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Gli strumenti dell’aggiornamento del medico e i luoghi delle prove


Quale trattamento nel paziente ambulatoriale? Meglio i Fans o il paracetamolo? A quale livello di saturazione di ossigeno è opportuno il ricovero? Sono affidabili i saturimetri in commercio? Quando il cortisone? Usiamo le eparine? E se uno è in terapia con anticoagulanti per una fibrillazione atriale? “Partono da domande del genere le problematiche cliniche che si dibattono nella lista di discussione Ippocrate su Google Groups” ci dice Renato Luigi Rossi, per molti anni medico di medicina generale e formatore. “È formata da circa quattrocento medici tra i quali molti medici di cure primarie ma anche ospedalieri, medici del 118 e specialisti. Fino ad un collega che lavora alla European Medicines Agency ad Amsterdam. Si tratta probabilmente della mailing list medica più numerosa in Italia, oltre che la più vecchia essendo nata nel 1999. In questa lista si discute di problematiche cliniche e talvolta anche burocratiche con quesiti, descrizione di casi clinici, commenti di lavori scientifici.”

Domande non tanto distanti da quelle che si è fatto nei mesi scorsi anche chi non è medico: “La gravidanza è una condizione che fa aumentare il rischio di evoluzione grave? Cosa dicono gli studi? Ci sono studi che dimostrano che gli anticorpi monoclonali sono davvero utili? Cosa dicono le linee guida sul trattamento dei pazienti domiciliari? Una persona allergica a varie sostanze può fare il vaccino? La gravidanza è una controindicazione alla vaccinazione? Sono utili a scopo preventivo i supplementi di vitamine o i lavaggi nasali? Ci sono studi in merito?”

Se mettiamo a confronto questo tipo di interrogativi con alcuni di quelli di cui abbiamo parlato nei post precedenti (li trovate qui, qui e qui), emerge chiaramente come ci siano differenze tra l’attività del medico di medicina generale e il medico specialista: gli interrogativi clinici sono diversi e ovviamente non solo il tipo di preparazione ma anche di aggiornamento seguono percorsi e obiettivi diversi. “Direi che i primi sono chiamati a dare una risposta di base ad un numero molto vasto di problemi, mentre i secondi devono dare una risposta molto approfondita ad un numero limitato di problemi” dice Daniele Coen, che è stato primario di pronto soccorso a Niguarda per molti anni. “Per i primi potrebbe bastare la conoscenza e la capacità di leggere criticamente le principali linee guida.

Affermazione forte, soprattutto per chi continua ad avere dei dubbi sull’affidabilità di questo tipo di documenti: “Ho un bias: non amo le linee guida”, confessa Rita Banzi, ricercatrice dell’Istituto Mario Negri di Milano. “Capisco che per il clinico siano uno strumento molto utile, però. Saperle leggere, capire e valutare bene è difficile. Prendere in mano una linea guida e applicarne i dettami senza capire chi l’ha scritta, seguendo quali metodi l’ha preparata, quanto è aggiornata è sicuramente inutile e può essere dannoso. Strumenti informativi online come UpToDate o Dynamed sono aggiornatissimi e secondo me sono un ottimo aiuto. Almeno per tenere insieme la letteratura.”

A proposito di differenze e di complessità, secondo Coen “per i medici specialisti è fondamentale la lettura diretta degli articoli originali” ma, precisa Banzi, “può essere molto più difficile leggere criticamente una linea guida che uno studio clinico. Gli item dell’Agree alla fine sono le cose principali da guardare per capire se una linea guida è fatta abbastanza bene. Poi occorre valutare se è applicabile al proprio contesto, non ci sono regole precise, ma almeno la domanda bisogna farsela. Pensare di saper valutare compiutamente una linea guida senza capire niente di revisioni sistematiche e letteratura primaria mi sembra un po’ naive, per essere gentili. La cosa che va sottolineata secondo me è che serve un’infarinatura generale sui concetti di base, poi il medico di medicina generale leggerà la linee guida e non lo studio sul New England Journal of Medicine magari, ma non può non avere familiarità con tutti gli strumenti.”

Fatto sta che le modalità di aggiornamento di un medico ospedaliero o specialista sono molto diverse da quelle di un medico di medicina generale. “I primi – spiega Renato Luigi Rossi – focalizzano la loro attenzione sulle rispettive specialità ma spesso ignorano il resto, vedono pazienti selezionati, necessitano di conoscenze approfondite su un settore ben limitato del sapere medico. Pensiamo per esempio a un cardiologo che tutto il giorno fa coronarografie e angioplastiche: per forza di cose finisce per conoscere tutto sull’albero coronarico e sulle tecniche per eseguire una procedura invasiva ma corre il rischio di rimanere indietro addirittura in campi che riguardano la sua stessa specialità. D’altra parte è una conseguenza inevitabile dell’ultraspecializzazione raggiunta oggi dalla medicina. Mi è capitato il caso di un cardiologo che si occupava di aritmologia: era bravissimo nella diagnostica elettrocardiografica e negli studi elettrofisiologici, ma di fronte ad un’ipertensione resistente ha inviato il paziente presso un centro per l’ipertensione.”

Al medico di medicina generale serve un aggiornamento di pronta beva.

La giornata di un medico di medicina generale lo mette di fronte ad una situazione completamente diversa: “Vede pazienti non selezionati, spesso nelle fasi iniziali della malattia, con sintomi aspecifici, sfumati, di difficile interpretazione”, spiega Rossi. “Inoltre ha un accesso più limitato, rispetto al collega ospedaliero, agli esami di laboratorio e a quelli strumentali, deve decidere in pochi minuti diagnosi e terapia. Vede in una stessa giornata pazienti che hanno patologie più disparate, da quelle ortopediche a quelle respiratorie o cardiologiche o psichiatriche. Fino ad incontrare pazienti con disturbi o sintomi inspiegabili che non sono riconducibili a un quadro specifico, i cosiddetti Mus (da Medically Unexplained Symptoms) che sono un vero rebus e che rappresentano una quota importante dei casi visti ogni giorno. Necessita quindi di un aggiornamento allargato ma di pronta beva, se così lo vogliamo chiamare, sicuramente meno approfondito di quello di uno specialista o di un medico ospedaliero, ma rivolto praticamente a tutti i campi dello scibile medico o quasi. Un aggiornamento che deve essere sintetico, pratico, subito comprensibile e perciò necessariamente didattico. La mia esperienza è che un medico di medicina generale abbandona subito la lettura di un articolo o di un libro se troppo complesso, troppo lungo o che non va subito al sodo delle cose che bisogna fare di fronte ad un determinato problema. Vedo che l’aggiornamento è per lo più frammentario e limitato ai corsi organizzati dalla Asl o a qualche congresso, di solito sponsorizzato. Ma ci sono anche colleghi molto motivati che curano l’aggiornamento grazie soprattutto a liste di discussione, alle possibilità offerte da internet, alla lettura di libri.”

Se la medicina territoriale tornasse ad essere il fondamento del servizio sanitario nazionale, come sembra prevedere il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnnr), servirebbe accompagnare questo cambiamento con delle trasformazioni radicali. “Il primo passo veramente importante è un inquadramento nel Ssn dei medici di medicina generale”, dice Rita Banzi. “Non ho le competenze per dire se l’assunzione sia la chiave giusta, ma sicuramente esserne fuori è uno dei grandi problemi. Il secondo tema è quello del lavorare da soli, che è fuori dal tempo e da ogni logica assistenziale. Poi c’è il tema generale della mancanza di informazione/formazione istituzionale di qualità e indipendente. Siamo abbastanza vecchi per ricordarci di iniziative dell’Agenzia italiana del farmaco, del Ministero, delle Regioni che servivano anche a stimolare l’idea che i medici di medicina generale potessero essere formati con continuità. Più in generale, il punto principale ed importante è che i medici di medicina generale si rendano conto che devono essere aggiornati e preparati: ho sempre più l’impressione che da un lato siano vittime dell’aumento della burocrazia, ma dall’altro utilizzino il carico di lavoro amministrativo per giustificare la relativa attività di aggiornamento e formazione. Dovrebbero dimostrare di avere una spinta verso il miglioramento.”

Il problema dell’isolamento e le opportunità dei social media

Il problema dell’isolamento è reale, conferma Rossi: “In linea generale la mia esperienza è che lo scambio di esperienze e di informazioni sia poco diffuso tra i medici di medicina generale, diversamente da quanto si verifica in ambiente ospedaliero. Questo dipende probabilmente da un retaggio culturale che risale ancora ai tempi in cui chi faceva il mio mestiere lavorava da solo, magari in un paesino sperduto, isolato dai colleghi con i quali non poteva avere che interazioni sporadiche e limitate per lo più a problematiche di tipo sindacale o burocratico piuttosto che cliniche. Le cose sono ora un po’ cambiate con le Medicine di gruppo, ma comunque gli scambi culturali rimangono sporadici e si verificano soprattutto in occasione di incontri ai corsi validi per l’educazione continua in medicina.”

Da questo punto vista, i social media offrono delle opportunità. “Io leggo molto attraverso Twitter”,  ci racconta Margo Vergano, medico di Terapia intensiva in un ospedale di Torino. “Lo uso quasi solo in inglese, non per cose personali, e attraverso questo strumento arrivo alla maggior parte della letteratura scientifica che leggo. Ai giovani consiglio anche di iscriversi a un paio di newsletter di riviste importanti e di usare uno o due social in modo mirato. Ci sono anche piccoli esperimenti locali: a Torino da qualche anno gli specializzandi di Medicina d’urgenza preparano una newsletter quindicinale (MuM newsletter) con una selezione commentata delle maggiori riviste.”

C’è ancora un posto per il pensiero razionale e per le prove?

Nelle cure primarie serve conoscere subito i punti essenziali a partire da un problema clinico: “il medico ha bisogno di saper riconoscere subito un caso grave o urgente che necessita di immediato ricovero o di invio in Pronto soccorso oppure, nei casi non urgenti, serve un piano diagnostico terapeutico semplice e di facile applicazione”, dice Renato Luigi Rossi. “Per questo più che a riviste o siti specializzati si rivolge, per aggiornarsi, a riviste generaliste come Lancet, Bmj, Nejm, Jama o a siti come Medscape dove si trova praticamente tutto. Oltre a questo usa testi di clinica medica tipo Harrison, Cecil o Rugarli oppure a libri di diagnostica differenziale.” Stefano Cagliano, medico con molta esperienza anche di divulgazione scientifica, non è dello stesso parere: “Se fossi medico di medicina generale, non spenderei i miei soldi per Bmj Lancet, o Jama o semmai solo per il solo il primo. Non avrei tanto bisogno di articoli di quel genere. Invece mi abbonerei a due riviste, una medica di revisione e una sui farmaci, per esempio The Medical Letter. La rivista di revisione contiene in ogni numero diversi articoli, ciascuno con una sintesi su un tema. Una sorta di linea guida da una fonte almeno credibile. Per fare un esempio, il periodico Evidence-based Medicine contiene articoli di questo genere: “I farmaci per la pressione dovrebbero essere presi prima di coricarsi?”. Conclusione: “La prescrizione di farmaci per il consumo notturno è un intervento relativamente semplice e le linee guida pertinenti dovrebbero considerare di riflettere questa nuova evidenza nei loro aggiornamenti.”

Qualche indicazione pratica giunge anche da Daniele Coen, medico e autore di L’arte della probabilità pubblicato da poco da Cortina: “Primo, ricordati che gli aspetti fondamentali della clinica sono l’approccio probabilistico ai problemi e la capacità di relazione con i pazienti. Non dimenticarti di sviluppare ambedue queste doti. Secondo, scorri regolarmente i titoli delle quattro maggiori riviste del tuo settore e leggi con calma e attenzione almeno un articolo alla settimana.”

Ma, allora, il medico che ci cura è aggiornato? Riapriamo la conversazione tra John Ioannidis e David Sackett, sperando di tirarci su il morale: “Mi piace ancora moltissimo la scienza e mi concentro sulle idee, sui metodi rigorosi, sulla matematica e sulla statistica (…) lavorando sulle strane cose che scrivo (probabilmente di parte) alternate alla scrittura di poesie ancora più disperate, imparando da persone giovani e di talento. Ma sto anche fantasticando ancora su quale possa essere un luogo in cui la pratica della medicina possa ancora essere senza dubbio utile per le persone e per la società in generale (…). C’è ancora un posto per il pensiero razionale e per le prove? (…). Venticinque anni dopo la sua formulazione, dovrebbe essere ancora possibile esercitarsi ovunque per praticare la medicina delle prove: da qualche parte questo non può che restare un obiettivo utile…”.

Questo post è il quarto di una serie dedicata all’aggiornamento del medico. La prima uscita puoi leggerla qui Chi ci cura è aggiornato?,  la seconda qui Aggiornarsi ai tempi del caos e dell’incertezza  e la terza qui Restare aggiornati è complicato: ecco cosa il medico deve sapere