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“Covid passa, il pianeta resta”, e ne serve uno più sano per i nostri bambini


Nonostante la pandemia di covid-19, non possiamo non pensare al pianeta: è fondamentale riportare l’attenzione sulla crisi ecologica e ripartire da quello che possiamo fare per proteggere l’ambiente, cominciando dalla fase della vita in cui siamo più vulnerabili alle esposizioni a inquinanti ambientali. Si tratta dei primi mille giorni – ovvero il periodo che va dal concepimento ai primi due anni di vita dei bambini – fase in cui si è anche più disposti al cambiamento per costruire un mondo più pulito.

L’inquinamento atmosferico, come la pandemia di covid-19, è un problema globale e rappresenta un’importante minaccia ambientale per la salute pubblica. Molti dei componenti o fattori in gioco nell’inquinamento atmosferico sono responsabili anche del cambiamento climatico, che a sua volta ha un impatto sulla salute della popolazione e causa numerosi effetti avversi quali, ad esempio, la perdita della biodiversità, l’estinzione di specie animali e vegetali, la desertificazione, la diminuzione delle riserve idriche, l’erosione del suolo, la genesi di eventi meteorologici estremi. I numeri associati al cambiamento climatico, infatti, crescono e sono preoccupanti.

Secondo il World Disasters Report 2020, negli ultimi dieci anni, l’83 per cento di tutti i disastri causati da pericoli naturali è dovuto a eventi meteorologici e climatici estremi: inondazioni, tempeste e ondate di calore. L’andamento è in crescita dagli anni sessanta e – passando da un aumento del 35 per cento negli anni novanta e a un aumento del 76 per cento durante gli anni 2000 – siamo arrivati a un incremento dell’83 per cento negli anni 2010. Le ondate di caldo, seguite dalle tempeste, sono i big killer, responsabili degli 1,7 miliardi di persone che in tutto il mondo sono state colpite da disastri climatici e meteorologici e che hanno ucciso più di 410.000 persone, soprattutto nei Paesi a reddito basso e medio-basso.

Siamo molto concentrati in questo momento sull’emergenza pandemica che ovviamente è prioritaria, ma è fondamentale riportare l’attenzione su quello che saranno le generazioni future.

“Covid passa, il pianeta resta”, afferma Elena Uga, pediatra ospedaliera e referente di Pediatri per un mondo possibile (PuMP), ovvero il Gruppo di studio sulle patologie correlate all’inquinamento ambientale dell’Associazione culturale pediatri (ACP). “Siamo molto concentrati in questo momento sull’emergenza pandemica che ovviamente è prioritaria, ma è fondamentale riportare l’attenzione su quello che saranno le generazioni future, quindi su quello che possiamo costruire nei primi mille giorni di vita dei bambini e su tutto quello che possiamo fare per lasciargli la possibilità di crescere e vivere sani in un pianeta sano. Dobbiamo continuare a creare qualcosa di più grande, di più sano e di più pulito”.

Eppure non è semplice sensibilizzare le persone su questi temi che non considerano così importanti per la loro salute. “I rischi legati ai cambiamenti climatici sono percepiti dalla maggior parte della gente come una cosa un po’ astratta” spiega Giacomo Toffol, pediatra di libera scelta dell’Acp. “Ci preoccupiamo molto dell’orso polare che sta in bilico sulla banchisa che si sta sciogliendo, ma non ci rendiamo conto che il cambiamento climatico è già un’importante causa di nocività anche alle nostre latitudini”. E non solo, per restare sull’attualità: “È difficile pensare a covid-19 e a tutte le zoonosi che ci sono state, ovvero malattie che derivano da agenti che vengono trasmessi dagli animali agli uomini, come a un effetto di una delle cause del cambiamento climatico, che è l’uso distorto dei terreni di tutto il mondo da parte delle attività umane”.

I primi 1000 giorni: un progetto di ricerca

Perché dovremmo invece preoccuparci? E perché dovremmo farlo proprio pensando alla salute dei più piccoli in relazione all’esposizione precoce all’inquinamento ambientale e ai cambiamenti climatici? Sicuramente perché eventi meteorologici estremi, così come l’inquinamento atmosferico, hanno un effetto negativo sulla salute dei bambini sia a breve che a lungo termine. I più piccoli sono più sensibili alle esposizioni ambientali, che iniziano già prima del concepimento, continuano durante la gravidanza, l’infanzia e l’adolescenza, agendo soprattutto durante alcuni periodi di maggiore vulnerabilità dello sviluppo del bambino, amplificandone gli effetti avversi. Gli effetti riguardano il rischio di malattie respiratorie come nel caso delle temperature estreme, dell’inquinamento atmosferico e dei pollini, di malattie gastrointestinali nel caso di piogge intense e allagamenti, di disturbi neurocognitivi nel caso dell’inquinamento atmosferico.

È in questo contesto che nasce “I primi 1000 giorni”, un progetto esecutivo del programma Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (CCM) 2017, realizzato con il supporto finanziario del CCM-Ministero della Salute, che vede come ente partner la Regione Friuli Venezia Giulia e coinvolge, oltre a loro, altre quattro regioni italiane: il Piemonte, la Toscana, il Lazio e la Sicilia. L’obiettivo è stato valutare l’impatto sulla salute dei bambini dell’esposizione precoce a fattori di rischio ambientali, in particolare a fumo di sigaretta e inquinanti atmosferici.

Dobbiamo continuare a creare qualcosa di più grande, di più sano e di più pulito.

“Il panorama europeo è ricco di studi e di progetti simili. Pensiamo agli studi prodotti dall’European Pubblic Alliance o alle attività del Royal College of Pediatrics and Child Health sul tema dei cambiamenti climatici e della sostenibilità ambientale. Si tratta di un progetto importante anche perché viene a coprire un gap che c’era nella cultura italiana”, spiega Toffol. Altro aspetto distintivo è la capacità con cui riesce a coniugare il rigore scientifico con la facilità di lettura. Le revisioni della letteratura presenti sul sito, infatti, attestano la solidità delle affermazioni che sono contenute nelle schede per i genitori (scopri di più sul sito). Queste schede, facilmente leggibili, sono accompagnate da suggerimenti pratici su cosa si può fare per ridurre l’entità del problema in base a dove si vive, alle proprie possibilità, alle modalità lavorative. “Ognuno deve avere la possibilità di scegliere la propria strada, perché le strade sono tante. La peculiarità di questo progetto l’ho vista proprio nell’intento di andare a informare, sensibilizzare e dare degli strumenti alle famiglie che ne hanno bisogno e che sono disposte, soprattutto in questa fase dei primi mille giorni, a interiorizzarle e a fare qualcosa”, continua Uga.

Che ruolo ha la comunità scientifica nel sensibilizzare i cittadini?

“I pediatri hanno un ruolo molto importante nel tentare di spiegare ai genitori quanto loro si devono occupare anche del clima”, spiega Laura Reali, pediatra di libera scelta dell’ACP. “Nell’occuparsi della salute dei loro bambini, infatti, è molto importante che tengano presente anche cose apparentemente lontane come l’inquinamento atmosferico e il cambiamento climatico”. Un pediatra deve prima di tutto essere consapevole per poter informare i genitori del fatto che la salute è un bene importante per i loro bambini, che rispecchia ed è funzione dell’ambiente più o meno sano in cui si vive. I medici sono ancora una delle categorie di cui la gente si fida di più, per cui le informazioni su piccoli cambiamenti allo stile di vita che arrivano da loro sono percepite come autorevoli. “Il problema a questo punto è che bisognerebbe prima sensibilizzare i medici”, aggiunge Toffol. “Ma le conoscenze e le competenze dei medici non sono così ampie in Italia su questi temi. Nei corsi di laurea di medicina non se ne parla e rarissimi sono i master universitari su questi temi”.

I pediatri hanno un ruolo molto importante nel tentare di spiegare ai genitori quanto loro si devono occupare anche del clima.

È importante anche considerare che le famiglie e i bambini non hanno solo bisogno di sapere teorico, spesso incentrato intorno a una visione pessimistica che un certo tipo di ambientalismo tende a portare, ma sono alla ricerca di indicazioni pratiche, di piccole cose che si possono fare per ridurre l’esposizione ai contaminanti. Ed è importante che questi suggerimenti vengano declinati dalla comunità scientifica in modo personalizzato e attraverso l’esempio. “Penso sia molto importante sensibilizzare tutti quelli che sono in prima linea con le famiglie su quanto sia importante che cambino il loro stile di vita per quanto possono”, continua Uga. “Il pediatra che va in ambulatorio in bicicletta, se può farlo ovviamente, e viene visto dai propri pazienti, nel dire che ridurre l’uso dell’automobile è uno stile di vita importante sarà sicuramente più credibile”. Così come la realizzazione dei cosiddetti ambulatori verdi: “Anche tramite l’ambiente di lavoro, una volta che abbiamo interiorizzato l’importanza di questa problematica, possiamo far passare un messaggio forte: azioni semplici, come avere bidoni per la raccolta differenziata, della cartellonistica, la possibilità di utilizzare l’acqua di rubinetto invece della bottiglie di plastica. Sono tutti messaggi che poi alla famiglie restano tanto”.

Mettere la faccia perché le evidenze possano trasformarsi in azione politica

Informare per sensibilizzare è importante, ma il passaggio successivo è cercare di ottenere una legislazione che permetta di farlo e che protegga l’ambiente e la salute: abitudini che sembrano in partenza così difficili da cambiare non sono così irraggiungibili quando c’è anche una forte presa di posizione da un punto di vista politico. Basti pensare ad alcuni cambiamenti che sembravano infattibili – come la raccolta differenziata o l’abolizione dei sacchetti di plastica – che invece sono entrati nella nostra quotidianità con una certa facilità. “Sui sacchetti di plastica c’è stata una decisione politica importante a livello europeo e rapidamente negozianti, utenti e famiglie si sono abituati a usare altri mezzi e oggi ci sembra strano quando troviamo il piccolo negoziante o il banchetto della frutta che ci dà ancora il sacchetto di plastica”.

“Tutte le società scientifiche dovrebbero promuovere questi temi e discutere delle problematiche associate ad essi a livello delle istituzioni nazionali”, continua Toffol. “Ad esempio, il documento di consenso (promosso dal gruppo di ricerca I primi 1000 giorni, ndr) che si sta stilando di concerto con tutte le società pediatriche italiane è un esempio di come queste informazioni vadano trasmesse fortemente alle istituzioni politiche da parte di tutta la categoria dei medici”. Ma, ad esempio, cosa si potrebbe fare? “Il fatto che ancora adesso davanti a quasi tutte le scuole scorra normalmente il traffico urbano è una cosa preoccupantissima per i bambini che stanno nelle scuole”, sottolinea Toffol. “Basterebbe anche imporre il limite di velocità a 30 all’ora e sarebbe una cosa di sicura efficacia e di facile realizzazione. Oppure pensare che tutti i cortili delle scuole possano essere trasformati in cortili verdi: togliere l’asfalto da tutti i cortili delle scuole dando ai bambini la possibilità di stare nel verde e in spazi alberati sarebbe un altro intervento semplice da realizzare che può essere promosso da una forte volontà da parte delle associazioni mediche”.

Di buon auspicio è l’approvazione all’unanimità da parte della Camera dei deputati della mozione finalizzata alla realizzazione di un Piano nazionale per l’infanzia all’interno del Piano nazionale di ripresa e resilienza. “L’unanimità della Camera penso imponga al Governo delle scelte su questi temi”, conclude Toffol. “Il documento approvato riporta quelli che sono i principali problemi dell’infanzia: problemi di salute – come le malattie che da acute si sono trasformate in croniche o i problemi di neurosviluppo e salute mentale – ma si parla anche di problemi sociali, disuguaglianze, minacce del cambiamento climatico e del degrado ambientale. Speriamo che questa mozione serva perché se non si comincia adesso i problemi di salute e i problemi sociali dei bambini peggioreranno”.