11 marzo 2020. L’Organizzazione mondiale della sanità dichiara ufficialmente lo stato di pandemia per il nuovo Coronavirus. Una tempesta sanitaria di proporzioni gigantesche si abbatte sulle nostre esistenze modificando l’assetto della vita sociale ed economica e cambiando radicalmente anche il modo in cui si pratica la medicina. Bastano poche settimane e la quarantena e il distanziamento fisico previsti dalle nuove regole fanno precipitare il numero delle visite mediche “in presenza”. La telemedicina, che in molti contesti era ancora considerata poco più che una stravaganza nerd, da citare nei documenti e nelle linee guida per assicurarsi il bollino di modernità, si ritrova improvvisamente al centro della scena… per restarci? “La pandemia ha creato un enorme problema di salute pubblica, ma il problema più grande non era che i pazienti con covid-19 non potessero ricevere cure: era che le persone senza la malattia non potevano accedere alle loro cure normali”, sintetizza Michael Okun, professore di neurologia dell’Università della Florida, in un editoriale su Jama Neurology.
I dati della Mayo clinic
I timori legati al virus hanno fatto ritardare tutti i tipi di assistenza sanitaria negli Stati Uniti (come d’altronde è avvenuto anche in Europa e in Asia). Un dato su tutti, che risale alla prima ondata, è la diminuzione del 42 per cento delle visite al pronto soccorso nell’aprile 2020 rispetto allo stesso periodo di tempo del 2019. Tra i grandi centri americani la Mayo Clinic (che con i suoi 1,2 milioni di pazienti all’anno è il più grande in America) ha avuto un calo netto del 78 per cento nelle visite “in presenza” tra metà marzo e metà aprile. Come era prevedibile, considerando lo stesso periodo, si è assistito al boom dei servizi sanitari digitali (+10,88 per cento degli appuntamenti per videovisite al domicilio dei pazienti). Prima della pandemia solo 300 medici avevano effettuato almeno una visita di videotelemedicina nell’anno precedente. Entro la metà di luglio quel numero è aumentato del 2000 per cento fino a oltre il 6500.
In una fase in cui l’esposizione di persona doveva necessariamente essere limitata, la telemedicina è sembrata da subito l’unica via per mantenere collegati medici e pazienti. Tra l’altro il suo utilizzo diffuso rendeva anche abile e arruolabile una moltitudine di professionisti costretti alla quarantena precauzionale ma perfettamente in grado di svolgere la loro funzione, almeno a distanza. “La pandemia di covid-19 ha sostanzialmente accelerato lo sviluppo della sanità digitale negli Stati Uniti di circa 10 anni”, scrive Bart Demaerschalk, direttore medico per i servizi sincroni del Mayo’s Center for Connected Care.
Il problema più grande non era che i pazienti con covid-19 non potessero ricevere cure: era che le persone senza la malattia non potevano accedere alle loro cure normali.
Telemedicina sincrona e telemedicina asincrona
Quando si parla di “telemedicina” si usa un termine abbastanza generico che si riferisce alla fornitura di assistenza medica a distanza attraverso tecnologie dedicate. In realtà esistono due categorie di telemedicina: quella sincrona e quella asincrona.
La prima è in tempo reale, per esempio nel caso di una videochiamata tra un paziente e un medico, ma anche quando la telecomunicazione si verifica tra gli stessi medici: un medico di pronto soccorso che decide di consultare a distanza un esperto di ictus per attuare il miglior trattamento possibile per un paziente. Per la telemedicina asincrona si possono citare le tecnologie cosiddette “store-and-forward” che permettono di raccogliere i dati dei pazienti e di trasferirli in modo sicuro su una piattaforma cloud a cui altri utenti autorizzati possono accedere in qualsiasi momento (per esempio i portali online che mettono in comunicazione pazienti con medici e medici con altri medici); oppure i chatbot, cioè i risponditori automatici che simulano una conversazione con un essere umano in carne e ossa, come quelli progettati ultimamente per aiutare un paziente a decidere se sottoporsi al test per il covid-19; e ancora, è considerato telemedicina asincrona il monitoraggio a distanza dei pazienti con i dispositivi indossabili o impiantabili.
Una serie di vantaggi
La telemedicina offre molti vantaggi rispetto alla visita tradizionale faccia a faccia. È più veloce, più conveniente, in certi casi permette di offrire cure migliori e poi, in era covid-19, garantisce decisamente di più sicurezza per i pazienti e gli operatori sanitari. Se esistono due condizioni che limitano di più e in modo più drastico l’accesso alle cure, queste sono la distanza e la disabilità. Non doversi recare in ospedale o presso lo studio del medico rappresenta un vantaggio enorme soprattutto nelle popolazioni ad alto rischio, anziani e persone con condizioni mediche croniche prima di tutto. Senza contare l’altra innegabile prerogativa della telemedicina, cioè la comodità. È stato calcolato che negli Stati Uniti i pazienti impiegano in media 2 ore del loro tempo per un appuntamento dal medico, ma solo 20 minuti sono occupati dalla visita. Il resto è viaggio e sala d’attesa.
La soddisfazione del paziente
C’è una parte “pratica” della visita medica tradizionale che ha sicuramente una funzione importante, ma è soltanto un tassello dell’intera esperienza. Molti medici hanno verificato che i pazienti sono molto più coinvolti e (soprattutto) molto meno stressati quando ricorrono alle televisite.
Russell Libby, fondatore e presidente del Virginia Pediatric Group, non sembra avere dubbi: “All’inizio è stato piuttosto difficile convincere le persone che si tratta di un buon modo di vedere il proprio medico, ma, nel giro di una settimana o due, l’aspettativa e l’atteggiamento sono cambiati del tutto … La telemedicina è stata ampliata in modo significativo all’interno dello studio. Alcuni dei nostri medici più anziani a rischio covid utilizzano soltanto la telemedicina per continuare a prendersi cura dei pazienti … penso davvero che la telemedicina abbia un posto importante nel futuro della nostra pratica. Dobbiamo incorporarla in una serie di paradigmi di cura, penso che aiuterà a migliorare i risultati, a creare una maggiore propensione a incontrare i nostri medici piuttosto che ricorrere ai pronto soccorso”.
Nell valutazione dell’impatto sui pazienti non bisogna sottovalutare comunque l’ostacolo rappresentato dal cosiddetto “divario digitale”, cioè i tassi più bassi di dotazione tecnologica, di adozione della banda larga e di alfabetizzazione digitale che riguardano soprattutto gli anziani e le persone con uno status socioeconomico più basso. Il rischio concreto è che la telemedicina, invece di abbattere le barriere che ancora separano le persone dall’assistenza sanitaria, finisca con l’esacerbare le disuguaglianze che già esistono tra i pazienti più marginalizzati.
La soddisfazione del medico
Dalle visite virtuali possono arrivare informazioni ai curanti che altrimenti non sarebbero in grado non ottenere. Sempre Libby: “Ho un’idea dell’ambiente domestico del paziente, che può fornire importanti indizi sulla sua salute. Poi, durante una videochiamata, i pazienti che non riescono a ricordare quale farmaco stanno assumendo possono semplicemente prendere il flacone e mostrarmelo”.
Tuttavia le videovisite presentano anche dei rischi, come il fatto che “il paziente diventi in qualche modo indipendente dalla valutazione del medico, e questo potrebbe dar vita a comportamenti di autogestione con i rischi del caso, soprattutto dal punto di vista clinico”, teme Enrico Gianluca Caiani (professore associato del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria, Politecnico di Milano) che abbiamo intervistato sull’argomento. Un altro rischio evidenziato da Caiani è poi “è che la relazione medico-paziente resti più legata all’analisi del dato che all’analisi dei riscontri obiettivi della visita in presenza con tanto di tocco, auscultazione e così via”.
È poco costosa e conveniente, ma non sarà mai equivalente a un esame fisico che include tutte le qualità umane di giudizio e comunicazione.
In effetti i medici più competenti usano tutti i loro sensi, non solo l’udito e la vista. Valutano l’intero paziente: un improvviso zoppicare, un cambiamento di postura, un nuovo pallore… Spesso è essenziale ciò che i pazienti non notano o di cui non si lamentano. E non esiste un test diagnostico più economico dell’imposizione delle mani.
Anche Eric Topol, direttore dello Scripps Research Translational Institute è convinto che l’improvvisa corsa alla “virtualizzazione” rischia di diminuire la qualità dell’assistenza clinica. “È poco costosa e conveniente, ma non sarà mai equivalente a un esame fisico che include tutte le qualità umane di giudizio e comunicazione”. Anche se alla fine chiosa che “con la covid-19 questo è un compromesso che dobbiamo accettare”.
I costi
Non si può parlare di telemedicina senza almeno accennare a un altro grande vantaggio, almeno potenziale, cioè il suo costo. “La telemedicina non solo può prevenire inutili visite al pronto soccorso, ma esistono anche altre spese collegate alle visite ‘in presenza’, come i test di laboratorio o gli elettrocardiogrammi, che potrebbero non essere necessari e non vengono utilizzati durante una visita video”, sostiene Libby.
Il risparmio da parte del servizio sanitario rischia però di ricadere direttamente sugli utenti che devono necessariamente attrezzarsi a un tipo di interazione nuova, investendo in competenze e strumenti tecnologici e senza i quali verrebbero inevitabilmente lasciati indietro.
La privacy
Quando si pensa alla telemedicina la prima preoccupazione che invariabilmente emerge è quella di garantire la privacy e la sicurezza dei pazienti, un argomento che occupa i pensieri degli operatori sanitari, dei consumatori e della politica.
Negli Stati Uniti per facilitare l’uso della telemedicina durante la pandemia l’amministrazione Trump non ha esitato a mettere mano direttamente alle singole norme. Forse il cambiamento più significativo in questo senso – per ora efficace per tutta la durata dell’emergenza nazionale covid-19 – è che i fornitori di servizi sanitari sottoposti all’Health Insurance Portability and Accountability Act del 1996 (Hipaa) possono utilizzare app per la telemedicina anche non completamente conformi agli standard Hipaa: FaceTime, Zoom, Skype e le altre. Ma anche altri paesi oltre agli Stati Uniti hanno anche modificato alcune norme per rendere meno complicato il ricorso alla telemedicina, Francia e Cina per esempio.
“Le piattaforme usate in questa fase di emergenza dai medici hanno sicuramente aiutato a mantenere o a sviluppare la relazione medico-paziente. Si pone però un problema di privacy perché queste piattaforme non sono nate specificamente per gestire una comunicazione di dati medici, per cui andrebbe valutato l’uso di piattaforme ad hoc”, avverte Caiani.
Il settore sanitario è molto rigido (le piattaforme di telemedicina tradizionali infatti garantiscono una sicurezza pressoché totale), ed è giusto che sia così data l’importanza della sicurezza e della privacy dei pazienti e degli operatori sanitari. In tempi di pandemia però questa rigidità può mettere in pericolo proprio le persone che cerca di proteggere.
Un primo e decisivo passo sarebbe quello di aggiornare le leggi per ridurre almeno i costi di conformità, facendo attenzione a garantire che sia protetto il nucleo della protezione dei dati personali. E il Regolamento generale sulla protezione dei dati (Gdpr) dell’Ue è degli ostacoli più evidenti. “La Gdpr europea prevede che per poter utilizzare i dati del paziente occorre richiedere un consenso esplicito che non può essere generico ma devo rendere esplicito come e da chi verranno utilizzati i dati. E il consenso può essere ritirato”, sottolinea Caiani.
Si pone un problema di privacy perché queste piattaforme non sono nate specificamente per gestire una comunicazione di dati medici, per cui andrebbe valutato l’uso di piattaforme ad hoc.
La struttura degli standard di sicurezza e tecnologia ha creato in effetti un ambiente complesso per le start-up e i fornitori di telemedicina, così complesso da far sospettare che il successo dell’Asia nella lotta alla pandemia sia in parte da attribuire alla sua “disinvoltura” nel districarsi tra leggi, standard, privacy e salute pubblica.
Tecnologie per la distanza
Sarebbe impossibile in questo spazio fornire una rassegna anche solo parziale dei progressi tecnologici che stanno spingendo la telemedicina ben oltre i limiti che sembravano fissati soltanto qualche anno fa. Vale comunque la pena citarne alcuni.
TytoCare è un factotum digitale che “aumenta” l’esame fisico da remoto. Effettua registrazioni del cuore e dei polmoni; esegue l’imaging dell’orecchio, della bocca e della pelle; rileva la temperatura corporea. Le informazioni acquisite attraverso il dispositivo sono poi trasmesse al medico in tempo reale tramite un’app dedicata. Poi ci sono i sistemi di monitoraggio della pressione sanguigna a distanza che trasmettono le misurazioni tramite wi-fi o bluetooth.
Gli orologi Apple misurano la frequenza cardiaca e alcuni modelli possono eseguire un elettrocardiogramma. Fin qui dal lato paziente (cioè rispetto ai dispositivi azionati dal paziente). Ma esiste anche una serie di device a disposizione dei professionisti per condurre un consulto a distanza con uno specialista, per esempio gli oscilloscopi digitali che forniscono immagini o suoni di alta qualità da una serie di parti del corpo, e gli apparecchi Bluetooth per la stimolazione cerebrale profonda che rilevano i segnali cerebrali e inviano impulsi elettrici per bloccare quelli anormali.
La situazione in Italia
La telemedicina non era stata riconosciuta formalmente in Italia prima della pandemia e la mancanza di regole relative a tariffe e rimborsi e al contesto di applicazione hanno rappresentato e rappresentano uno dei principali ostacoli alla realizzazione dei progetti anche in questa fase.
Alcune Regioni (Veneto, Toscana, Valle d’Aosta e Piemonte in particolare) hanno scelto di definire in modo autonomo le modalità di fruizione dei servizi digitali, mentre il Ministero della Salute ha anche pubblicato delle linee guida che indicano la telemedicina come modalità privilegiata per le visite mediche.
Da una ricerca dell’Osservatorio innovazione digitale in sanità del Politecnico di Milano emerge un cambiamento non trascurabile nella percezione dei medici degli strumenti digitali rispetto all’epoca pre-covid: dai dati il 75 per cento dei medici crede che la telemedicina abbia un ruolo determinante durante l’emergenza e più del 50 per cento ritiene che possa migliorare i processi e l’efficienza delle cure.
“Il nostro Osservatorio ha monitorato la salute digitale in Italia negli ultimi 14 anni e la percezione dell’utilità di questi strumenti in precedenza era uno degli ostacoli. Ma dopo l’esperienza dell’emergenza abbiamo visto che questa barriera non è così forte “, spiega Paolo Locatelli, responsabile scientifico dell’Osservatorio.
Oggettivamente l’Italia, anche se in buona compagnia da questo punto di vista, si è trovata impreparata a gestire i pazienti bloccati con malattie croniche a causa della scarsa diffusione su larga scala di soluzioni di telemedicina. Ma i problemi che rallentano l’implementazione diffusa sono molti: servizi di telemedicina sono sparsi e non interconnessi, e questo ostacola l’integrazione con la cartella clinica elettronica; manca un vero approccio multidisciplinare alla gestione del paziente; le regole sulla privacy sono molto stringenti; mancano linee guida chiare; infine, almeno per ora, manca la rimborsabilità che “costituisce uno dei principali limiti da superare”, secondo Caiani.
Un ultimo aspetto che rallenta lo sviluppo è che molti servizi di telemedicina finanziati a livello locale o centrale non hanno prove di efficacia clinica e prospetti di costo raccolti in base a quadri di valutazione scientifica appropriati. Detto in parole più povere, a volte mancano gli elementi per capire se funzionano ed effettivamente quanto costano rispetto a un servizio “tradizionale”. Questo aspetto è particolarmente critico perché di fatto rende l’implementazione di questi servizi imperfetta e inefficiente: devono forzatamente essere messi a punto e ottimizzati “in corsa” quando invece l’aspettativa è che siano immediatamente (ed efficacemente) operativi.
Il nuovo “normale”?
La domanda delle domande è cosa succederà alla telemedicina nei prossimi anni, quando auspicabilmente saremo fuori dalla pandemia e avremo imparato a convivere con il nuovo coronavirus. “È improbabile che l’attuale elevato utilizzo della telemedicina persisterà esattamente allo stesso modo in futuro, ma quasi certamente rimarrà più alto sia per i pazienti che per i fornitori di quanto non fosse pre-pandemia”, è la facile profezia di Demaerschalk.
L’obiettivo iniziale quando la pandemia ha cominciato a mordere era chiaro: fornire una risposta efficace allo stress a cui è stato sottoposto il nostro sistema sanitario nazionale, riducendo la pressione sugli ospedali ed evitando a pazienti e caregiver spostamenti non necessari. Il sottotesto è sempre stato però che non venissero compromessi i princìpi su cui si basa la sanità moderna, cioè la continuità assistenziale dei servizi, l’impostazione paziente-centrica e la riduzione al minimo dei rischi per la salute pubblica.
Oggi, e domani, le nuove prospettive aperte dalla telemedicina dovranno integrarsi con gli attuali percorsi terapeutici e assistenziali, aggiornando il modo di offrire i servizi alla persona e potenziando la medicina territoriale di prossimità. Con queste premesse è probabile che assisteremo al passaggio dalla centralità dell’ospedale alla casa come luogo principale di assistenza, limitando l’ambito ospedaliero ad attività ed esami più specifici.
Ma le sorti della telemedicina nel breve periodo dipendono molto dalla capacità di “resistenza” dei cambiamenti che sono avvenuti durante l’emergenza covid-19. La telemedicina non dovrebbe più essere considerata come una possibile opzione o un’aggiunta alla sanità “normale” per reagire a un’emergenza, ma come un potenziamento stabile delle possibilità di assistenza. Già preziosissima oggi per garantire la continuità delle cure dei pazienti affetti da malattie croniche, con l’accelerazione dei progressi tecnologici tipica della nostra epoca, potrebbe in un futuro molto vicino rivoluzionare del tutto il concetto stesso di assistenza sanitaria.