico, e motivazionale. Oggi è possibile grazie a parametri scientifici misurare anche questi aspetti e soprattutto un po’ prevederli perché ci sono degli elementi attitudinali, elementi emotivi, di personalità oltre che di contesto sociale che ci permettono di segmentare la popolazione e in qualche modo sia di capire, monitorare, sia di orientare al meglio l’educazione per il cambiamento comportamentale”.
Non sono aspetti nuovi, come sottolinea anche la stessa Graffigna, sono consolidati e ampiamente sfruttati da tempo, anche se in altri aspetti: quello commerciale e di marketing, lo studio di consumatori.
Uno studio applicabile anche ai vaccini e all’esitanza?
Come non c’è stata alcuna attenzione alla risposta emotiva dei cittadini alla pandemia nelle fasi iniziali o alle misure di contenimento imposte, lo stesso sembra accadere anche nel caso delle vaccinazioni. Cogliere queste risposte emotive, ascoltarle e agire di conseguenza potrebbe essere la chiave per abbattere il muro dell’esitanza, ma non sembra ci sia questa intenzione.
“Sinceramente è stupefacente”, spiega la direttrice dell’EngageMinds Hub. “Io all’inizio speravo che questa potesse essere una finestra, nella sua drammaticità, utile per valorizzare il ruolo di ogni individuo, di ogni cittadino con il suo comportamento, per il bene della salute personale e collettiva. Credevo che covid potesse essere uno scenario di impulso per questo cambiamento comportamentale, sia lato istituzioni sia lato cittadini”. Un cambiamento comportamentale che si chiama patient engagement, che vuol dire comprendere che la nostra salute dipende anche da noi, al netto delle condizioni cliniche che ci possono capitare. “Capire che possiamo essere protagonisti della nostra salute, non soltanto come riceventi di una cura, vittime di una malattia o di una misura preventiva ma come attori principali. E questo a un certo livello vuol dire anche sentirsi parte in causa del sistema sanitario: i nostri comportamenti sono un po’ come un domino e quindi non solo le nostre scelte determinano la nostra salute e malattia ma anche quella della collettività e la tenuta del sistema”.
Solo teoria? Niente affatto, secondo alcuni studi condotti da Graffigna e dal suo laboratorio, il coinvolgimento attivo delle persone nella propria salute è un predittore determinante della scelta a vaccinarsi: “più le persone riescono a fare questo passaggio mentale del capire che la salute è nelle loro mani e che quindi i loro comportamenti hanno delle conseguenze per loro stessi e per gli altri, più esprimono la volontà di vaccinarsi. Anche nella comunicazione quindi servirebbe un approccio un po’ più ampio: non limitato a comunicare il vaccino in sé, quanto anche a far cambiare quello che è il senso della salute, della prevenzione e il senso dei vaccini in generale, al di là di quello contro covid-19”.
I nostri comportamenti sono un po’ come un domino e quindi non solo le nostre scelte determinano la nostra salute e malattia ma anche quella della collettività e la tenuta del sistema.
Per fare questo la prima chiave è quella dell’ascolto e della reciprocità perché l’engagement si promuove in una relazione. Creare un dialogo è fondamentale. E altrettanto fondamentale è avvalersi di personalità in grado di dare il buon esempio: come il “paziente esperto”, una figura consolidata nella comunicazione tra pari in salute e medicina. “Oltre al gregge della famosa immunità, abbiamo un’altra dimensione di gregge che è quello psicosociale. Indubbiamente, vedere che altre persone rilevanti per me ma simili a me mettono in atto quel comportamento diventa una fonte di incentivo capace di influenzare molto e penso che se oggi vediamo che l’esitanza vaccinale sta un po’ diminuendo è proprio perché le persone cominciano ad avere vicino altri che si sono già vaccinati”.
Perché una buona notizia c’è ed è che in Italia le persone esitanti nei confronti dei vaccini contro covid sono diminuite negli scorsi mesi. Secondo le ultime rilevazioni dell’EngageMindLab nel tempo è invece aumentata l’intenzione vaccinale: oggi il 67 per cento si dice sicuro di vaccinarsi. È rimasto intatto invece lo zoccolo dure di persone che sono assolutamente contrarie al vaccino (il 15 per cento). Sono invece il 18 per cento gli italiani che ancora tentennano.
“Tuttavia, è diminuita anche, nelle persone, la speranza che i vaccini possano risolvere del tutto la pandemia: tra maggio 2020 quando il vaccino era davvero solo una speranza e marzo 2021 quando le campagne vaccinali nel mondo e in Italia erano già avviate, è diminuita di 21 punti percentuali la quantità di persone che con il vaccino contro covid si sentono più sicuri. E questo è un segnale critico perché potrebbe andare a influenzare il comportamento”.
Del resto è facile che chi è già incerto potrebbe pensare che se il vaccino non serve a essere completamente protetti non c’è ragione di farlo, tanto più se è così complicato prenotarlo. “C’è un 21 per cento di persone che ritiene che nessun vaccino possa proteggere le persone da questo virus”.
Quindi, sì l’esitanza di per sé diminuisce anche se diminuisce la speranza salvifica nei vaccini e questo un po’ può essere un campanello di allarme, non tanto per il raggiungimento della cosiddetta immunità di gregge quando più al momento dei richiami perché poi nel momento in cui ci saranno da fare i richiami si rischia che le persone non avranno più voglia di farlo per questo bisogna investire molto adesso. Nei confronti di eventuali richiami autunnali rischiano di servire a poco anche gli incentivi messi in campo adesso come la possibilità di avere il pass per viaggiare e andare in vacanza, per esempio. “Bisogna essere un po’ più lungimiranti nel modo in cui si disegnano e portano avanti le campagne di comunicazione”, conclude Guendalina Graffigna.