Non ha dubbi Nicola Lagioia, chiudere cinema, teatri e sale da concerto è stato un passo falso. Da scrittore si mostra spaventato per la decisione presa dal Governo con il Dpcm del 18 ottobre e confermata in quello ancora più restrittivo del 3 novembre: “Mi fa paura perché sembra lontana dal pieno controllo della razionalità che dovrebbe risplendere su queste soluzioni, e mi sembra sbagliata per almeno tre ragioni importanti”. Su tutte, i numeri. Secondo un’indagine dell’Agis, infatti, su 347.262 spettatori in 2.782 spettacoli monitorati tra lirica, prosa, danza e concerti, nel periodo che va dal 15 giugno ai primi giorni di ottobre, si è registrato un solo caso di contagio da covid 19.
Tenere aperto si può
Questi numeri non sono distanti da quelli diffusi dal Festival di Salisburgo, un evento di musica lirica che si svolge ogni agosto nelle rinomate sale da concerto della città austriaca. Nonostante la pandemia di covid-19, a fine maggio gli organizzatori hanno annunciato che avrebbero portato avanti il programma per celebrare il centenario del Festival grazie anche alla collaborazione con esperti di salute pubblica per elaborare protocolli di prevenzione. Oltre a chiedere di indossare mascherine e di rispettare la distanza di un metro, sono stati ridotti i posti a sedere bloccando i sedili in modo che le persone non potessero aggirare le restrizioni, non ci sono stati intervalli durante le esibizioni, non erano presenti rinfreschi, ovunque si trovavano distributori di disinfettanti e i locali venivano puliti più del solito. Ancora, il semplice acquisto di un biglietto significava accettare di impegnarsi nel tracciamento dei contatti. Nonostante le restrizioni, o forse perché rassicurati da queste, il Festival ha attirato più di 76.000 visitatori da 39 Paesi. Secondo il rapporto finale sull’evento, “non è stato segnalato un solo caso positivo alle autorità” e dei 3.600 tamponi effettuati sulle 1.400 persone coinvolte nella preparazione del Festival, solo uno è risultato positivo all’inizio di luglio: un caso con sintomi lievi.
Il successo del Festival di Salisburgo ha spinto il Teatro dell’Opera di Vienna, o Wien Staatsoper, a riavviare le esibizioni al coperto a settembre con un po’ più di fiducia. E fino a prima del lockdown austriaco ha tenuto a bada i contagi con pratiche di controllo delle infezioni dietro le quinte che tengono testa a quelle utilizzate in un ospedale. Quando ad agosto sono iniziate le prove, a ognuno dei quasi 1.000 membri dello staff è stato fatto un tampone prima di entrare a lavorare imponendo poi l’obbligo di mascherina. Sono stati quindi suddivisi in quattro gruppi in base al loro livello di rischio: i cantanti e le persone che lavorano direttamente con i cantanti fanno parte del gruppo rosso, considerati ad alto rischio poiché non possono sempre indossare la mascherina o mantenere le distanze sul palco, e vengono testati ogni settimana. Gli amministratori fanno parte del gruppo arancione e vengono testati ogni quattro settimane. I gruppi giallo e bianco – di cui fanno parte persone che non hanno stretto contatto con gli artisti, come gli addetti alle consegne – vengono testati solo se c’è un’esposizione nota. Perché sia chiaro a tutti a che gruppo appartiene ognuno, indossano cordini colorati per indicare il rischio che corrono, e i gruppi sono istruiti a stare separati.
La nostra è un’industria come un’altra e il fatto che siamo considerati superflui perché facciamo divertire la gente è gravissimo.
In Italia l’Accademia Musicale Chigiana, aperta a Siena nel 1932 e da allora uno dei punti di riferimento musicali italiani, allo scoppio della pandemia ha optato per una soluzione diversa. Ha deciso di trasmettere per la prima volta un’intera stagione in streaming per un totale di 19 concerti. “Ci ha consentito di rimanere presenti nella comunità culturale da marzo fino a giugno, offrendo al pubblico concerti inediti, effettuati e registrati presso l’Accademia nei festival estivi dei tre anni precedenti. Il lancio di questo progetto era previsto per la fine dell’anno, ma l’improvvisa emergenza sanitaria ci ha portati a contrarre i tempi di lavorazione e a mettere immediatamente a disposizione dell’utenza questa ampia e preziosa offerta”, racconta a Senti chi parla Nicola Sani, direttore artistico dell’Accademia. Un modo, questo, per scoprire ancora di più le potenzialità dell’online e mettersi alla prova con sé stessi. La pandemia ha sottolineato ancora una volta le potenzialità del web, facendo venire in mente soluzioni nuove. “Per noi l’utilizzo dell’online non si è limitato alla trasmissione in streaming di concerti, ma è stata occasione per la creazione e la sperimentazione di una nuova piattaforma per la trasmissione a distanza dei corsi e dei seminari di perfezionamento musicale nell’ambito della Chigiana Summer Academy. Questo ci ha consentito di effettuare tutti i corsi estivi di perfezionamento musicale di quei docenti impossibilitati, dall’espansione della pandemia da covid-19, a viaggiare e raggiungere la città di Siena”, continua Sani. Anche se si dovesse tornare alla normalità, qualcosa di utile in termini di opportunità di diffusione della cultura potrebbe confermato? “Sicuramente questa modalità sarà mantenuta e costituirà un complemento importante delle lezioni della Chigiana, così come lo streaming dei concerti, per cui stiamo studiando una piattaforma digitale dedicata, affiancherà i concerti dal vivo”, conclude il direttore artistico.
Uno dei motivi che spinge i lavoratori a chiedere di non bloccare completamente gli eventi è che sono abituati da tempo a fare i conti con serie misure organizzative. “Tutta la normativa della sicurezza dei partecipanti durante gli eventi noi la applichiamo da decenni aggiornandola sulla base delle normative europee. La abbiamo sempre applicata in maniera precisa soprattutto dopo gli attentati che ci impongono una serie di cose: dal tracciamento dei contatti, che quindi siamo abituati a fare, fino al controllo dei flussi. Però è più facile chiudere noi che la metropolitana di Milano, quando lì dalle 8 alle 10 c’è il vero affollamento. È importante che si superi la tara culturale e moralistica per cui noi siamo superfluo. La nostra è un’industria come un’altra e il fatto che siamo considerati superflui perché facciamo divertire la gente è gravissimo”, spiega a Senti chi parla Fabio Pazzini, direttore di produzione di eventi e socio fondatore di Bauli in piazza. Dello stesso avviso è Demetrio Chiappa, presidente di Doc Servizi, la più grande cooperativa dello spettacolo in Italia. Ci racconta che “sono stati osservati protocolli ancora più rigidi del solito. Non è stato giusto chiudere così, anche perché i locali hanno investito sulla base dei precedenti Dpcm. Il problema non è nei locali, ma sta negli assembramenti fuori, nei mezzi di trasporto. Allora perché non si è intervenuto su quello?”.
Per la cultura, rischio la vita
Non si può non pensare, però, che tenere aperti i teatri e permettere eventi mette a dura prova gli artisti stessi, costretti a scegliere tra l’amore per la cultura, il loro sostentamento e la loro salute. Un esempio lampante del potenziale pericolo di esibirsi dal vivo durante una pandemia è arrivato dalla Russia all’inizio di settembre. Anna Netrebko – rinominata la Beyoncé del mondo dell’opera – è risultata positiva al nuovo coronavirus. Netrebko aveva cantato nella prima esibizione fatta dopo il lockdown al Teatro Bolshoi di Mosca con un altro cantante, poi risultato infetto. “Non sono pentita di essere tornare a esibirmi – ha twittato – perché credo fermamente che abbiamo bisogno di cultura, ora come sempre”. Da allora, ha iniziato a fare dirette su Instagram dal suo letto d’ospedale per esprimere solidarietà agli altri artisti.
Nonostante ci sia davvero un grande bisogno di cultura e di stimoli alla riflessione, di occasioni per elaborare quanto la pandemia stia cambiando le nostre vite, forse non possiamo non prendere in considerazione la gravità della situazione in cui ci troviamo. Nel mondo si registrano ormai quasi 48 milioni di contagi e in Italia siamo nel pieno della seconda ondata. Innanzitutto, sappiamo bene che la maggior parte della trasmissione del virus avviene in luoghi chiusi in cui è difficoltoso il ricambio continuo d’aria. Anche cantare è un’attività particolarmente pericolosa, dal momento che agevola la diffusione nell’aria di droplet e aerosol che, se una persona è infetta, possono trasmettere il virus ad altri.
Non deve esserci dubbio sul fatto che nel buco nero di una pandemia che sembra non finire più abbiamo davvero bisogno di arte, cultura e bellezza come del pane.
“Forse bisognerebbe fermarsi un attimo e riflettere sulle parole che stiamo spendendo e le proposte che stiamo avanzando per non chiudere cinema, teatri, sale da concerto”, scrive su Internazionale Marino Sinibaldi, direttore di Rai Radio 3. “Non perché siano sbagliati gli argomenti, e tantomeno non condivisibili le intenzioni. Non deve esserci dubbio sul fatto che nel buco nero di una pandemia che sembra non finire più abbiamo davvero bisogno di arte, cultura e bellezza come del pane. Ne abbiamo bisogno come comunità e come singoli individui: senza saremmo (siamo) tutti più deboli, più poveri, più soli. Ma una pandemia è qualcosa che irrompe nelle nostre vite e non si lascia dominare (…) Bisogna in primo luogo chiedere risorse certe e rapide per un mondo che ha sempre vissuto ai margini della povertà e che ora rischia di precipitare. È in gioco, puramente e semplicemente, la sua esistenza. In vista c’è la scomparsa di un intero tessuto di compagnie, orchestre, gruppi e singoli operatori. Risorse – cioè soldi e servizi – subito, anzitutto. Ma poi bisogna pensare come non perdere la ricchezza dell’esperienza artistica e culturale”.
Caliamo il sipario?
Può sembrare tragica la previsione di Marino Sinibaldi, quando parla di un mondo che potrebbe scomparire, ma a parte poche realtà, i teatri e le compagnie di tutto il mondo dall’inizio della pandemia continuano a licenziare lavoratori e a tagliare stipendi. Solo per citarne alcune, due delle più grandi agenzie di talenti di musica classica – la Columbia Artists Management negli Stati Uniti e Hazard Chase nel Regno Unito – hanno recentemente chiuso. Il 23 settembre, il Metropolitan Opera di New York ha annunciato che rimarrà chiuso almeno fino a settembre 2021, riprendendo le esibizioni solo quando ci sarà un vaccino e quando mascherine e distanziamento fisico non saranno più necessarie, con una perdita stimata di più di 100 milioni di dollari. E se guardiamo all’Italia, i biglietti staccati nel 2020 sono stati il 75 per cento in meno rispetto al 2019, il 20 per cento dei 1.218 cinema italiani non ha mai riaperto, la perdita di incasso per i gestori delle sale è stata di 123 milioni di euro. I lavoratori fermi sono almeno 340.000 e, considerando tutta la filiera, si stima una perdita di 8 miliardi in un solo mese di fermo. Una catastrofe solo in parte attenuata dalla cassa integrazione e dai contributi del Fondo emergenze del ministero per i Beni e le Attività culturali.
“Consideriamo anche – continua Chiappa – che ci sono tre livelli di eventi. I grandi eventi, come i concerti, che muovono migliaia di persone a evento sono stati sospesi e rimandati al 2021. Pensiamo solo che dietro a un concerto ci sono dalle 80 alle 200 persone che lavorano. Poi, c’è il settore degli artisti che richiamano un pubblico medio che si sono mossi come potevano, magari facendo due eventi al giorno con un pubblico ridotto. Infine, la categoria più colpita, perché la pandemia le ha bloccate completamente: le Pro Loco. Spesso erano attività svolte da appassionati che lavoravano investendo, e molti locali hanno iniziato a chiudere. Già 130 circoli Arci hanno chiuso solo a Roma”.
Anche per questo Nicola Lagioia non è stato l’unico ad aver espresso preoccupazione per la recente chiusura. Ne hanno parlato Alessandro Baricco, Chiara Saraceno, Nanni Moretti, Marco Bellocchio, solo per citarne alcuni. Ma anche gestori delle sale, macchinisti, direttori artistici. Lo stesso Fedez – contattato qualche settimana fa dal presidente del consiglio Giuseppe Conte per chiedere aiuto nel sensibilizzare i giovani all’utilizzo della mascherina – ha lanciato su Instagram una campagna per aiutare i lavoratori del mondo dello spettacolo duramente colpiti dalla pandemia. L’appello più accorato, però, è nella lettera indirizzata a Giuseppe Conte e Dario Franceschini firmata da registi, sceneggiatori e non solo. “La cultura è un bene primario come la salute”, si legge. “Azzerare oggi una parte fondamentale come quella dello spettacolo è un’azione priva di logica e utilità. L’eliminazione degli unici presidi di socialità sicuri, alternativi alla movida di strada e alla convivialità dei locali di ristorazione, comporterebbe il disorientamento di quella parte della popolazione che meglio sta reagendo alla pandemia”.
Questa crisi ha reso evidente che il nostro settore è molto parcellizzato sia professionalmente sia dal punto di vista imprenditoriale.
Oltre alla presa di posizione di artisti famosi, appoggiati da scrittori e intellettuali del nostro Paese, sono nati diversi movimenti da chi lavora dietro le quinte, ma ugualmente indispensabile. Su tutti il movimento dei Bauli in piazza. “L’idea è venuta a me e ad altri tre colleghi, cercando di capire cosa si potesse fare per uscire da questa situazione”, racconta Pazzini. “Questa crisi ha reso evidente che il nostro settore è molto parcellizzato sia professionalmente sia dal punto di vista imprenditoriale: ci sono alcune associazioni editoriale, alcune di lavoratori, ma rappresentano una fetta limitata del nostro mondo e per di più in questi mesi si sono mosse in maniera autonoma. Così, dopo una riunione su Zoom a fine agosto, abbiamo pensato di unirle tutte sotto un’unica bandiera e portarle in piazza per dimostrare ai cittadini – che ci ignorano perché non sanno che esistiamo – e alle istituzioni – che ci ignorano perché evidentemente non ci considerano massa acritica sufficiente – che in realtà siamo tanti e soprattutto organizzati”. Il 10 ottobre Piazza Duomo a Milano si è riempita di 500 bauli neri schierati da 1.300 operatori del mondo dello spettacolo. I bauli per il trasporto di attrezzature sono stati disposti in file distanziate, a rappresentare le capacità organizzative di un comparto produttivo già abituato a operare con ordine e per questo in grado di organizzare eventi rispettando il distanziamento fisico. “All’iniziativa hanno aderito tutti – continua Pazzini –, associazioni editoriali, professionisti, imprese, agenzie di eventi, scenografi, tecnici delle luci, dipendenti del settore. Abbiamo preferito coinvolgere i lavoratori e le aziende e non gli artisti perché volevamo puntare l’attenzione su quello che c’è dietro l’artista, cioè tutta una serie di lavoratori che fanno seriamente il loro mestiere”.
L’obiettivo di Bauli in piazza è sensibilizzare gli organi istituzionali ad aprire un tavolo di trattativa. “Abbiamo fatto diverse richieste di sostegno ai lavoratori, anche perché una volta finita la pandemia si tornerà a fare questo lavoro. Ma se nel frattempo le aziende chiudono e i lavoratori spariscono perché devono trovarsi altri lavori si perdono diverse professionalità importanti, con competenze che soprattutto nel nostro mestiere si acquisiscono sul campo. Sarebbe una grave perdita per l’economia perché il nostro settore produce miliardi di euro. La necessità, quindi, è che le istituzioni ci ascoltino e prendano seriamente in considerazione le nostre richieste”, spiega Pazzini. “Cosa altrettanto importante è iniziare a pianificare già oggi una graduale ripartenza che oggi manca totalmente. Che avvenga a marzo, a giugno o a settembre prossimo, bisogna parlare di protocolli chiari già da ora e non cambiare idea ogni settimana”.
Una catastrofe che rischia di non venir compresa nella sua totalità anche per la difficoltà di individuare il numero reale di persone che lavora nel mondo dello spettacolo. A spiegarcelo è Demetrio Chiappa: “I numeri purtroppo sono poco chiari perché il settore della cultura – dall’arte allo spettacolo, fino alla musica – spesso non è misurabile perché in molti ambiti si deve fare i conti con il cosiddetto lavoro sommerso. Attualmente l’Inps considera 372.000 lavoratori dello spettacolo, ma si tratta delle figure professionali iscritte all’Enpals che non comprendono chi ha un’altra attività, i minori di 18 anni e gli over 65. Per questo si può parlare tranquillamente di mezzo milione di persone. Consideriamo anche tutte le figure che ruotano intorno al mondo dello spettacolo: social media manager, fotografi, creativi, una rete di figure professionali che hanno perso la possibilità di lavorare”.
Il problema del sommerso, con la conseguenza di non conoscere l’entità reale della forza lavoro nel mondo dello spettacolo, è serio. “È fondamentale da un punto di vista politico avere dei numeri per sapere come muoversi”, continua Chiappa. “Non si possono prendere le misure come si fa in altri settori. Come Forum Arte e Spettacolo abbiamo fatto delle proposte per una riforma del settore: oltre a diversi aspetti che riguardano il supporto ai lavoratori, abbiamo proposto anche che venga istituita una piattaforma digitale dove registrare ogni evento in modo che si possano tracciare tutti i soggetti che vi lavorano, i compensi e ciò che ne consegue. Dobbiamo intervenire per fare in modo che questo settore sia equiparato a tutti gli altri, anche perché non siamo secondi a nessuno”.
In Europa va un po’ meglio?
In Europa si stima che circa 8 milioni e mezzo di persone vivono di cultura, ovvero il 3,7 per cento del numero totale di persone occupate. Un settore che, stando ai dati, è costantemente in crescita calcolando che tra il 2011 e il 2016 il numero di persone che lavorano nel settore della cultura è aumentato del 7 per cento, per un totale di 549.000 posti di lavoro in più. Ma la sopravvivenza dell’industria culturale sembra essere una priorità più alta in alcuni Paesi rispetto ad altri. Ciò che ha fatto la differenza, è che in alcuni Paesi il settore culturale è stato meglio preparato per affrontare questa crisi a causa di decenni di pesanti investimenti statali e di una migliore protezione sociale per gli artisti. “Ogni stato si è mosso in maniera diversa. La Francia ha sempre riconosciuto il lavoro intermittente dei lavoratori dello spettacolo, dando ormai da diversi anni un’indennità di disoccupazione agli artisti nei periodi di fermo e ha continuato a elargirla. In Germani fin da subito sono stati dati 5.000 euro a ogni artista: un gesto che dimostra una sensibilità molto maggiore sul tema. In Spagna è stata riconosciuta la cultura come bene primario, cosa che chiediamo da tempo anche qui in Italia, per ora senza successo”, afferma Demetrio Chiappa.
Data l’urgenza della situazione, l’agenzia europea per la cultura Europa Creativa ha accelerato l’attuazione del programma di sovvenzioni da 48,5 milioni di euro che è in corso per tutto il 2020 e ha richieste rapide per massimizzare le possibilità di soccorso alle organizzazioni prima che falliscano. Nonostante questo, diversi artisti europei di alto profilo – tra cui l’artista Marina Abramović, la regista Agnieszka Holland, il cantante Björk – hanno lanciato un appello congiunto affinché l’Unione Europea “sia coraggiosa e investa in cultura e arte” e con un invito a tutti i leader europei a “includere pienamente la cultura nelle loro strategie nazionali”. Un invito che mostra grande solidarietà e che speriamo venga accolto il prima possibile. “Da marzo anche in Italia c’è stato un grande senso di solidarietà – conclude Chiappa – Per la prima volta in decenni tutte le organizzazioni del settore artistico si sono unite in vari tavoli per raccontare in maniera condivisa questi problemi. Dai grandi artisti ai tecnici. È importante perché dal punto di vista della comunità si è creata una coesione, riconoscendo il valore di questo lavoro. Vediamo anche quello che sta succedendo nelle manifestazioni di questi giorni: violenza. Questo vuol dire non avere la cultura dentro, la bellezza dell’arte dentro. Abbiamo bisogno di cultura, non siamo noi a dover essere colpiti”.