Letizia Roccasecca vive sulla Casilina, poco fuori dal centro di Anagni, comune storico del basso Lazio, tra i 19 comuni compresi nel Sito di interesse nazionale (Sin) Valle del Sacco. Della Casa di Letizia ciò che colpisce è il giardino, rigogliosissimo: prato verde, tanti fiori diversi e colorati, aiuole che separano il recinto delle capre dal pollaio. Ovviamente c’è anche l’orto, ma il suo non è un orto qualsiasi. L’orto di Letizia si articola all’interno di cassoni ricavati da grandi catini di metallo e, per quanto bella, questa scelta non è dettata da tecniche di coltivazione all’avanguardia, né da un qualche tipo di ricercatezza nell’arredamento: è una scelta dettata da necessità e adattamento.
La storia di questa scelta inizia nel marzo del 2009 quando una mattina, appena sveglia, Letizia si accorge che l’aria è più pesante del solito, lì che già normalmente si sente e si respira la massiccia presenza delle industrie. Insieme all’aria pesante si vede una sottile polvere nera, pervasiva, che ha ricoperto ogni cosa: dalle scale dell’abitazione ai panni stesi, dal prato verde a tutto il cibo coltivato a terra, nel vecchio orto.

Per i cittadini e le cittadine di quella zona di Anagni non è la polvere nera in sé a essere una novità, quanto la quantità che così non si era mai vista. Quel giorno, infatti, si era verificato un incidente nello stabilimento della Marangoni Tyre, azienda specializzata nel settore degli pneumatici, che aveva portato alla fuoriuscita di una quantità elevata di nerofumo: un pigmento prodotto dalla combustione di prodotti petroliferi come quelli usati per gomme dei veicoli. Assieme alla dispersione di questo particolato carbonioso si accompagnava frequentemente anche l’emissione di diossine: una categoria di sostanze inquinanti persistenti che si formano proprio in seguito alla combustione dei rifiuti. L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro ha accertato, già dalla fine degli anni ’90, la cancerogenità di molti composti appartenenti alla famiglia delle diossine, mentre sul nerofumo non vi sono ancora risultati certi.
Un incidente nello stabilimento della Marangoni Tyre ha portato alla fuoriuscita di una quantità elevata di nerofumo
“Quella mattina, quando è successo tutto, ho chiamato i vigili, sono arrivati e si sono presi come referto lo straccio con cui avevo pulito il tavolo, nero. Già ci sentivamo abbandonati però: l’unica presenza era quella dei giornalisti e delle televisioni, le istituzioni mica ci stavano”, così Letizia racconta l’inizio di questa storia, che ha segnato la sua vita, la sua terra e il territorio in cui è nata e cresciuta. “Una settimana dopo sono tornata dai vigili, per riprendermi il verbale di sopralluogo. Da me a casa era ancora tutto nero, più pulivo e più usciva fuori, dell’orto non si poteva mangiare nulla ed ero preoccupata per gli animali ma anche per noi che avevamo tutti la tosse e il vomito. Nel verbale di sopralluogo però non c’era scritto nulla. Allora sono andata alla Asl e gli ho portato l’insalata, ho chiesto se potevano dirci che potevamo mangiarla visto che per loro era tutto a posto, se potevamo stare tranquilli, ma non hanno detto una parola”. A questo punto iniziano le indagini, gli accertamenti e l’analisi dei campioni degli animali e degli alimenti di origine vegetale coltivati nella zona. I risultati sono prevedibilmente positivi e così vengono abbattuti molti capi di bestiame e viene emessa un’ordinanza che vieta la coltivazione e l’allevamento nel raggio di 500 metri dalla Marangoni. “A noi però nessuno diceva nulla”, racconta Letizia, “ci hanno tolto l’orto, le bestie, ma allora noi che ci possiamo mangiare? E quando chiedevamo ci rispondevano che non era un problema loro. Poi finalmente è arrivato Alberto Valleriani, con Associazione Rete per la Tutela della Valle del Sacco (Retuvasa) e hanno iniziato a fare dei convegni proprio su questi temi. Abbiamo imparato, ad esempio, gli effetti degli inquinanti sugli alimenti: ciò che si deposita e ciò che viene assorbito e quindi ciò che basta sbucciare e ciò che invece non si può proprio mangiare”. È così che nasce l’idea dell’orto nei catini, per far sì che i prodotti non crescano nella terra inquinata ed è anche così che si spiega perché gli animali, da quelle parti, non pascolano e non beccano a terra ma sul cemento.
“Ci sentivamo abbandonati: l’unica presenza era quella dei giornalisti, le istituzioni mica ci stavano”
Oggi Anagni e gli altri comuni del Sin Valle del Sacco non soffrono solo per la presenza della diossina nelle matrici ambientali, dell’aria inquinata dai fumi della Marangoni, ma anche per la presenza del beta-esaclorocicloesano che nel 2005 fu riscontrato nei vari campioni di latte delle aziende ovine e bovine. Non solo, molte delle industrie della zona costruite con la Cassa del mezzogiorno nel secondo dopoguerra oggi sono in disuso e abbandonate ma non bonificate e contribuiscono ancora alla dispersione di rifiuti industriali tossici nell’ambiente. Accanto ai vecchi impianti resistono quelli ancora attivi che contribuiscono all’inquinamento dell’aria e del suolo. La nascita e lo sviluppo di tutti questi impianti industriali hanno contribuito alla trasformazione del territorio, un tempo a vocazione agricola. È anche per questo che Letizia ha deciso di lottare per vedere attribuite le giuste responsabilità, e di volere un cambiamento, perché lei a queste terre ci è legata e per queste terre ammalate vuole combattere. Per Letizia è inconcepibile che siano proprio i luoghi della sua vita a essere stati colpiti dall’inquinamento e a costituire quindi una minaccia per la salute sua e di tutte le persone accanto a lei. Nelle battaglie per la tutela della salute del territorio e delle persone Letizia si è spesso sentita sola perché molti dei suoi concittadini hanno preferito difendere le fabbriche che gli davano da mangiare. Ma come dice Domenico De Carolis, vicino di casa e compagno di lotte di Letizia: “Che ti serve fare i soldi se nel frattempo vieni avvelenato?”. È con lui e con Vincenzo Pelitti che Letizia si è ritrovata a chiedere un po’ di chiarezza. Adesso ad Anagni le cose sono un po’ cambiate e tante iniziative pubbliche vedono una partecipazione significativa della cittadinanza, ma un tempo, ricordano i tre: “di anagnini non ce ne era mai nessuno, mentre da Colleferro aveste dovuto vedere quanti ne venivano…”.

Sono stati loro ad Anagni i primi a capire che la salute e il rispetto dell’ambiente sono diritti inalienabili che se vengono negati vanno chiesti senza arrendersi mai e sono loro che continuano a battersi perché la Valle del Sacco e i suoi abitanti vengano tutelati tornando a valorizzare e a difendere il territorio.
Dalla storia di Letizia, Vincenzo e Domenico è anche nato il film “Gli anni verdi” scritto e diretto da Chiara Bellini, prodotto da Francesco Scura per Morgana Production
Questo post è il quarto di una serie sulla Valle del Sacco. La prima uscita puoi leggerla qui “Valle del Sacco: una storia di fossi, interramenti e smaltimenti sospetti”. La seconda qui “Colleferro: lo smaltimento dei rifiuti tra attivismo e politica“. Il terzo approfondimento è qui “INDACO, uno dei colori che lega le storie del Sin Valle del Sacco“.